Configurabilità della ricettazione di file provenienti dalla condotta di accesso abusivo a sistema informatico
22 Giugno 2016
Massima
Ai fini della configurabilità del dolo specifico di profitto, che concorre a connotare il delitto di ricettazione, non è necessaria l'ingiustizia del profitto perseguito dall'agente. Il caso
Nella vicenda su cui la Corte di legittimità è stata chiamata a pronunciarsi, l'imputato aveva acquisito da un soggetto che si era abusivamente introdotto nel sistema informatico di una società, file e dati memorizzati in vari dischetti. La questione
Fattispecie in cui la suprema Corte ha annullato con rinvio una decisione avente ad oggetto, tra gli altri profili, la configurabilità del delitto di ricettazione con riguardo a supporti informatici (incorporanti dati abusivamente carpiti tramite le condotte di cui all'art. 615-ter cp) e la natura del “profitto” oggetto del dolo specifico tipizzato nell'art. 648 c.p. Le soluzioni giuridiche
La suprema Corte dopo essersi soffermata sulla c.d. doppia conforme (doppia pronuncia di uguale segno) – affermando come il vizio di travisamento della prova possa essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto, come oggetto di valutazione, nella motivazione del provvedimento di secondo grado – ha affrontato la questione della configurabilità del delitto di ricettazione relativamente all'acquisizione da parte del ricorrente di file abusivamente copiati e trasferiti su dischetti. A fronte dei rilievi dell'imputato relativi all'impossibilità di configurare la ricettazione per difetto di materialità della res (i dati informatici illegittimamente carpiti), quale oggetto della condotta di cui all'art. 648 c.p., la suprema Corte approfondisce la nozione giuridica di cosa, rilevante ai fini della riconducibilità dei file nel perimetro applicativo della ricettazione, riportandone sia la l'interpretazione tradizionale, a tenore della quale essa è da intendersi come sostanzialmente corrispondente a quella di bene (dunque oggetti corporali e entità naturali dotate di valore economico e suscettibili di apprensione), sia quella elaborata da più recente dottrina, che esclude dal relativo ambito i beni immateriali (salvo siano incorporati in supporti materiali) e i dati informatici, oggetto di autonoma disciplina normativa. Si precisa altresì come sia cosa mobile (sulla scorta di quanto indicato dall'art. 812, comma 3, c.c. e sulla base di talune decisioni della giurisprudenza) l'entità materiale su cui i beni immateriali vengono trasfusi, così che i primi acquisiscono il valore di questi, mutuandone l'idoneità a soddisfare i bisogni umani cui il bene è strumentale. Sulla base di tali premesse viene qualificato come cosa anche il supporto informatico sul quale, nella vicenda oggetto della decisione, furono trasferiti i dati indebitamente carpiti attraverso le condotte integranti lo schema di cui all'art. 615-ter c.p., costituente reato presupposto rispetto alla ricettazione in contestazione; respingendo l'argomento, addotto in sede difensiva, della censurabilità, alla stregua della giurisprudenza della Corte Edu, della retroattività dell'orientamento giurisprudenziale sfavorevole con riguardo all'interpretazione della norma al momento della commissione del fatto concernente l'irrilevanza della successiva materializzazione (riferendosi essa ad una interpretazione, non dominante, di norma diversa, l'art. 326 c.p., posta a tutela di un bene diverso: pubblica amministrazione, anziché patrimonio). Dopo un'ampia esposizione sulle indagini difensive (e sulla necessità del loro coordinamento, oltre che con l'utilizzabilità degli atti di parte, con le caratteristiche della fase e del grado del procedimento), si ritorna alla considerazione dei requisiti di configurabilità della ricettazione, con riguardo, in particolare, alla natura non esclusivamente patrimoniale del profitto – oggetto del dolo specifico – e alla sua non necessaria connotazione in termini di ingiustizia, spiegata in ragione della ratio incriminatrice della norma di cui all'art. 648 c.p., volta a vietare la circolazione della cose prevenienti da delitto e a prevenire la commissione dei reati presupposto, così da rendere irrilevante la natura del profitto perseguito dall'agente. Osservazioni
