Particolare tenuità del fatto: natura dogmatica, disciplina processuale e tensioni costituzionali
25 Febbraio 2016
Massima
La tenuità del fatto è una causa di non punibilità che tuttavia – a scopo deflattivo – viene disciplinata nelle sue implicazioni in rito come causa di improcedibilità, salva la necessità in ipotesi peculiari del non dissenso dell'imputato. Il giudizio di tenuità in concreto dell'offesa ascrive una qualificazione giuridica al fatto contestato e può pertanto essere compiuto anche d'ufficio dalla Corte di Cassazione, sulla base dell'accertamento in fatto compiuto dal giudice del merito. Ove il fatto sia particolarmente tenue, deve essere disposta l'archiviazione del procedimento a prescindere da un accertamento di responsabilità (come prescrive l'art. 411 c.p.p.): e, poiché la tenuità non sopravviene ma certamente preesiste, in qualsiasi momento la si accerti occorre dichiarare che l'azione penale non poteva essere esercitata, come impone l'art. 469 c.p.p. nel richiamare una sentenza di non doversi procedere e l'art. 651-bisc.p.p. nell'evocare il proscioglimento dell'imputato; L'accertamento della responsabilità, non previsto per la fase delle indagini preliminari, è espressamente previsto dall'art. 651-bis c.p.p. solo per la dichiarazione di improcedibilità nella fase del giudizio, per ragioni di economia processuale. Il caso
Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Busto Arsizio, a fronte della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, emetteva sentenza di non doversi procedere nei confronti di Tizio, imputato di un tentato furto aggravato, consistito nell'avere cercato di impossessarsi di un orologio analogico in acciaio, di un anello di bigiotteria, di un bracciale in plastica e di un bracciale di bigiotteria custoditi in un'area adibita a piattaforma ecologica dal Comune di Cornaredo. Il giudice, ritenuta insussistente, per difetto di prova, la circostanza aggravante ipotizzata dal pubblico ministero (violenza sulle cose consistente nello scardinamento della recinzione dell'area), valutava il fatto come inoffensivo in ragione dell'esiguo valore economico (una decina di euro) dei beni che l'imputato intendeva asportare. Il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano proponeva ricorso per Cassazione avverso al suddetta sentenza, osservando che il giudizio sul valore economico delle cose sottratte poteva essere svolto al solo fine di stabilire se all'imputato fosse concedibile la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità e non già per escludere la tipicità della condotta, che invece corrispondeva in pieno al modello legale. La suprema Corte, ritenendo che la nuova causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto potesse trovare applicazione alla fattispecie concreta posta al suo esame, annullava la sentenza impugnata senza rinvio perché l'azione penale non poteva essere esercitata. La questione
Le questioni in esame sono le seguente:
Le soluzioni giuridiche
Per quanto riguarda la natura dogmatica, la giurisprudenza è unanime nel qualificare la particolare tenuità del fatto una causa di non punibilità, che esclude l'applicazione della pena ma non impedisce l'esistenza del reato (in tal senso si vedano Cass. pen., Sez. III, 8 aprile 2015-15 aprile 2015, n. 15449; Cass. pen., Sez. III, ord., 7 maggio-20 maggio 2015, n. 21014; Trib. Milano, 9 aprile 2015, n. 3937; Trib. Milano, 9 aprile 2015, n. 3936; Trib. Milano, 16 aprile 2015, n. 4195). Trattandosi di norma penale sostanziale più favorevole (c.d. lex mitior) ma priva di effetti abolitivi, dovranno applicarsi le regole dettate dall'art. 2, comma 4, c.p. Ne consegue che la nuova causa di non punibilità può essere applicata non soltanto ai reati commessi dopo la sua entrata in vigore (secondo le regole generali di cui all'art. 11 disp. prel. c.c.) ma anche a quelli commessi prima della sua entrata in vigore, a condizione che nei relativi processi non sia stata pronunciata sentenza irrevocabile. La pronuncia in commento, discostandosi dal