Falso in bilancio e valutazioni: disorientamenti giurisprudenziali
21 Gennaio 2016
Massima
Il riferimento ai fatti materiali oggetto di falsa rappresentazione non vale a escludere la rilevanza penale degli enunciati valutativi, che sono anch'essi predicabili di falsità quando violino criteri di valutazione predeterminati. Infatti, qualora intervengano in contesti che implichino accettazione di parametri di valutazione normativamente determinati o, comunque, tecnicamente indiscussi, anche gli enunciati valutativi sono idonei ad assolvere ad una funzione informativa e possono, quindi, dirsi veri o falsi. Il caso
La fattispecie, relativa al reato di bancarotta societaria per violazione degli artt. 2621 c.c. e art. 223 l. fall., riguarda la dissimulata esistenza di una enorme quantità di crediti incagliati, ossia in sofferenza e di fatto ormai inesigibili nella misura del 62% del totale dei crediti e per un importo complessivo di euro 1.642.746,00. Tale condizione di sostanziale inesegibilità, significativamente rivelata già dall'indicazione di un tempo medio d'incasso progressivamente crescente, sino a valori abnormi (188 giorni nel 2001, 235 giorni nel 2002, 493 giorni nel 2003, 6.024 giorni nel 2005), era stata non solo sottaciuta, ma artatamente simulata, attestandosi nelle relazioni ai bilanci del 2002, 2003, e 2004 che i crediti ed i debiti sono valorizzati al valore di realizzo, in quanto, per ciò che concerne i crediti, si tratta di uno stock fisiologico dovuto alle normali tempistiche di pagamento e non vi sono dubbi sulla solvibilità delle ditte nostre debitrici. La questione
A fronte dell'incontestabile realtà di crediti della cui inesigibilità si era pienamente avvertiti, l'indicazione in bilancio di improbabile valore di realizzo (in luogo dell'iscrizione secondo il presumibile valore di realizzo come prescritto dall'art. 2426 n. 8 c.c.,) ed il mancato ricorso alla tempestiva svalutazione, con regolare appostazione nel fondo svalutazione crediti, integravano artificiosa rappresentazione, mediante mendace esposizione - e, finanche, occultamento sotto lo specifico riflesso della detta inesegibilità) - di fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società. Insomma, in siffatta prospettiva era, ovviamente, del tutto irrilevante la reale esistenza delle ragioni creditorie, non essendo in discussione il fatto materiale della relativa sussistenza, quanto, piuttosto, la falsa rappresentazione, nei successivi bilanci di esercizio, di un valore di realizzo sempre più problematico ed inverosimile nonchè l'occultamento della sostanziale inesegibilità. L'inveritiera esposizione delle componenti positive di reddito, in uno ad altri artifici contabili, era finalizzata a consentire alla società di continuare ad offrire (ai fornitori ed agli istituti di credito) una falsa, rassicurante, rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria, continuando, in particolare, a mascherare continui, ingiustificati, prelievi dalle casse sociali. Il progressivo “drenaggio" di risorse della società, anche quando la stessa versava, oramai, in stato di irreversibile sofferenza, aveva contribuito ad aggravarne il dissesto, che avrebbe, invece, imposto l'immediato ricorso ai rimedi di legge. Le soluzioni giuridiche
La sentenza della Corte di Cassazione Sez. V Penale del 12 novembre 2015 n. 890, nell'assegnare rilevanza penale alle valutazioni estimative in tema di falso in bilancio contraddice clamorosamente quanto sostenuto sempre dalla Corte di cassazione Sez. V che con la sentenza del 16 giugno 2015 n. 2151 aveva risolto il tema delle valutazioni estimative, escludendone la rilevanza penale per il reato di falso in bilancio. L'impatto dirompente che ha avuto l'uso della formula fatti materiali nel paradigma del nuovo delitto di falso in bilancio, che sembra azzerare del tutto la rilevanza penale delle valutazioni, ha indotto i primi commentatori a ridimensionare la portata dell'accostamento dell'aggettivo materiali al sostantivo fatti (F. MUCCIARELLI, Le nuove false comunicazioni sociali, in Dir. pen. cont., 8 ss.) Si è sostenuto (F. MUCCIARELLI, “Ancorché” superfluo. Ancora un commento sparso sulle nuove comunicazioni sociali, in Dir. pen. cont.) che se è vero che la mancata riproduzione della astrusa formula ancorchè oggetto di valutazioni possa determinare l'esclusione delle valutazioni dall'ambito del reato di falso in bilancio, anche se con quella formula il legislatore aveva inteso chiarire che anche le falsità nelle valutazione di bilancio sono rilevanti, lo stesso non può dirsi per il mantenimento dell'aggettivo materiali. L'aggettivo materiali, che segue il sostantivo fatti, sarebbe del tutto ridondante e la sua inserzione nella formula legislativa e sul piano semantico priva di valore specifico (F. MUCCIARELLI, Le nuove false comunicazioni sociali, cit., 8 ss.). Concetto questo che era già stato avanzato dal relatore del disegno di legge nel corso della seduta al Senato del 19 marzo 2015 (v. Senato della Repubblica 4139, seduta pubblica, giovedì 19 marzo 2015, in Resoconto stenografico, intervento del relatore D'Ascola, 59.)che definiva la formula fatti materiali come espressione enfatica e caratterizzata sostanzialmente da superfetazioni nel senso che il fatto è inevitabilmente materiale. Ma se le cose stanno così, se il fatto è inevitabilmente materiale non si comprende per quale ragione il legislatore avrebbe dovuto insistere e far seguire l'aggettivo materiali al sostantivo fatti, se non per rafforzare la concretezza del fatto con l'inevitabile conseguenza dell'esclusione della rilevanza penale degli aspetti valutativi (SEMINARA, La riforma dei reati di false comunicazioni sociali, in Dir. pen. e proc., n. 7/2015, 814). L'utilizzo da parte del legislatore dell'aggettivo materiali rivela l'esigenza di una esposizione di dati contabili ricavati da dati reali, al di fuori di qualsiasi profilo valutativo. Né può essere condivisa la soluzione che tende ad attribuire all'aggettivo materiali il significato di rilevante, facendo ricorso al prestito linguistico material fact che compare nella legislazione inglese ed americana e che viene utilizzato nel linguaggio giuridico contabile per rappresentare un giudizio di rilevanza o di significatività (A. ALESSANDRI, Diritto penale ed attività economiche, Bologna, 2010, 288; N. MAZZACUVA, Il falso in bilancio, Padova, 2004, 122; M. GAMBARDELLA, Il “ritorno” del delitto di false comunicazioni sociali: tra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di particolare tenuità, in Cass. pen., 2015, 1730). Questa soluzione, che peraltro è stata avanzata alla Camera nel corso del dibattito parlamentare sul falso in bilancio, si rivela in contrasto con la formula richiamata dall'art. 2621 c.c. che parla di fatti materiali rilevanti (anche se la stessa formula non è stata adottata dall'art. 2622 c.c. che parla solo di fatti materiali) in cui i diversi aggettivi (materiali e rilevanti che seguono il sostantivo fatti) verrebbero ad assumere lo stesso significato. Si tratterebbe di una formula che finirebbe per essere “grottescamente ripetitiva” (F. MUCCIARELLI, Le nuove false comunicazioni sociali, cit., 9.). Soprattutto se si tiene presente che in più occasioni la Sec (A. ALESSANDRI, Diritto penale e attività economiche, Bologna, 2010, 288) ha evidenziato che il vero significato di material consiste nell'idoneità a cagionare l'errore nel senso che rientrano nel suo ambito solo le informazioni che incidono sui destinatari, concetto espresso non solo dall'aggettivo rilevanti ma anche dall'ulteriore requisito richiamato dalla norma dell'idoneità ingannatoria della falsa informazione. Com'è facile intuire dalla semplice lettura della norma il legislatore ha utilizzato l'aggettivo materiali secondo il significato proprio della lingua italiana, intendendosi così marcare maggiormente il riferimento al fatto come oggetto dell'esposizione falsa o reticente (F. MUCCIARELLI, Le nuove false comunicazioni sociali, cit., 14 ss.). Altri autori (S. SEMINARA, False comunicazioni sociali, falso in prospetto e nella revisione contabile ed ostacolo alla funzione dell'autorità di vigilanza, in Dir. pen. proc., 2002, 680; A ALESSANDRI, op. cit., 280; M. GAMBARDELLA, op. cit., 1741), muovendo dal presupposto del rapporto inscindibile che passa tra il bilancio e le valutazioni, in quanto il bilancio consiste per lo più in giudizi di natura tecnica, ritengono che l'aggettivo materiali serva esclusivamente ad escludere dall'area del falso in bilancio le opinioni, le previsioni, le congetture presentate come tali, cioè come valutazioni di tipo soggettivo, che nella lettura aziendalistica vengono definite come stime di bilancio congetturale. Anche questa soluzione non sembra convincente né condivisibile, perché l'accostamento dell'aggettivo materiali alle opinioni, alle congetture, cioè ad ipotesi fondate su dati generici, incompleti o inesatti non ne giustifica la presenza nel paradigma del falso in bilancio. Per escludere la rilevanza delle opinioni o delle congetture appare più che sufficiente il riferimento che la norma fa all'esposizione di fatti, sostantivo che risulta essere inconciliabile con l'esposizione nel bilancio di opinioni o congetture. Con il richiamo all'esposizione di fatti materiali falsi il legislatore intende marcare significativamente il riferimento al fatto, in modo da determinare l'esclusione dall'area di punizione del falso in bilancio non le congetture o le semplici opinioni ma le valutazioni estimative, che pur rappresentando un elemento inscindibile del bilancio, ne rimangono fuori sotto il profilo della rilevanza penale. Ancora una volta valgono le considerazioni espresse in tema di riforma della frode fiscale (art. 4 lett. f) legge 516/1982 riformato nel 1991), secondo le quali il riferimento ai soli fatti materiali consente di escludere la rilevanza penale in qualsiasi processo valutativo. Osservazioni
La sentenza n. 890 del 12 novembre 2015, depositata il 12 gennaio 2016, testimonia lo sforzo della Cassazione di superare un dato letterale che gli stessi giudici di legittimità non esitano a denunciare come il risultato di una approssimazione legislativa, frutto non solo di scarso tecnicismo, ma anche della complessità della stessa procedura di elaborazione del testo della legge sul perseguimento di problematici equilibrismi strategici e compromissivi, che a volte fisiscono con lo stravolgere il significato inizialmente concepito. Si può dire, leggendo la sentenza, che lo stesso fenomeno abbia investito la Corte di cassazione dal momento che la soluzione offerta sul tema del falso in bilancio si traduce, a sua volta, nel perseguimento di un equilibrismo strategico e compromissorio, finalizzato a recuperare nell'ambito del falso in bilancio anche le valutazioni estimative, nonostante che il dettato normativo le escluda espressamente. Il tema centrale della sentenza è quello della ricerca del più appropriato significato della locuzione fatti materiali rilevanti e su questa indagine la sentenza, nonostante il richiamo all'art. 14 della prelegge, secondo cui nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse e dall'intenzione del legislatore, si sbizzarrisce in una serie di soluzioni che lasciano quanto meno perplessi. La prima soluzione, che nasce e si riconnette al concetto tecnico di materialità (o materiality) che - secondo la sentenza – gli economisti anglo-americani avrebbero adotato come criterio fondamentale di redazione del bilancio, è quello di far coincidere la nozione di materialità con il concetto di essenzialità. Il termine materiale è sinonimo di essenziale nel senzo che nella redazione del bilancio devono trovare ingresso solo dati informativi essenziali ai fini dell'informazione, restandone al di fuori tutti i profili marginali e secondari. L'argomento si rivela quanto meno tautologico, perché il bilancio non può che fornire dati significativi sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società. L'accostamento del concetto fatti materiali