Estorsione. La Cassazione torna ad occuparsi della rilevanza penale della condotta posta in essere dall'intermediario

21 Marzo 2017

La questione sottoposta all'esame della Corte di legittimità attiene alla precisa definizione delle condotte penalmente rilevanti, inquadrabili nella fattispecie astratta di concorso nel delitto di estorsione, nei casi di intermediazione fra la persona offesa ed i soggetti che hanno posto in essere la pretesa estorsiva.
Massima

Ai fini del concorso di persone nel reato di estorsione è sufficiente la coscienza e volontà di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo perseguito da colui che esercita la pretesa illecita; a ciò consegue che anche colui che svolge un'attività di intermediazione nelle trattative per la determinazione della somma estorta dovrà rispondere di concorso nel delitto di estorsione, salvo il caso in cui il suo intervento abbia avuto la sola finalità di perseguire l'interesse della vittima e sia stato dettato da motivi di solidarietà umana.

Il caso

Nel giudizio di merito, con decisione cosiddetta doppia conforme, l'imputato era stato riconosciuto responsabile del delitto di concorso in estorsione per avere svolto il ruolo di intermediario fra la persona offesa e gli estorsori, intervenendo in modo decisivo nella pattuizione del prezzo del riscatto e con ciò aderendo al programma criminoso posto in essere da altri e consentendo che lo stesso venisse portato a compimento.

Con il ricorso per cassazione l'imputato chiedeva l'annullamento della sentenza di appello deducendo, tra l'altro, vizio di motivazione per travisamento della prova, eccependo che, sulla base di quanto emergeva da una conversazione intercettata, con la condotta posta in essere, in realtà, egli si era limitato ad aiutare la vittima, dopo essere stato contattato da un comune amico, senza avere perseguito alcun interesse economico ed essendo assente una qualsiasi volontà sua di agevolare la consumazione dei fatti.

La questione

La questione sottoposta all'esame della Corte di legittimità con il ricorso di cui alla sentenza in commento attiene alla precisa definizione delle condotte penalmente rilevanti, inquadrabili nella fattispecie astratta di concorso nel delitto di estorsione, nei casi di intermediazione fra la persona offesa ed i soggetti che hanno posto in essere la pretesa estorsiva.

Con particolare riferimento alla fattispecie concreta si trattava di stabilire se la condotta posta in essere dall'imputato consistita nell'essere intervenuto, per conto della persona offesa, nelle trattative per la restituzione di un furgone rubato, dietro pagamento di una somma di denaro, configurasse o meno un'ipotesi di concorso di persone nel delitto di estorsione posto in essere dagli autori del furto.

Si trattava, altresì, di verificare se potesse essere sollevato come vizio di motivazione della sentenza imputata l'asserito travisamento, da parte dei giudici di merito, del contenuto di un'intercettazione telefonica posta a base dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione, nel confermare un orientamento che può considerarsi consolidato (Cass. pen.,Sez. V n. 40677/2012), ha affermato che la rilevanza penale della condotta posta in essere dall'intermediario deve essere valutata, principalmente, sotto l'aspetto soggettivo; in tale direzione si è detto che sussiste il concorso nel delitto di estorsione ove risulti accertata la coscienza e volontà dell'agente di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo perseguito da colui che esercita la pretesa illecita. Nel caso di specie, appunto, i giudici di legittimità hanno evidenziato come, nella sentenza impugnata, fosse stato evidenziato che l'imputato, attraverso le condotte poste in essere, avesse certamente contribuito in modo consapevole al pagamento del riscatto da parte della persone offesa consentendo il conseguimento dell'ingiusto profitto da parte degli estorsori. In tal senso, infatti, deponeva il susseguirsi di conversazioni intercettate dalle quali era emerso il ruolo decisivo svolto dall'imputato nella fase delle trattative destinate ad ottenere la restituzione del mezzo, ruolo consistito nell'individuazione degli autori del furto, nella successiva messa in contatto di questi con la vittima, nella fissazione e comunicazione del prezzo per il riscatto e nella predisposizione delle modalità di rinvenimento del bene studiate in modo tale da farlo apparire casuale.

Non poteva, quindi, ritenersi, secondo i giudici di merito ed il ragionamento è stato ritenuto non censurabile in sede di legittimità, che la condotta fosse stata posta in essere dall'imputato al solo fine di aiutare la vittima a recuperare il bene sottrattogli, risultando invece, che l'imputato avesse fornito un contributo materiale alla consumazione del fatto, avendo ricoperto un ruolo determinante proprio per la realizzazione del profitto illecito.

Quanto all'interpretazione del contenuto delle intercettazione, la Cassazione ha rilevato che, con il ricorso, era stata proposta un'interpretazione alternativa del materiale probatorio rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito; si trattava, quindi, di una questione di fatto che non può essere proposta in sede di legittimità, ove ad essa non consegua una manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione, il che, nel caso di specie, era stato escluso. Veniva, quindi, in proposito, ribadito il principio già affermato dalle Sezioni unite della Cassazione (Cass. Sez. U. n. 22471/2015, Rv. 263715), in base al quale in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità.

Osservazioni

Con la sentenza in commento viene ulteriormente precisato che la condotta dell'intermediario può essere priva di rilevanza penale soltanto nell'ipotesi in cui sia stata posta in essere al solo fine di perseguire l'interesse della vittima e sia stata dettata da motivi di solidarietà umana. Segnatamente in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass. pen.,Sez. II, n. 2833/2012; Cass. pen.,Sez. V, n. 13520/2015), ulteriormente ribadito nella sentenza in commento, colui che viene a ricoprire il ruolo di intermediario fra gli estorsori e la vittima non risponde di concorso nel reato di estorsione solo se ha agito nell'esclusivo interesse della vittima stessa guidato da motivi di solidarietà umana; in mancanza di questi elementi, infatti, egli contribuisce, con la condotta di intermediazione posta in essere, alla pressione morale ed alla conseguente coazione psicologica nei confronti della vittima, contribuendo alla realizzazione dell'evento (Cass. pen. sez. VI n. 41359/2010).

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