suddetto trend interpretativo, ritiene che l'art. 131-bis c.p. configuri una sorta di ibrido: causa di improcedibilità nel corso delle indagini preliminari e causa di non punibilità ad azione penale ormai esercitata. Il Collegio trae argomento a sostegno di tale conclusione dalle disposizioni introdotte per adeguare la normativa processuale al nuovo istituto, soprattutto gli artt. 469, comma 1-bis, e 651-bis c.p.p. Si osserva, infatti, che la prima norma ricollega espressamente una statuizione di improcedibilità alla particolare tenuità del fatto accertata in fase predibattimentale, mentre la secondo annette efficacia di giudicato ad una pronuncia (non già di assoluzione bensì) di proscioglimento dibattimentale (o a seguito di giudizio abbreviato) per la stessa causa. Ad avviso della Corte, sembra dunque innegabile che le formule contemplate dalla novella con riguardo alle sentenze emesse in applicazione della norma in esame […] evochino la dimensione processuale dell'istituto, come a rivelare il disegno del legislatore delegato di conferire ad un istituto di taglio dichiaratamente sostanziale una più ampia portata applicativa sul piano processuale, per finalità di maggior deflazione. Per quanto riguarda la possibilità di applicare l'art. 131-bis c.p. nei giudizi di legittimità, la pronuncia in esame si inserisce nel consolidato filone giurisprudenziale che ritiene la predetta norma una previsione di favore soggetta alle regole temporali dettate dall'art. 2, comma 4, c.p. e la relativa questione direttamente proponibile alla Corte di cassazione ai sensi dell'art. 609 c. 2 c.p.p., che consente alla Corte di trattare questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello (come sostenuto da Cass. pen., Sez. III, 8 aprile 2015-15 aprile 2015, n. 15449; ma si vedano anche Cass. pen., Sez. V, 17 aprile 2015, n. 20994 e Cass. pen., Sez. V, 17 aprile 2015, n. 20986 che tuttavia hanno ritenuto inammissibile la richiesta di applicazione dell'art. 131-bis c.p. per genericità intrinseca della richiesta). Tuttavia, la sentenza in commento si spinge oltre, arrivando a ritenere che la particolare tenuità del fatto possa essere rilevata anche d'ufficio dalla suprema Corte, con annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, laddove questa consenta di ravvisare ictu oculi la sussistenza dei presupposti richiesti dall'art. 131-bis c.p., poiché in tal caso, al giudice di legittimità non è richiesta una verifica di merito ma piuttosto la semplice valutazione della corrispondenza del fatto, nel suo minimum di tipicità, al modello legale di una fattispecie incriminatrice, come la disciplina impone nella fase del giudizio (prescindendone invece nel corso delle indagini preliminari). La Corte si pone anche il problema della necessaria interlocuzione con le parti, generalmente prevista dal d.lgs. 28/2015 in vista dell'applicazione dell'art. 131-bis c.p., osservando che il giudizio di Cassazione si fonda sul principio del contraddittorio, sia pure attraverso la partecipazione esclusiva dei difensori, senza dunque che si imponga l'adozione di specifiche formalità per consentire alla persona offesa una partecipazione ulteriore rispetto a quella già garantita dalla generale facoltà di depositare memorie. Osservazioni
Fra le tante affermazioni di interesse contenute nella sentenza in commento, due meritano particolare attenzione. Da un lato, si sostiene che la particolare tenuità del fatto sia una causa di non punibilità che, per ragioni deflattive, viene disciplinata come una causa di improcedibilità dell'azione penale e ciò le consentirebbe di operare senza un accertamento della responsabilità dell'imputato (di regola presupposto necessario delle cause di non punibilità). Dall'altro, si afferma che il giudice di legittimità può applicare d'ufficio la causa di non punibilità, giungendo a pronunciare sentenza di annullamento senza rinvio, quando la decisione impugnata contiene già tutti gli elementi conoscitivi necessari ad applicare il nuovo istituto. Mentre la prima