La suprema Corte, nella decisione in commento, riconduce al delitto di ricettazione la condotta del ricorrente – che aveva ricevuto dischetti contenenti informazioni abusivamente acquisite tramite il ricorso alla condotta di cui all'art. 615-ter c.p. – argomentandola sia sulla base della qualificabilità dei file illegittimamente conseguiti come cose, sia sulla base della non necessaria connotazione nei termini di ingiustizia del profitto – sostenuta invece dalle difese, per affermare la mancata integrazione del tipo, in quanto il ricorrente avrebbe agito nell'esercizio del suo diritto di difesa, ex art. 51 c.p. – posto che il testo della norma che punisce la ricettazione si limita ad indicare genericamente il fine di procurare a se o ad altri un profitto.Con riguardo, in particolare, a quest'ultimo profilo, va da subito osservato come la tesi sostenuta dalla Corte appaia supportata da solidi argomenti, sia di natura letterale, che sistematica. Non solo infatti il dettato normativo di cui all'art. 648 c.p. non connota in alcuna maniera il profitto – al fine di procurare a sé o ad altri un profitto – così che la qualificazione di esso come ingiusto, appare surrettiziamente sostenuta ma, a conferma del principio secondo il quale ubi lex voluit, dixit, se per altre previsioni (peraltro, non a caso, vista la comune collocazione: Reati contro il patrimonio) ricomprese nello stesso titolo, il Legislatore, come la sentenza non ha mancato di sottolineare, qualifica il profitto richiedendone l'ingiustizia (es. artt. 628, 629, 630, 632, 640, 640-ter e 646 c.p. In dottrina v. PESTELLI, 825), significativamente per il delitto di ricettazione, tace (ubi noluit, tacuit). Così, sebbene in dottrina si sia ritenuto, da parte di taluni, come l'ingiustizia del profitto debba considerarsi quale requisito implicito, in quanto, si sostiene, non avrebbe senso punire un soggetto che consegue un risultato approvato dall'ordinamento (facendosi così derivare l'esclusione del dolo di ricettazione nel caso in cui il soggetto agisca al fine di procurare a se o ad altri un profitto giusto. V. FIANDACA-MUSCO, 245; MANTOVANI, 267); in senso contrario alle tesi appena descritta, va osservato come la ricostruzione che, in ossequio alla lettera della norma, includa il profitto giusto quale oggetto del dolo specifico (ZANCHETTI, 182), oltre ad essere rispettosa del dato letterale, sia l'unica che consenta un raccordo coerente con la ratio della norma, che è quella di vietare la circolazione della cose di provenienza criminosa (ed impedire così che il provento dei reati contro il patrimonio possa costituire fonte di successivi e ulteriori profitti per altri soggetti, con il rischio, come rilevato in sede interpretativa, ove si aderisca alla tesi che richiede l'ingiustizia del profitto, di lasciare impunito il soggetto che acquisti o riceva denaro o cose illegittimamente sottratte ad altri per soddisfare un proprio credito nei confronti dell'autore del delitto presupposto, suo debitore. V. MANTOVANI, 260; PESTELLI, 825). A ciò si aggiunga, marginalmente, una riflessione di carattere più generale: l'interpretazione che enfatizza la necessità della connotazione della finalità di profitto nei termini dell'ingiustizia per giustificare la criminalizzazione di un comportamento, di cui diversamente non si riuscirebbe a individuare la ratio della penale rilevanza, oltre a disconoscere la considerazione dell'esistenza nel nostro ordinamento di norme, quale, ad esempio, quella di cui all'art. 392 c.p., in cui il preteso diritto, all'affermazione del quale si proietta finalisticamente la condotta, non vale a qualificare come conforme all'ordinamento la condotta, si pone in termini di difficile compatibilità con l'esigenza – imposta dal rispetto del principio di materialità – di incentrare sulla condotta, e non sulla finalità eventualmente contrastante con l'ordinamento che anima