La regola di giudizio della sentenza di non luogo a procedere
23 Marzo 2016
Massima
Il giudice dell'udienza preliminare, ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, deve esprimere una valutazione prognostica in ordine alla completabilità degli atti di indagine e alla inutilità del dibattimento, anche in presenza di elementi di prova contraddittori o insufficienti, dando conto del fatto che il materiale dimostrativo acquisito è insuscettibile di completamento e che il proprio apprezzamento in ordine alla prova positiva dell'innocenza o alla mancanza di prova della colpevolezza dell'imputato è in grado di resistere ad un approfondimento nel contraddittorio dibattimentale. È altresì inibita al giudice dell'udienza preliminare non soltanto la valutazione nel merito del materiale probatorio devolutogli ma gli è altresì vietato di disporre il proscioglimento dell'imputato tutte le volte in cui le fonti di prova si prestino ad interpretazioni aperte o alternative, o comunque ad una nuova valutazione all'esito della verifica dibattimentale. Il caso
Il giudice dell'udienza preliminare emetteva sentenza di non luogo a procedere nei confronti di più imputati del reato di frode fiscale commesso tramite fatture relative ad operazioni inesistenti. Il giudice riteneva che il risultato delle indagini svolte dal P.M. costituirebbe un quadro meramente sintomatico ma non idoneo a costituire valida fonte di prova dei reati, e che eventuali esiti dibattimentali delle indagini non potrebbero essere dimostrativi della penale responsabilità degli imputati. Proponeva ricorso il P.G. deducendo vizio di violazione di legge ed omessa motivazione della sentenza. In motivazione la Corte precisava che il giudice aveva dato atto dell'esistenza di fattori seriamente indizianti a carico degli imputati e sintomatici di una possibile responsabilità penale da valutarsi in base al libero convincimento del giudice unitamente ad altri elementi di riscontro, tuttavia ritenute non acquisibili in corso di dibattimento. Inoltre, il giudice aveva reputato inutilizzabili le dichiarazioni confessorie rese dagli imputati escludendone a priori la ripetibilità in dibattimento, giungendo alla conclusione che non era dimostrata la responsabilità degli imputati oltre ogni ragionevole dubbio. La Corte conclude per l'illegittimità della sentenza emessa attesa la violazione della regola di giudizio espressa in massima posta a fondamento della sentenza di non luogo a procedere emessa ai sensi dell'art. 425 c.p.p. La questione
La questione in esame è la seguente: qual è la regola di giudizio che il giudice dell'udienza preliminare deve applicare nell'emettere sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 c.p.p. Le soluzioni giuridiche
La sentenza in disamina costituisce espressione del consolidato indirizzo giurisprudenziale in materia di regola di giudizio della sentenza di non luogo a procedere. In tal senso la massima sopra riportata riprende quella di Cass. pen.,Sez. VI, 26 giugno 2014, n. 36210, ed è complementare ad altre pronunce in cui si sostiene l'inammissibilità di giudizi di merito attesa la natura processuale della sentenza di non luogo a procedere (Cass. pen., Sez. II, 5 novembre 2015, n. 46145), senza che possano operarsi valutazioni di tipo sostanziale in presenza di fonti di prova che si prestano ad una alternatività di soluzione valutative (Cass. pen., Sez. V, 19 giugno 2014, n. 41162). Di tenore parzialmente diverso si segnala Cass. pen., Sez. VI, 3 giugno 2015, n. 29156, in cui si equipara, ai fini del controllo di legittimità, la sentenza di non luogo a procedere alla sentenza di assoluzione nel merito, essendo richiesta la completezza e la congruità della motivazione in relazione all'aspetto prognostico della insostenibilità dell'accusa in giudizio sotto il profilo della non suscettibilità del compendio probatorio a subire mutamenti nella fase dibattimentale, senza distinzioni astratte tra valutazioni processuali e di merito. Osservazioni
La dottrina e la giurisprudenza discutono sui limiti funzionali del giudice dell'udienza preliminare sin dall'entrata in vigore del codice Vassalli. In tale arco temporale la legge 479 del 1999 (c.d. Carotti) ha significativamente modificato l'art. 425 c.p.p. prevedendo quale causa di non luogo a procedere anche l'insostenibilità dell'accusa in giudizio, simmetricamente a quanto previsto per la sentenza dibattimentale ex art. 530, comma 2, c.p.p. Inoltre, la legge 46 del 2000 (c.d. Pecorella) ha escluso l'appellabilità della sentenza di non luogo a procedere, prevedendo la sola impugnazione di legittimità in Corte di cassazione disciplinata dall'art. 428 c.p.p., norma che non è stata travolta dalla censura di illegittimità costituzionale che ha fulminato l'inappellabilità delle sentenze di assoluzione da parte del P.M. Con la prima legge si è inteso superare la configurazione dell'udienza preliminare quale mero filtro delle imputazioni azzardate formulate dal P.M., che rendeva secondo alcuni del tutto inutile tale scansione processuale in assenza di richieste di riti alternativi e ingiustificato il costo – anche economico – di un'udienza dall'esito scontato nell'assoluta maggioranza dei casi. Con la