Le notifiche al difensore di fiducia invece che nel luogo indicato nell’elezione di domicilio: irregolari ma valide
23 Novembre 2015
Massima
La notifica all'imputato, poi rimasto contumace, eseguita presso lo studio del difensore nonostante regolare elezione di domicilio altrove, è irregolare; tuttavia, in costanza di rapporto fiduciario con il difensore medesimo, essa non è astrattamente inidonea ad assolvere la propria funzione comunicativa e non impedisce quindi di ritenere che l'imputato abbia comunque avuto piena contezza dell'avvio del processo. Il caso
L'imputata, a processo per il reato di peculato, nominò difensore di fiducia, eleggendo domicilio per le notifiche nello studio legale di quest'ultimo. Successivamente, eseguì corretta e nuova elezione di domicilio presso la propria abitazione. Nonostante ciò, l'avviso di fissazione di udienza preliminare fu notificato presso lo studio del difensore; stessa sorte subirono il decreto che dispone il giudizio e la sentenza di condanna di primo grado. La Corte di appello, non investita di eventuali questioni sul vizio di notifica, si limitò a modificare la sentenza impugnata mediante concessione di circostanze attenuanti, rideterminando così la pena. Solo con ricorso per Cassazione venne poi sollevata eccezione di nullità per violazione degli artt. 161, 162, 163, 178 lett. c) e 179 del codice di procedura penale, con atto con cui si chiedeva venisse riconosciuta e dichiarata anche la nullità assoluta delle notifiche degli atti sopra menzionati perchè eseguita in luogo diverso da quello indicato in elezione di domicilio. La questione
Più d'una questione dovrà essere esaminata per risolvere le problematiche evidenti nel caso trattato. Innanzitutto va determinato con certezza se e quale nullità possa eventualmente ravvisarsi nella notifica effettuata in luogo diverso da quello tempestivamente e regolarmente indicato con elezione di domicilio. È chiaro, infatti, che anche una notifica in luogo diverso può, in ipotesi, regolarmente raggiungere il destinatario e quindi l'effetto pieno in vista del quale è stata disposta ed effettuata; come succede, ad esempio, ogni qual volta una notifica venga effettuata a mani proprie dell'effettivo destinatario. In tali casi è del tutto evidente come l'eventuale irregolarità, consistita nella consegna dell'atto in luogo diverso da quello dichiarato o eletto, non potrà far sorgere nullità alcuna. Duplice scopo della notifica è infatti quello di dare conoscenza (almeno presumibile) del contenuto dell'atto al destinatario e, al contempo, prova valida dell'esito positivo della notifica a chi l'aveva disposta. Raggiunti entrambi i risultati, non può residuare questione. Diversa la situazione quando la notifica sia avvenuta a mani di altri soggetti; la regola fondamentale, infatti, espressa all'art. 157 c.p.p., è che la notifica all'imputato non detenuto va effettuata a sue mani o, in caso ciò sia impossibile, nella sua abitazione o nel luogo di lavoro, mediante consegna a persona convivente o, gradatamente, al portiere o a chi ne fa le veci. In caso di dichiarazione o di elezione di domicilio – peraltro letteralmente imposta dall'art. 161 del codice di procedura penale proprio a superamento di ogni problema – l'imputato dovrebbe avere garanzia di poter ricevere le notifiche solo nel luogo prescelto; e, al contempo, potrà dirsi a conoscenza del fatto che, in caso di trasferimento o modifica del domicilio eletto, non dichiarato per tempo, le notifiche saranno ricevute dal suo difensore. Nel caso in cui una o più notifiche – come nel caso in questione – siano state eseguite in luogo diverso da quello dichiarato o eletto e a mani di soggetti diversi dal destinatario, sorge il problema di accertare se l'irregolarità sia vizio tale da dar luogo a nullità e di qual tipo. Nel nostro sistema, in cui il vizio comporta nullità solo nei casi tassativamente previsti, deve farsi riferimento agli artt. 178 e 179 del codice di rito, che disciplinano le nullità di ordine generale e quelle assolute. Tra esse, ovviamente, la nullità relativa di cui all'art. 178 lett. c), che concerne l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato, e la nullità assoluta di cui all'art. 179, derivante dall'omessa citazione dell'imputato. Entrambe le figure sembrano poter riguardare il caso in esame, in cui l'imputata non è intervenuta al dibattimento, cui è stata citata con atto per lei notificato al difensore e, quindi, in luogo diverso da quello indicato in elezione di domicilio. La suprema Corte di cassazione ha deciso il caso emettendo una sentenza che supera ogni problema, sancendo che un'irregolarità c'è stata ma che essa non costituisce nullità assoluta e insanabile, bensì nullità relativa, da eccepirsi quindi entro un termine che, nel caso specifico, non è stato rispettato. In buona sostanza, quindi, la suprema Corte ha ritenuto che una notifica, per quanto irregolare, vi fosse comunque stata. Essa non è mancata del tutto per il solo fatto di esser stata effettuata in luogo diverso ed a mani di persona diversa. Irregolare ma comunque sussistente. In caso diverso, avrebbe riconosciuto nel caso in questione una nullità assoluta ed insanabile, per difetto assoluto di notifica. Nel dare la soluzione al caso, la Suprema Corte ha fatto ricorso a criteri e principii, solo formalmente estranei al codice di rito, derivanti da precedente e consolidata giurisprudenza, secondo la quale, in costanza di rapporto professionale, il difensore è soggetto tenuto a un obbligo di informazione in favore dell'assistito. Per conseguenza il giudice, potendo ritenere presuntivamente assolto tale obbligo da parte del difensore, può fino a un certo punto presumere che l'imputato sia a conoscenza dello svolgimento del processo. Le soluzioni giuridiche