a quello al fatto essenziale, diverso dal concetto di fatti rilevanti, rivela come in questa maniera la Corte di cassazione, rendendosi conto della assurda soluzione di identificare l'aggettivo materiali con quello di rilevanti, avanzato alla Camera nel corso del dibattito parlamentare sul falso in bilancio, in quanto il richiamo fatto dalla norma (almeno per l'art. 2621 c.c.) ai fatti materiali rilevanti darebbe vita ad una formula grottescamente ripetitiva, distingue i fatti rilevanti da quelli materiali, facendo coincidere quest'ultimi con il concetto di essenzialità. La prima considerazione da fare è che mentre per l'aggettivo materiali si poteva far ricorso al prestito linguistico material fact che compare nella legislazione inglese ed americana e che viene usato nel linguaggio giuridico contabile per rappresentare un giudizio di rilevanza o di significatività, lo stesso non può dirsi per l'aggettivo essenziale. E se è vero che l'art. 2423 c.c., rifacendosi alla direttiva Cee, con l'espressione rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società e del risultato economico di esercizio, evidenzia che soltanto le informazione essenziali siano coerenti con l'idea di una rappresentazione adeguata e realmente efficace, tale considerazione non legittima la traduzione del dato normativo fatti materiali in fatti essenziali. E proprio l'art 12 delle preleggi, che obbliga l'interprete ad assegnare alla norma il senso fatto palese del significato proprio della parola, che non consente questa arbitraria operazione volta a trasformare il concetto di fatti materiali con quello di fatti essenziali, così da recuperare nello schema del falso in bilancio anche le valutazione. Se il legislatore avesse inteso escludere dall'area del falso in bilancio tutti i profili marginali e secondari, avrebbe utilizzato l'aggettivo essenziale, locuzione peraltro sconosciuta al sistema normativo, anziché l'aggettivo materiali, anche perché probabilmente si sarebbe riproposto il problema del rapporto tra fatti rilevanti e fatti essenziali. Non si può nascondere come il concetto di fatti essenziali si avvicini a quello di fatti rilevanti e a sua volta a quello di alterazione sensibile della rappresentazione della situazione patrimoniale, economica e finanziaria cui facevano riferimento gli abrogati artt. 2621 e 2622 c.c., tanto da poterli classificare come veri e propri sinonimi. Non v'è dubbio che la redazione del bilancio riguardi per lo più voci la cui determinazione non può prescindere dalle valutazioni, perchè il bilancio non si esaurisce in una semplice elencazione di dati oggettivi ma si sostanzia in una esposizione di valori che concorrono alla determinazione dello stato patrimoniale e del conto economico ma il riferimento fatto dalla norma all'esposizione di fatti materiali non lascia spazio a soluzioni alternative a quelle che comporta l'esclusione dei profili valutativi dall'ambito di operatività del falso in bilancio (BRICCHETTI-PISTORIELLI, Escluse le valutazioni dalle due nuove fattispecie, in Guida al diritto, 2015, n. 28, 80). L'uso della formula fatti materiali, richiamata dal legislatore per entrambe le ipotesi di false comunicazioni sociali, sembra spingere la riforma del 2015 verso quei confini, mai ipotizzati fino ad ora, in cui le valutazioni perdono qualsiasi rilevanza penale. Il tema delle valutazioni aveva mantenuto la sua rilevanza nel vigore delle precedenti discipline, sia con il semplice richiamo della norma ai fatti non rispondenti al vero, oppure ai fatti materiali, ancorché oggetto di valutazione. Il sintagma fatti materiali, non è sconosciuto al diritto penale dell'economia, perché il legislatore nel modificare con la l. 154/1991 l'ipotesi di frode fiscale, prevista dall'art. 4 lett. f) della l. 516/1982 puniva espressamente l'utilizzo di documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero ovvero altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento di fatti materiali. Il disegno di legge n. 5372 era