Costituzione di parte civile nel processo nei confronti degli enti collettivi: una sorprendente decisione di merito

Ciro Santoriello
22 Maggio 2017

Innanzi alla Corte di assise di Taranto è in corso di svolgimento il cosiddetto processo “Ambiente Svenduto”, inerente la vicenda giudiziaria relativa al caso Ilva e che vede imputate, accanto alle numerose persone fisiche, anche le tre società del gruppo – Riva FIRE S.P.A. (oggi Partecipazioni industriali S.P.A.), Ilva S.P.A. e Riva ...
Massima

Deve ritenersi ammissibile, nell'ambito del procedimento nei confronti di una persona giuridica ai sensi del d.lgs. 231 del 2001, la costituzione di parte civile.

Il caso

Innanzi alla Corte di assise di Taranto è in corso di svolgimento il cosiddetto processo “Ambiente Svenduto”, inerente la vicenda giudiziaria relativa al caso Ilva e che vede imputate, accanto alle numerose persone fisiche, anche le tre società del gruppo – Riva FIRE S.P.A. (oggi Partecipazioni industriali S.P.A.), Ilva S.P.A. e Riva Forni Elettrici S.P.A. Nell'ambito del procedimento avverso tali società, numerosi soggetti hanno preteso di costituirsi parte civile.

La questione

La pronuncia della Corte di appello di Taranto si pone assoluto contrasto con quello che è l'orientamento prevalente, tanto in dottrina, che in giurisprudenza.

A proposito di quest'ultima mentre in sede di merito può rinvenirsi qualche decisione che ammette la costituzione di parte civile nel processo avverso gli enti collettivi (cfr. ordinanza Gup Milano dott. Giordano del 5 febbraio 2008, proc. Enipower pubblicata su www.rivista231.it; ordinanza Gup Torino Salvadori, 12 gennaio 2006 pubblicata su www.rivista231.it; ordinanza Gup Milano, dott. Panasiti, 9 luglio 2009, inedita), le Corti superiori, e cioè tanto la Cassazione che la Corte costituzionale, hanno negato l'ammissibilità di una tale azione civile nei confronti dell'ente collettivo.

In particolare, secondo la Cassazione, il mancato richiamo nell'ambito del d.lgs. 231 del 2001 alla figura della parte civile rappresenterebbe una consapevole e inequivoca scelta del Legislatore, cui non si potrebbe in alcun modo rimediare per il tramite di un innesto degli articoli 74 c.p.p. e 185 c.p. per il tramite dell'articolo 34 d.lgs. 231 del 2001, secondo cui il processo nei confronti degli collettivi è governato dalla disciplina presente nel codice di procedura penale in quanto applicabile: tale operazione, infatti, sarebbe preclusa dalla circostanza che tanto l'art. 74 c.p.p. che l'art. 185 c.p. sono riferite ad un reato e non, come nel caso dell'ente, a una fattispecie complessa che quel reato presuppone ma che in esso non si esaurisce, pur ricomprendendolo. Secondo la Cassazione, nemmeno il riferimento alla disposizione dell'articolo 2043 c.c. sarebbe in grado di scalfire questa conclusione giacché la disposizione civilistica, seppur astrattamente idonea a garantire la risarcibilità del fatto ingiusto dell'ente, comunque non può trovare immediata applicazione nel processo a suo carico, attesa la natura derogatoria che la costituzione di parte civile assume rispetto al principio di autonomia dell'azione civile di cui all'articolo 75 c.p.p., rientrando la relativa pretesa nel “numero chiuso” delle azioni esercitabili dinanzi al giudice penale. Infine, sotto l'aspetto sostanziale, la Cassazione ha evidenziato come il danno derivante dal reato sembrerebbe esaurire il novero delle conseguenze concretamente risarcibili (Cass. pen., Sez. VI, 5 ottobre 2010, n. 2251).

Quanto alla Corte costituzionale, a fronte di una ordinanza di remissione che denunciava la disciplina presente nel d.lgs. 231 del 2001 perché non consente, nell'interpretazione fornitane dalla Cassazione la costituzione di parte civile, evidenzia come i soggetti danneggiati dall'illecito del reato commesso a vantaggio di una società possano comunque trovare soddisfazione nel processo penale, chiamando la persona giuridica quale responsabile civile in relazione al fatto delle persone fisiche, cercando così soddisfazione della loro pretesa risarcitoria per via meramente indiretta (Corte cost., 18 luglio 2014, n. 218. Si veda il commento di SALA).

Le soluzioni giuridiche

A fronte di questo quadro che pareva ormai consolidato, come detto la Corte di assise di Taranto assume una posizione assolutamente divergente, riconoscendo la possibilità di esercitare l'azione di risarcimento danni anche nei confronti degli enti collettivi.