Le soluzioni da dare al caso potevano ovviamente essere due e in entrambi i casi vi era da individuare una nullità. Ma mentre nel caso fosse stata riconosciuta nullità assoluta il processo sarebbe stato interamente da rifare, con ovvie e ben comprensibili ricadute in tema di prescrizione dei reati ascritti, in caso di nullità relativa la notifica “irregolare” sarebbe stata comunque riconosciuta viziata senza che ciò potesse travolgere il processo; ciò perchè sarebbe stata giustamente riconosciuta non tempestiva la relativa eccezione, che avrebbe dovuto sollevarsi nei termini previsti all'art. 180 c.p.p.: prima della deliberazione della sentenza di primo grado (quelle relative all'avviso di fissazione dell'udienza preliminare ed al decreto che ha disposto il giudizio) o in atto di appello (quella relativa al deposito della sentenza di primo grado). La suprema Corte ha deciso per la nullità relativa. Per far ciò ha argomentato nella scia di precedenti decisioni, espressamente richiamate nel testo, della Corte costituzionale e della stessa Corte suprema. La più lontana delle due sentenza costituzionali (n. 211 del 1991) esprime chiaramente il concetto che, nel codice di rito allora appena entrato in vigore, non vi è incompatibilità tra presunzioni legali di conoscenza e garanzie di difesa, che devono ritenersi rispettate anche nel caso di notificazioni che, per la loro forma, non assicurano una conoscenza reale, in quanto non raggiungono direttamente la persona dell'imputato, bensì solo una conoscenza legale, cioè presunta; ciò a patto che tali presunzioni siano rispettose di criteri tali da realizzare una elevata probabilità di conoscenza effettiva, visto che scopo della notificazione è quello di portare il contenuto dell'atto nella sfera di conoscibilità dell'interessato. Sempre in tale sentenza appare, ed è stata una delle prime volte, il concetto della cooperazione che può pretendersi dal destinatario della notifica, il quale deve dichiarare o eleggere domicilio ed è, quindi, a conoscenza di un onere di diligenza impostogli dalla legge nel nuovo (allora) sistema in cui le parti godono di una sostanziale parità. Con la seconda sentenza (n. 136 del 2008) richiamata nel testo di quella in esame, la Corte costituzionale affronta un ragionamento relativo alla validità della notifica successiva alla prima, che – a mente dell'art. 157 c.p.p. – va eseguita a mani del difensore. Ivi la Corte argomenta che l'imputato, il quale abbia conoscenza di un procedimento a proprio carico e abbia provveduto a nominare un difensore, deve poter fare su lui pieno affidamento per la conoscenza di quanto accade in giudizio. Ciò perchè il legislatore, nel formulare il nuovo codice ha scelto di valorizzare il rapporto fiduciario tra imputato e difensore, che implica l'insorgere di un rapporto di continua e doverosa informazione nei confronti del cliente. Peraltro, il difensore è chiamato anche ad un minimo di cooperazione – consistente, evidentemente, in un dovere di informazione verso l'assistito – anche in virtù del fatto che la legge processuale lo faculta a rifiutare (art. 157, comma 8-bis c.p.p.) le notifiche dirette al cliente. Si tratterebbe, in buona sostanza, di un vero e proprio dovere del professionista, il cui adempimento costituisce garanzia del buon funzionamento del rapporto fiduciario a fini specifici di efficacia delle future notifiche. Argomento diverso è quello trattato dalla sentenza 119 delle Sezioni unite penali della suprema Corte nel 2004. Ivi la Corte ha sancito che una nullità assoluta, insanabile ex art. 179, si verifica solo quando la notifica sia stata del tutto omessa, non quando essa sia avvenuta con modalità diverse da quelle prescritte. Osservazioni
La soluzione adottata dalla suprema Corte al caso in questione, seppur nella scia degli autorevoli precedenti che si sono indicati e certamente non estranea all'interpretazione del complesso logico del codice di procedura penale, lascia tuttavia qualche perplessità. Innanzitutto, infatti, con essa si riconosce che la notifica in questione è stata affetta da un vizio che ha assai probabilmente cagionato una mancata conoscenza dei fatti processuali in capo a un imputato. Tale vizio, però, poteva eccepirsi solo in un momento precedente, nel rispetto della previsioni sulle nullità relative e di ordine generale. Ciò, in buona sostanza, significa che l'interesse alla speditezza del processo penale (concetto non necessariamente paritetico rispetto a quello costituzionale del tempo ragionevole) è preminente rispetto a quello dell'imputato a difendersi partecipando al dibattimento. In secondo luogo, l'ormai costante orientamento a riconoscere nel difensore un onere a collaborare per la regolare e spedita tenuta del processo penale (concetto nel quale viene ricompreso anche un mai accettato onere di evitare o impedire le cause che possono portare alla prescrizione del reato), significa in buona sostanza snaturare, o quantomeno modificare, la natura del rapporto tra imputato e difensore, il secondo dei quali – per una dottrina mai superata – dovrebbe difendere il primo, innanzitutto, dal processo e solo in un secondo momento anche nel processo. Se il processo è funzionale – anche – alla verifica ed all'applicazione della pretesa punitiva dello Stato, non sembra facilmente argomentabile un dovere di cooperazione in capo a chi, per contratto con l'assistito e per dovere deontologico, quella pretesa deve invece contestare, seppur nel rispetto delle leggi e dell'etica ma, comunque, sfruttando nel miglior modo possibile il massimo delle proprie capacità professionali. |