estremamente chiaro sulle ragioni della modifica del delitto di frode fiscale ed in particolare del richiamo fatto dalla norma all'utilizzo di documenti attestanti fatti materiali, inteso ad impedire che le valutazioni potessero avere rilevanza penale. La dottrina dell'epoca (R. BRICCHETTI – L. DE RUGGERO, I reati tributari, Milano, 1994, 316; S. PICCIOLI, in G. SERAO – S. PICCIOLI, La disciplina della nuova frode fiscale, Padova, 1993, 35; A. D'AVIRRO, La nuova ipotesi di frode fiscale, in Riv. trim. dir pen. ec., 1991, 904; IMPERATO I componenti valutativi del reddito e la frode fiscale, in Il Fisco, 1991, 6765; A. TRAVERSI, Art. 4, 1 comma, lett. f) in Commentario alla legge 7 agosto 1982 n. 516, a cura di I. Caraccioli, A. Giarda, A. Lanzi, Padova, 1994, 163), compatta, non esitò ad escludere la rilevanza penale delle valutazioni, perché l'espressione fatti materiali è evidentemente ricomprensiva di tutti quegli elementi contabili e reddituali di ogni rapporto giuridico ed economico, sicchè il richiamo ai fatti materiali, impedisce di ampliare l'operatività della norma alle operazioni di stima (A. D'AVIRRO, Il nuovo falso in bilancio, Milano, 2015, 98 ss.; v. anche Il nuovo falso in bilancio. Problematiche sull'irrilevanza penale delle valutazioni estimative.) Le ragioni che hanno indotto il legislatore a far ricorso alla formula fatti materiali probabilmente sono da individuarsi nell'esigenza di evitare, una volta che sono state soppresse le soglie di punibilità previste dalle precedenti ipotesi abrogate, i rischi connessi al ritorno, per l'applicazione del falso in bilancio, al datato principio del vero legale, richiamato espressamente nella sentenza in commento, in ragione della predeterminazione normativa dei criteri di redazione del bilancio. La falsità del bilancio come violazione del principio del vero legale riconnette l'immutatio veri al mancato rispetto delle norme che prevedono criteri e limiti precisi per le valutazioni, perché, secondo la giurisprudenza dell'epoca (Cass. pen., Sez. V, 16 dicembre 1994, n. 234), la veridicità o la falsità delle componenti di bilancio va valutata in relazione alla corrispondenza ai criteri di legge e non alle enunciazioni realistiche con le quali vengono indicate. Questa tesi eccessivamente rigida che fa coincidere l'illecito penale del falso in bilancio con l'illecito civile rappresentato dalla violazione delle norme del codice civile, in particolare dell'art. 2426 c.c. che detta i criteri di valutazione, si scontra con l'ulteriore requisito, richiamato da entrambe le norme (artt. 2621 e 2622 c.c.), dell'idoneità ad indurre in errore i destinatari della falsa comunicazione sociale che esclude che si possa parlare di falso in bilancio, quando, pur non essendo stati rispettati nella valutazione delle componenti di bilancio i criteri dettati dall'art. 2426 c.c., sia data contezza nella nota integrativa delle ragioni che hanno determinato la deroga ai criteri legali. Riaffiora l'importanza per la fedele rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria del bilancio delle società, della nota integrativa, perché il richiamo fatto dal legislatore al requisito della concreta idoneità delle false comunicazioni sociali ad informare i destinatari vanifica quell'indirizzo, richiamato dalla sentena in commento, che ravvisa la falsità in bilancio nell'alterazione del vero legale, perché il mancato rispetto del criterio legale nella determinazione delle valutazioni, non può indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sociali, quando ne sia stata fornita giustificazione nella nota integrativa. Per concludere: esposizione di fatti materiali non può che significare esposizione nel bilancio, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali solo di fatti oggettivi e non anche di valutazioni che nell'attuale sistema perdono rilevanza penale. L'interpretazione della norma è chiara e tale da non consentire di superarne l'approssimazione frutto di scarso tecnicismo, con soluzioni aberranti. |