La vendita di consolle modificate per l’utilizzo di supporti abusivamente duplicati
23 Luglio 2015
Massima
Integra il reato previsto dall'art. 171-ter, comma 1, lett. f-bis, della legge 22 aprile 1941, n. 633, la condotta di chi pone in vendita consolle modificate per poter leggere ed utilizzare anche videogames masterizzati o abusivamente duplicati in violazione delle norme sulla proprietà intellettuale. Il caso
Nel corso di una ordinaria attività di verifica espletata durante una fiera commerciale, la Guardia di Finanza rinveniva nella disponibilità di un rivenditore numerose consolle del tipo Play Station 2 destinate alla vendita, che erano state opportunamente modificate al fine di consentire al dispositivo di leggere anche videogiochi non originali o abusivamente duplicati. Il rivenditore, dopo essere stato condannato nei gradi di merito, proponeva ricorso per cassazione sostenendo che la modifica strutturale della consolle era volta, in senso migliorativo, a consentire la lettura e l'utilizzo anche di altre tipologie di programmi e non solo del software proveniente dal produttore. Pertanto, la modifica apportata all'interno del sistema non era strumentale alla elusione delle misure tecnologiche di protezione o degli accorgimenti predisposti dal fabbricante ma solo a potenziare e maggiorare le prestazioni dell'apparecchio. La questione
Sulla base di queste premesse, la Suprema Corte è stata chiamata a decidere se la vendita di consolle modificate del tipo Play Station 2 sia penalmente rilevante perché consente l'impiego e lo sfruttamento di videogiochi abusivamente duplicati o se, invece, l'intervento a livello hardware sia privo di disvalore penale, perché volto a migliorare le prestazioni complessive del dispositivo.
Le misure tecnologiche di protezione Le consolle sono generalmente progettate e commercializzate in modo da poter leggere i supporti originali contenenti giochi, suoni e immagini in movimento, attraverso una misura tecnologica di protezione, che crea un collegamento elettronico con i programmi da utilizzare. Una parte significativa degli strumenti di difesa del diritto d'autore sono attualmente orientati ad interagire in modo coordinato con il supporto oggetto di protezione e al contempo con l'apparato destinato ad utilizzarlo. I produttori, infatti, inseriscono all'interno del sistema i cosiddetti modchips, che sono misure tecnologiche di protezione, ovvero componenti hardware destinati ad influire sulle funzionalità originarie della consolle per videogiochi, per impedire che possano funzionare giochi diversi da quelli prodotti dal costruttore o copie di supporti non autorizzate dal titolare dei diritti di privativa. Le consolle (tra cui la Play Station) sono dei veri e propri elaboratori elettronici le cui potenzialità, ridotte dalla società produttrice per ragioni commerciali, risultano limitate al caricamento di videogiochi. Si tratta di piattaforme dotate di un sistema operativo che consentono un utilizzo e un'espansione (con ricorso a linguaggi di programmazione) che le avvicinano molto alle funzionalità di un sistema informatico o di un sofisticato elaboratore elettronico. L'art. 171-ter, comma 1, lett. f-bis, della legge 22 aprile 1941, n. 633, punisce chiunque a fini di lucro fabbrica, importa, distribuisce, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, pubblicizza per la vendita o il noleggio, o detiene per scopi commerciali, attrezzature, prodotti o componenti ovvero presta servizi che abbiano la prevalente finalità o l'uso commerciale di eludere efficaci misure tecnologiche di cui all'art. 102-quater ovvero siano principalmente progettati, prodotti, adattati o realizzati con la finalità di rendere possibile o facilitare l'elusione delle predette misure. A sua volta, l'art. 102-quater della legge 22 aprile 1941 n. 633 definisce misure tecnologiche di protezione efficaci per tutte le tecnologie, i dispositivi o i componenti che, nel normale corso del loro funzionamento, sono destinati a impedire o limitare atti non autorizzati dai titolari dei diritti. Le norme richiamate, quindi, puniscono l'arbitraria rimozione (a fini di lucro) delle misure tecnologiche di protezione, che, anticipando la tutela penale, intendono evitare che l'utente utilizzi copie abusive dei supporti contenenti giochi o altri programmi. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte ha affermato che i modchips sono contrari al diritto d'autore, a causa delle loro spiccate finalità elusive, per cui è illecita la detenzione di consolle per videogiochi, destinate alla vendita, dopo essere state sottoposte a modifiche (mediante introduzione di un microchip) al fine di leggere anche supporti contenenti giochi abusivamente duplicati. Osservazioni
La Suprema Corte ha ribadito che è penalmente rilevante l'installazione su consolle destinate alla vendita di modchips finalizzati ad aggirare le misure tecnologiche apposte a protezione dei diritti sulle opere dell'ingegno. Nel caso in cui vengano introdotti nella consolle supporti privi del codice di accesso, la macchina non li riconosce come validi e non dà inizio al caricamento, impedendone così il funzionamento: per rappresentare meglio il concetto, nel testo della sentenza viene efficacemente richiamata l'immagine del meccanismo “chiave-serratura”. I modchips, quindi, presentano evidenti finalità elusive e non può sostenersi che siano destinati ad ampliare le funzionalità della consolle, tra cui la possibile lettura di supporti di altre case produttrici o l'installazione di ulteriori sistemi operativi. Rientrano, infatti, nella fattispecie penale prevista dall'art. 171-ter, comma 1, lett. f-bis, l. 22 aprile 1941, n. 633, tutti i congegni principalmente finalizzati a rendere possibile l'elusione delle misure tecnologiche di protezione apposte su materiali od opere protette dal diritto d'autore, non richiedendo la norma incriminatrice la loro diretta apposizione sulle opere o sui materiali tutelati (Fattispecie in materia di sequestro di dispositivi che consentivano l'utilizzazione, su consolle videoludiche di differenti marche, di videogiochi illecitamente duplicati o scaricati abusivamente da Internet – Cass. pen., Sez. III, 11 maggio 2010, n. 23765). Le misure tecnologiche di protezione sono una sorta di "antifurto digitale”: alla minaccia della pirateria è stata predisposta una contromisura elettronica, alla quale il legislatore attribuisce rilevanza giuridica. L'applicazione di queste misure è stata concepita come un efficace mezzo per contrastare l'utilizzo indiscriminato della tecnologia digitale, che rappresenta lo strumento principale per la libera e incontrollata circolazione dei contenuti “copiati” in pregiudizio delle aspettative (soprattutto economiche) degli autori e degli editori. L'art. 171-ter, comma 1, lett. f-bis, della legge sul diritto d'autore costituisce un reato-ostacolo che, anticipando la soglia di punizione, intende reprimere le condotte prodromiche alla rimozione delle misure tecnologiche di protezione e ad impedire la circolazione non autorizzata dei contenuti digitali oggetto di tutela. È stato sostenuto in dottrina che le condotte sanzionate, essendo prodromiche alla lesione del bene tutelato, sono assimilabili alla contravvenzione di possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli (art. 707 c.p.). Inoltre, la Suprema Corte ha specificato che i videogiochi utilizzati per mezzo di personal computer o di consolle non costituiscono "programmi per elaboratore" ai fini della legge n. 633/1941 ma un prodotto diverso da ricondurre alla categoria dei supporti contenenti sequenze di immagini in movimento (Cass. pen., Sez. III, 25 maggio 2007, n. 33768). Essi, infatti, pur contenendo alcune istruzioni, danno corso alla componente principale, che è rappresentata da sequenze di immagini e suoni che, pur in presenza di molteplici opzioni a disposizione dell'utente (secondo una interattività mai del tutto libera), compongono una trama e sviluppano un percorso ideato e incanalato dagli autori del gioco. |