A giustificazione della propria conclusione la Corte di assise osserva in primo luogo come il Legislatore del 2001 non abbia esercitato la delega di cui all'articolo 11, comma 1, lett. v) l. 300/2000, il quale indicava al Legislatore delegato di « prevedere che il riconoscimento del danno a seguito dell'azione di risarcimento spettante al singolo socio o al terzo nei confronti degli amministratori dei soggetti […] di cui sia stata accertata la responsabilità amministrativa […] non sia vincolato dalla dimostrazione della sussistenza di nesso di causalità diretto tra il fatto che ha determinato l'accertamento della responsabilità del soggetto ed il danno subito » e « che la disposizione non operi nel caso in cui il reato è stato commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di chi svolge funzioni di rappresentanza o di amministrazione o di direzione, ovvero esercita, anche di fatto, poteri di gestione e di controllo, quando la commissione del reato è stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi connessi a tali funzioni ».

La scelta di non disciplinare espressamente l'azione di responsabilità civile nei confronti dell'ente che si ritiene responsabile a norma del d.lgs. 231/2001 non rappresenta, però, indice della volontà di negare la possibilità di esercitare l'azione civile nel processo contro gli enti quanto la conseguenza della scelta del Legislatore delegato di non adeguarsi alle opzioni della legge di delega che individuava un criterio peggiorativo e diverso rispetto a quello, invece, stabilito dalle regole del codice di procedura penale che, a loro volta, richiamano espressamente quelle del codice penale; di conseguenza, stante il fatto che nella legge di delega non è stata introdotta una modalità differenziata di esercizio dell'azione civile nel processo nei confronti degli enti collettivi è da ritenere che è comunque possibile, in tale ambito processuale, ammettere la costituzione di parte civile secondo i termini e le modalità ordinariamente previste del codice di procedura penale, alle cui norme occorre fare rinvio giusto quanto disposto dagli art 34 e 35 del citato d.lgs. 231/2001.

In sostanza, la Corte di assise pugliese sviluppa la seguente argomentazione: il Legislatore del 2001 ha riconosciuto l'ammissibilità della pretesa risarcitoria del danneggiato nella misura in cui, rifiutandosi di dare attuazione ai principi espressi in materia dalla legge delega – in quanto ritenuti suscettibili di generare pesanti ricadute sulla vita dell'ente – ha evitato di adottare una disciplina “speciale” della costituzione di parte civile in malam partem, tenendo ferma, giusta il combinato disposto degli articoli 34 e 35, d.lgs. 231/2001 la disciplina “generale” del codice di procedura penale, senz'altro più favorevole rispetto a quella ipotizzata.

Accanto a questa riflessione, nella decisione in commento sono poi sviluppati ulteriori argomenti come ad esempio quello secondo cui « mai nella relazione illustrativa del d.lgs. 231/2001 vi è un'espressa indicazione nel senso dell'inammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell'Ente », tanto più che, ogni volta in cui il Legislatore ha voluto discostarsi dalla disciplina ordinaria codicistica, ha introdotto nel tessuto del decreto una apposita previsione derogatoria; in tal senso depongono, ad esempio, l'articolo 57 sull'informazione di garanzia, l'articolo 58 in tema di archiviazione, gli articoli 61-64 in materia di procedimenti speciali, nonché gli articoli 53 e 54 sui sequestri cautelari, laddove nessuna norma espressamente esclude la costituzione di parte civile nei confronti dell'ente. Ancora, si osserva come la disciplina dell'articolo 12, nel tipizzare quali ipotesi di riduzione della sanzione pecuniaria le fattispecie della particolare tenuità del fatto e delle condotte riparatorie da parte dell'ente, rivelerebbe l'esistenza di due distinti profili di responsabilità – quella da reato della persona fisica e quella da illecito amministrativo dell'ente – con rilevanti conseguenze in termini di danno risarcibile. Infine, viene sottolineato come, nonostante la responsabilità dell'ente origini da un fatto proprio della persona giuridica e da un particolare specifico atteggiamento soggettivo della stessa denominato come colpa di organizzazione, comunque all'origine della vicenda vi è un reato commesso da una persona fisica con la conseguenza che lo stesso fatto proprio dell'ente « obbliga a norma dell'art. 185 c.p., così come richiamato dall'art. 74 c.p.p., a sua volta espressamente applicabile ex art. 34 d.lgs. 231/2001 al risarcimento del danno ».