il soggetto, la legittimazione dell'intervento punitivo (MARINUCCI-DOLCINI, 417). Più controversa appare la qualificabilità come cose dei file/dati informatici, operazione interpretativa indispensabile perché essi vengano considerati oggetto della condotta di ricettazione, che nella fattispecie di cui all'art. 648 c.p. espressamente richiama il denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto. La nozione di cose (in senso patrimoniale-penale) elaborata in sede dottrinale è quella che ricomprende nel suo ambito, oltre agli oggetti corporali, anche le entità materiali su cui i beni immateriali – es. diritto di credito, idee, informazioni – vengono trasfusi, come nel caso della carta o di un dischetto, anche se in queste ipotesi, si precisa, è il valore del bene che conferisce alla fisicità della cosa la funzione strumentale: incorporando il bene immateriale, tali entità materiali acquisiscono il valore di questo, diventando cose idonee a soddisfare quei particolari bisogni umani (MANTOVANI, 23). In particolare, per la materia che qui interessa, quanto ai c.d. beni informatici – dati, informazioni, programmi – in via di massima si esclude che essi possano essere considerati cose, tali dovendosi invece considerare i supporti fisici che tali beni incorporano, acquistandone il corrispondente valore (REINOTTI, 470; BALDI, 789); pertanto, si esemplifica, costituisce furto la sottrazione del dischetto in cui è fissato il programma elettronico ma non anche la sottrazione dei dati e programmi senza l'asportazione del detto supporto – es. mediante lettura o riproduzione. Taluno tuttavia in sede interpretativa ammette la possibilità che beni immateriali costituiscano oggetto di reati contro il patrimonio, benché limitatamente ai reati di truffa o di estorsione (MANTOVANI, 23). Quanto alla giurisprudenza, l'orientamento prevalente è quello secondo il quale l'immaterialità del bene ne impedirebbe la ricettazione (BALDI); in tale sede si è così esclusa la responsabilità per il reato di ricettazione a carico del soggetto che si sia limitato a ricevere dati, informazioni, e notizie tratte da materiale documentario oggetto di furto, mancando l'esistenza di un res suscettibile di apprensione (Cass. pen., Sez. II, 21 ottobre 2004, n. 308). Altrettanto significativo di tale prospettazione interpretativa il richiamo ai casi di rivelazione di segreti d'ufficio, la cui condotta consiste nell'indebita cessione a terzi di conoscenze sottratte alle divulgazione: per il percettore della rivelazione (che può eventualmente rispondere di concorso nel medesimo reato) si è ritenuto di dover escludere l'addebito del delitto di cui all'art. 648 c.p., posto che il delitto di ricettazione configura un' ipotesi di illecita circolazione di un bene materiale e non di un'informazione, mentre il supporto materiale – cd-rom, dvd, copia cartacea – su cui circola l'informazione, deve ritenersi come meramente strumentale alla rivelazione del segreto (Cass. pen., Sez. II, 23 aprile 2008, n. 34717). Nello stesso senso si iscrivono quelle decisioni che escludono la configurabilità del furto nel caso di semplice copiatura non autorizzata di file contenuti in sistema informatico altrui, supportando una tale opzione interpretativa sulla scorta dell'osservazione secondo la quale l'attività di copiatura non comporta la perdita della res da parte del legittimo detentore (Cass. pen., Sez. IV, 13 novembre 2003, n. 3449). A sostegno di tale principio si è richiamato quanto contenuto all'interno della Relazione al disegno di legge n. 2733, con cui si sono introdotte norme specifiche in materia di contrasto alla criminalità informatica, che proprio sull'impossibilità di ricomprendere nel concetto di cosa mobile dati, programmi ed informazioni, (così da escludere la configurabilità del reato di furto, in caso di loro sottrazione), motivava la necessità dell'introduzione di una disciplina ad hoc; aggiungendo altresì come la sottrazione di dati, quando non si estenda ai supporti materiali su cui i dati sono impressi (configurando, essa sì, il reato di furto), non è