seconda legge si è eliminata la mediazione della Corte di appello sulle decisioni del giudice dell'udienza preliminare limitando la dialettica tra il giudice gravato e quello del gravame al solo giudizio di legittimità con necessaria esclusione del merito, con l'ulteriore corollario che l'annullamento della sentenza di non luogo a procedere comporta il rinvio al Gup, mentre la non conferma della sentenza da parte della Corte di Appello consentiva l'immediato rinvio a giudizio dell'imputato davanti al tribunale, come prevedeva il previgente art. 428, comma 6, c.p.p. con indubbio risparmio di tempi processuali. Nondimeno, in alcun caso la sentenza di non luogo a procedere è equiparata ad una sentenza di merito, denotando natura esclusivamente processuale anche in ragione della sua revocabilità in presenza di nuove fonti di prova. La giurisprudenza e la dottrina in sostanza concordano sulla natura prognostica del giudizio, sotto il profilo della inutilità del dibattimento quando non potrebbe realisticamente apportare ulteriori elementi di valutazione rispetto alla piattaforma valutativa che già emerge dalle indagini preliminari. È quindi la possibilità di completare le risultanze delle indagini viste nella prospettiva della loro trasformazione in prova nel dibattimento che preclude al giudice dell'udienza preliminare di emettere sentenza di non luogo a procedere e la violazione di tale regola comporterebbe una inammissibile coincidenza tra un giudizio di tipo processuale con uno di pieno merito. Se in astratto tale regola di giudizio – all'evidenza tutta pretoria giacché si fonda sull'interpretazione vivente dell'art. 425 c.p.p. – è condivisa dai più, è pur vero che nelle singole fattispecie non è sempre agevole per il giudice districarsi tra impulsi deflattivi del dibattimento giustamente evocati dalle difese e consapevolezza del limite delle soluzioni aperte che invece dovrebbero imporre il rinvio a giudizio dell'imputato. Il tutto peraltro filtrato dai poteri ufficiosi di tipo istruttorio che gli consentono di acquisire personalmente prove manifestamente decisive per una decisione liberatoria (art. 422 c.p.p.) e di disporre nuove indagini in caso di incompletezza delle stesse restituendo gli atti al P.M. (art. 421-bis c.p.p.). Ed è probabilmente su tale versante che si gioca la tenuta della regola di giudizio in disamina, giacché disporre il rinvio a giudizio dell'imputato prevedendo la possibilità di completare il quadro probatorio in dibattimento nel contraddittorio delle parti non sempre si concilia con la possibilità di attivare lo strumento integrativo delle indagini, peraltro non meramente potestativo ma doveroso giacché la norma recita indica le ulteriori indagini in caso di indagini incomplete. Quindi la prognosi dovrebbe piuttosto riguardare la prevedibile trasformazione in prova degli atti di indagine (in tale direzione si muove la sentenza n. 29156 sopra richiamata) e non l'acquisizione di prove di accusa poco realistiche, quale ad esempio la confessione dell'imputato in sede di esame, sempre possibile anche in relazione all'accusa più azzardata. Deve poi rilevarsi che il decreto che dispone il giudizio, provvedimento antagonista rispetto alla sentenza di non luogo a procedere, è atto non motivato rispetto al prevedibile sviluppo dibattimentale, e pertanto tale possibilità di completamento del quadro probatorio rimane in mente iudicis e quindi non valutabile ed incensurabile. Se da un lato – de iure condendo – sarebbe quindi opportuno prevedere la possibilità di motivare anche nel merito il decreto che dispone il giudizio con atto separato da inserire nel fascicolo del P.M. al fine di non influenzare il giudice del dibattimento, dall'altro occorrerebbe attribuire maggior valore al principio di tendenziale completezza delle indagini, in quanto se le indagini sono complete la piattaforma valutativa del Gup e quella del giudice del dibattimento possono tendenzialmente coincidere. Anzi, di regola il giudice del dibattimento riesce a valutare come prove soltanto una misura ridotta del portato accusatorio delle indagini, con la conseguenza che sotto il profilo cognitivo le evidenze valutate dal Gup possono essere addirittura più complete rispetto a quelle acquisibili in dibattimento, che non di rado si conclude con esiti assolutori perché i testi non dichiarano quanto riferito in qualità di sommari informatori o gli esiti delle consulenze tecniche del P.M. non trovano conforto nella perizia disposta dal giudice o nell'esame incrociato del consulente. In conclusione, se pare condivisibile il postulato secondo cui al giudice dell'udienza preliminare sono precluse valutazioni di responsabilità penale oltre ogni ragionevole dubbio, sarebbe tuttavia auspicabile che la sentenza di non luogo a procedere possa emettersi tutte le volte in cui il giudice ritiene l'accusa non sostenibile in giudizio, a fronte di un quadro investigativo tendenzialmente completo grazie anche ai poteri istruttori ufficiosi e sovrapponibile rispetto ai realistici – e non congetturali – risultati dell'istruttoria dibattimentale, se del caso articolando esaustive valutazioni nel merito della fattispecie sulla base degli atti dichiarati utilizzabili. |