In conclusione

Difficile prevedere in che termini la decisione in commento troverà adesione. Certo, a contrasto delle conclusioni ivi assunte sta la considerazione – con cui il giudice pugliese non si confronta – secondo cui non sarebbero ipotizzabili danni, ulteriori rispetto a quelli già prodotti dal reato, riconducibili in via autonoma all'illecito attribuito al soggetto collettivo e rispetto ai quali potrebbe ipotizzarsi la possibilità di esercitare l'azione risarcitoria nell'ambito del procedimento a carico dell'ente, per cui da un punto di vista sostanziale non sarebbe configurabile alcuna ragione di risarcimento del danno in funzione dell'illecito amministrativo rispetto al quale viene evocata una responsabilità diretta della persona giuridica (PISTORELLI; FRACCHIA; TESORIERO). Alla luce di questa osservazione anche le norme di cui agli artt. 12 e 17 del decreto – da più parti indicate a sostegno della tesi favorevole all'ammissibilità della costituzione di parte civile disciplinando benefici premiali in caso di risarcimento del danno da parte dell'ente – conterrebbero in realtà spunti testuali a supporto della posizione contraria, laddove prevedono che il danno che l'ente può intervenire a risarcire è solo quello derivante dal fatto di reato in senso stretto attribuito alla persona fisica e non un ipotetico danno derivato dall'illecito amministrativo.

Inoltre, quand'anche vi fosse spazio per identificare un danno civilmente risarcibile direttamente collegato al titolo che sta alla base della responsabilità amministrativa, la correlativa azione civile non potrebbe comunque essere esercitata nell'ambito del processo penale, tenuto conto della tassatività della previsione dell'art. 1 c.p.p. – secondo cui sono proponibili dinanzi al giudice penale solo le azioni specificamente previste dalle norme di legge – e della conseguente possibilità di esercitare l'azione civile nel giudizio criminale solo in presenza delle condizioni di cui al combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p.: in particolare, l'illecito dell'ente non potrebbe mai identificarsi con il reato, che pure ne costituisce il presupposto e ciò precluderebbe l'applicazione del disposto dell'art. 185 c.p. e, per conseguenza, dell'art. 74 c.p.p., che appunto legittima l'esercizio dell'azione civile nel processo penale agli esclusivi fini del ristoro dei danni menzionati dal citato art. 185 c.p.

Infine, le preoccupazioni emerse sotto il profilo del deficit di tutela della persona offesa (prospettate, fra gli altri, da BIANCHI) debbano comunque essere ridimensionate alla luce della possibilità riconosciuta dalla Corte costituzionale di citare l'ente come responsabile civile per il fatto dell'apicale o del sottoposto ai sensi dell'articolo 83 c.p.p., senza eventuali preclusioni derivanti, come precisato dalla Consulta, da erronee letture che qualifichino persona fisica ed ente quali coimputati.

Rimane semmai un'unica perplessità. Come detto, la ragione principale per escludere la costituzione di parte civile nei relativi procedimenti contro gli enti è l'impossibilità pratica di individuare danni, ulteriori rispetto a quelli già prodotti dal reato, riconducibili in via autonoma all'illecito attribuito al soggetto collettivo e rispetto ai quali è ipotizzabile la possibilità di esercitare l'azione risarcitoria nell'ambito del procedimento a carico dell'ente; quando, infatti, il danneggiato può agire quale parte civile nei confronti dell'autore dell'illecito pare ultroneo ammettere tale costituzione anche nei confronti della società cui appartiene l'accusato principale, giacché da un lato il danneggiato può già tutelarsi e vedersi risarcito dalla persona fisica responsabile del reato costituendosi parte civile nei suoi confronti nell'ambito del relativo procedimento penale e dall'altro in tali circostanze non si vede quale sarebbe il danno ulteriore il cui risarcimento potrebbe essere richiesto alla persona giuridica rispetto alla istanza economica già avanzata nei confronti della persona fisica.