che una presa di conoscenza di notizie, cioè un fatto intellettivo, eventualmente rientrante nelle previsioni concernenti la violazione di segreti (Cass. pen., Sez. IV, 26 ottobre 2010, n. 44840). Di ausilio, nell'opera di qualificazione delle condotte criminose aventi ad oggetto file di cui si sia abusivamente conseguita la disponibilità, la considerazione del delitto cui i file in oggetto sono “collegati”: la neutralità del termine non è casuale. Come noto, la ricettazione impone che vi sia tra il suo oggetto ed il delitto presupposto un nesso di derivazione; è altrettanto noto come la nozione di derivazione o provenienza dal reato, non sia stata univocamente interpretata. Taluni infatti vi ricomprendono non solo il corpo del reato, ma anche tutte quelle cose che si ricollegano al fatto criminoso; in senso critico rispetto a questa tesi si è tuttavia osservato come così facendo si confonde il concetto di provenienza con quello di attinenza (sostituendo ad una specifica nozione di origine – da – con quello di appartenenza – relativo a), mentre da un delitto derivano solo i beni ottenuti mediante esso, quelli cioè rientranti nel concetto giuridico di oggetto materiale del reato (PECORELLA, 945). C'è pertanto da chiedersi quale tipologia di nesso di derivazione configuri e, prima ancora, se un nesso in tale termini vi sia, tra i dati incorporati nei supporti materiali e l'accesso abusivo a sistema informatico che ha reso possibile l'acquisizione dei primi. In secondo luogo, si tratta di verificare in capo a cosa possa assegnarsi la qualificazione di oggetto materiale del reato. Invero, anche con riguardo a questo profilo la dottrina si è confrontata in termini problematici per chiedersi se, per la configurabilità della fattispecie di cui all'art. 648 c.p., la cose debbano rimanere le stesse o se possano venire alterate o trasformate (ovvero sostituite da un loro equivalente); il risultato cui si è pervenuti in maniera sostanzialmente concorde è stato quello di richiedere che l'oggetto della ricettazione sia la stessa cosa proveniente dal delitto principale (tale rimanendo anche nel caso in cui abbia subito alterazioni o trasformazioni. V. MANTOVANI, 266; PECORELLA, 943). L'interrogativo, pertanto, concernente la relazione tra i dati incorporati nei supporti materiali e il reato presupposto, quali elementi dello schema di cui all'art. 648 c.p., impone a nostro avviso la necessità di operare una distinzione tra acquisizione di dati e uso degli stessi. Se è vero che l'acquisizione di dati è conseguente alla condotta di accesso abusivo all'altrui sistema informatico, quindi un nesso di derivazione rispetto al reato di cui all'art. 615-ter c.p. indubbiamente può dirsi ricorrente, è pur vero che la qualificabilità della condotta di abusivo conseguimento dei dati informatici, quale delitto presupposto della ricettazione, risulta condizionata dalla qualificabilità come cosa mobile del dato informatico. Il che, come si è visto, appare controverso. Diverse le conclusioni ove invece si consideri il supporto materiale che incorpora il dato informatico: per esso la qualificazione di cosa mobile risulta incontrovertibile. Adottata una tale prospettiva, la configurabilità del delitto di ricettazione sarà legata alla ricorrenza dell'altro presupposto per la configurabilità del delitto di cui all'art. 648 c.p., quello del nesso di derivazione tra l'oggetto della ricettazione ed il delitto presupposto, oltre che alla qualificabilità del supporto materiale in parola come medesimo oggetto: il supporto materiale incorporante i dati può costituire esso la cosa derivante dal reato presupposto? Può affermarsi la coincidenza quale “medesimo oggetto materiale” tra il dato informatico ed il supporto materiale? Solo in caso di risposta affermativa a queste domande la configurabilità della ricettazione, a nostro avviso, può dirsi ammissibile. La soluzione alla possibilità di includere nel novero delle cose oggetto di ricettazione file indebitamente acquisiti, appare dunque legata alla “latitudine” (quanto ampio debba intendersi il concetto