Se ciò è corretto, occorre però interrogarsi se la medesima conclusione circa l'inammissibilità della costituzione di parte civile nei processi avverso gli enti collettivi possa essere mantenuta ferma anche quando, nel processo contro il singolo, la costituzione di parte civile non è possibile e quindi la persona offesa non ha alcuna possibilità di rivalersi sulla persona fisica imputata. Il riferimento è ai molteplici casi, alcuni dei quali previsti espressamente nello stesso decreto n. 231, in cui il giudizio nei confronti della persona fisica non ha luogo mentre si procede avverso la società - come accade, per esempio, quando l'autore del reato non è stato identificato ovvero quando nei suoi confronti il reato si sia estinto per causa diversa dall'amnistia – oppure quando nel corso del procedimento contro la persona fisica non sia possibile procedere a costituzione di parte civile – si pensi all'ipotesi in cui l'autore del reato sia 'uscito' dal processo prima della decisione definitiva, ad esempio perché deceduto o perché ha 'patteggiato' la pena, e dunque il processo prosegue solo nei confronti dell'ente. Nelle ipotesi ora considerate, la persona offesa non può vedere in alcun modo tutelate le sue pretese nell'ambito del procedimento penale verso l'imputato e quindi non avrà altra scelta che agire in sede civile, nonostante davanti al giudice penale sia in corso altro procedimento che ha per oggetto ed origina (anche) dal fatto illecito da cui è derivato il danno per la persona offesa: in tali ipotesi forse sarebbe necessario riconoscere la possibile costituzione di parte civile da parte della persona offesa nei confronti della società in qualche modo protagonista ed implicata nella vicenda delittuosa.

Guida all'approfondimento

In senso contrario alla sentenza in commento:

ARIOLLI, Inammissibile la costituzione di parte civile nel processo instaurato per l'accertamento della responsabilità da reato dell'ente, in Giust. Pen., 2011, III, 257;

BALDUCCI, La Corte di Cassazione prende posizione sulla costituzione di parte civile nel processo a carico dell'ente, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2011, 1121;

BELTRANI, L'inammissibilità della costituzione di parte civile in danno dell'ente al vaglio della corte di Giustizia UE, ivi, 2013, 1, 213;

BRICCHETTI, La persona giuridica non risponde del reato ma di un illecito inidoneo per il risarcimento, in Guida dir., 2011, 9, 52;
GROSSO, Sulla costituzione di parte civile nei confronti degli enti collettivi chiamati a rispondere ai sensi deld.lgs. n. 231 del 2001 davanti al giudice penale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2004, 4, 1335;
MAGLIOCCA, La costituzione di parte civile nel processo de societate, questione definitivamente risolta?, in Arch. pen., 2011, 284;

MUCCIARELLI, Il fatto illecito dell'ente e la costituzione di parte civile nel processo ex d.lgs. n.231/2001, in Dir. Pen. Proc., 2011, 431;
PANASITI, Spunti di riflessione sulla legittimazione passiva dell'ente nell'azione civile di risarcimento, ivi, 2007, 1, 95;

PISTORELLI, Inammissibile per la Corte di cassazione la costituzione di parte civile nei processi a carico degli enti, ibidem, 1385;
SANTORIELLO, La costituzione di parte civile nel processo contro gli enti collettivi: le decisioni della cassazione e della corte di giustizia segnano un punto di approdo solo parziale?, ivi, 2013, 4, 19;
SANTORIELLO, La parte civile nel procedimento per la responsabilità degli enti, in Giur. It., 2011, 1383; VALSECCHI- VISANO', Secondo la Corte di Giustizia UE, l'inammissibilità della costituzione di parte civile contro l'ente imputato ex d.lgs. 231/01 non è in contrasto col diritto dell'Unione, in dir. pen. cont.;

VARANELLI, La Cassazione esclude l'ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti degli enti, in Soc., 2011, 571;

VARRASO, L'"ostinato silenzio" del d.lgs. n. 231 del 2001 sulla Costituzione di parte civile nei confronti dell'ente ha un suo "perchè", in Cass. Pen., 2001, 2539;

VARANELLI, La questione dell'ammissibilità della pretesa risarcitoria nel processo penale nei confronti degli enti. Disamina aggiornata della giurisprudenza, in Resp. Amm. Soc. Enti, 2009, 3, 159;
VIGNOLI, La controversa ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell'ente imputato, ivi, 2006, 3, 28.

***

BIANCHI, Responsabilità da reato degli enti e interessi civili: il nodo arriva alla Corte Costituzionale, in Dir. Pen. Proc., 2013, 951;
BIANCHI, Ancora sulla problematica (in)ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo de societate, in Dir. pen. cont., 22 ottobre 2013

FRACCHIA, In tema di costituzione di parte civile nel procedimento avviato nei confronti degli «enti» di cui al D.Lgs. n. 231/2001, in Soc., 2009, 1031;
PISTORELLI, La problematica costituzione di parte civile nel procedimento a carico degli enti: note a margine di un dibattito forse inutile, in Riv. Resp. Soc. Enti, 2008, 3, 96;
SALA, Ancora in tema di azione civile nel processo penale de societate: la Corte costituzionale ammette la citazione dell'ente come responsabile civile, in dir. pen. cont.

TESORIERO, Sulla legittimità della costituzione di parte civile contro l'ente nel processo ex d.lgs. 231/2001, in Cass. pen., 2008, 3865

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