di cosa) ed alla portata definitoria (nozione di derivazione) dei requisiti della ricettazione, solo apparentemente di agevole individuazione. Un dato tuttavia, a nostro avviso, deve essere tenuto presente nell'attività di qualificazione giuridica della condotta consistente nell'acquisizione di dischetti contenenti file abusivamente carpiti: se la condotta di cui all'art. 615-ter c.p. s'incentra sull'indebita “intrusione” nel domicilio informatico (Cass. pen., Sez. un., 7 febbraio 2012, n. 4694, le quali hanno precisato che la direzione lesiva si sostanzia nell'indebita presa visione di dati tutelati in quanto rientranti nel concetto di riservatezza, quale ratio di tutela della previsione), le attività che conseguono a tale abusiva “intrusione” concernenti tali dati, non possono essere oggetto di una considerazione indifferenziata. In taluni casi, come per le ipotesi di copiatura di codici per la clonazione di telefoni cellulari, effettivamente il reato di ricettazione potrà configurarsi (Cass. pen., Sez. II, 17 dicembre 2004, n. 5688; Cass. pen., Sez. II, 17 gennaio 2003, n. 36288), ponendosi la copiatura di file quale condotta prodromica alla realizzazione di reati che hanno ad oggetto cose (telefoni cellulari clonati) Diverso discorso nei casi in cui l'abusiva presa visione di file contenuti in un sistema informatico non sia prodromica ad altra ulteriore attività, che non sia quella concernente l'eventuale configurabilità dei reati connessi alla rivelazione o alla divulgazione di notizie che devono rimanere riservate (Cass. pen., Sez. II, 23 aprile 2008, n. 34717, secondo la quale la ricezione di una cosa reale contenente notizie d'ufficio altro non è che la fase terminale della ricezione della notizia, non la ricezione di altro da sé, che potrebbe costituire oggetto della ricettazione). Rispetto ad essi, il percettore di informazione abusivamente carpite, può assurgere al ruolo di partecipe, dunque essere punito, solo laddove si riconosca – e ciò non è pacifico – la configurabilità del concorso di persone per i reati necessariamente plurisoggettivi impropri (peraltro autorevolmente esclusa da chi, proprio con riguardo al reato di rivelazione di segreto d'ufficio, osserva, a proposito della non punibilità di chi riceva la notizia, come il “vuoto repressivo” non possa essere colmato dalla norma sul concorso di persone, la cui funzione incriminatrice concerne solo le condotte atipiche. V. MARINUCCI-DOLCINI, 433). Laddove pertanto non si aderisca alla qualificazione come cose dei dati contenuti in un sistema informatico, appare assai problematico affidare ad un'attività eventuale, quale deve ritenersi l'incorporazione dei file in un supporto materiale (i dati abusivamente acquisiti avrebbero infatti potuto essere trascritti sommariamente ovvero non trascritti affatto, ma affidati alla memoria dell'autore della condotta di cui all'art. 615-ter c.p.), il presupposto su cui incentrare la punibilità di una condotta – la ricezione di informazioni indebitamente ottenute – ex art. 648 c.p., considerando che l'alternativa ad essa, in assenza cioè di incorporazione dei dati, potrebbe addirittura essere non solo la configurabilità di reati, quali quelli concernenti la rivelazione di segreti, assai più modestamente puniti, ma, addirittura (come si è richiamato a proposito della punibilità ex art. 110 c.p. per i reati plurisoggettivi impropri) la possibilità dell'impunità. BALDI, Art. 648 cp, in LATTANZI-LUPO, Codice penale, rassegna di giurisprudenza e dottrina, XII, Milano, 2010,; FIANDACA – MUSCO, Diritto penale, parte speciale, Bologna, 2007; MANTOVANI, Diritto penale. Parte speciale, II, Torino, 2012; MARINUCCI-DOLCINI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 2012; PECORELLA, voce Ricettazione, in Noviss. dig. it., XV, Torino, 1968; PESTELLI, I delitti di ricettazione e riciclaggio, in AA.VV., Trattato di diritto penale, Vol. X, I Delitti contro il patrimonio, Torino, 2011; REINOTTI, voce Ricettazione e riciclaggio, in Enc. dir., XL, Milano, 1989; ZANCHETTI, voce Ricettazione, in Dig. disc. pen., XII, 1997. |