soluzione desta qualche perplessità, la seconda merita piena adesione. La natura dogmatica della particolare tenuità del fatto è pacificamente quella di una causa di non punibilità. Numerosi sono gli indici sintomatici di tale qualificazione: a) la formulazione normativa, che si esprime in termini di esclusione della punibilità; b) la collocazione sistematica, in apertura del Capo I del Titolo V (dedicati alla non punibilità per particolare tenuità del fatto e alla modificazione, applicazione ed esecuzione della pena), prima degli articoli dedicati all'esercizio del potere discrezionale del giudice nell'applicazione della pena (artt. 132 ss. c.p.); c) la rubrica dell'art. 131-bis c.p. (esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto); d) l'art. 651-bis c.p. (anch'esso introdotto dalla novella del 2015) che, nel disciplinare l'efficacia nel giudizio civile od amministrativo di danno della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto pronunciata a seguito di dibattimento, prevede che la stessa, una volta divenuta irrevocabile, abbia efficacia quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, così sancendo che il fatto non punibile ex art. 131-bis c.p. è comunque penalmente illecito, nonostante l'intervenuto proscioglimento; e) l'iscrizione nel certificato del casellario giudiziale della declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 4, d.lgs. 28/2015), iscrizione che mal si concilia con un fatto considerato lecito; f) la relazione di accompagnamento allo schema del d.lgs. 28/2015, la quale spiega che la non punibilità del fatto non deriva dalla sua atipicità per mancanza di offesa al bene tutelato, bensì dalla sua irrilevanza in quanto trattasi di fatto tipico, ma talmente modesto che la sua punizione contrasterebbe con esigenze di proporzione ed economia processuale. L'irrilevanza del fatto, che implica un giudizio valutativo discrezionale, anche se ancorato a parametri legislativi, va tenuta distinta dalle condizioni di procedibilità, le quali consistono, di regola, in fatti (querela, istanza, richiesta, autorizzazione, ecc.), la cui mancanza impedisce l'esercizio dell'azione penale. Tuttavia, la suprema Corte ritiene che la particolare tenuità del fatto, pur rientrando nel novero della cause di non punibilità, riceva il trattamento processuale di una causa di improcedibilità, e ciò perché gli artt. 469, comma 1-bis, e 651-bis c.p.p. vi ricollegano, rispettivamente, una pronuncia di non doversi procedere e una sentenza di proscioglimento. Da tale conclusione dovrebbe poi derivare la possibilità di applicare la causa di non punibilità a prescindere da un accertamento di responsabilità, espressamente previsto solo per la sentenza emessa all'esito del dibattimento (o del giudizio abbreviato). L'idea che l'archiviazione per particolare tenuità del fatto possa essere adottata assumendo come ipotesi la responsabilità dell'indagato (ovvero la sussistenza del fatto, la sua qualificazione giuridica come illecito penale e la sua commissione da parte dell'indagato), se trova piena giustificazione nelle finalità deflattive dell'istituto (inevitabilmente frustrate se il pubblico ministero dovesse svolgere per intero le indagini preliminari al solo scopo di richiedere l'inazione perché il fatto è particolarmente lieve), desta qualche dubbio di legittimità costituzionale. Infatti, a nessuna delle parti, a differenza di quanto accade nei procedimenti di competenza del giudice di pace (e nel caso di pronuncia ex art. 469 c.p.p.), è stato attribuito un potere di veto all'archiviazione per particolare tenuità del fatto, potendo soltanto argomentare l'opposizione alla richiesta del pubblico ministero, senza vincolare il giudice nella sua scelta (che potrà archiviare anche in presenza di una opposizione dell'indagato e/o dell'offeso). Si tratta, quindi, di un sistema che prevede la possibilità di adottare un provvedimento con conseguenze negative rilevanti per l'indagato (l'iscrizione nel casellario giudiziale e la successiva valutazione ai fini dell'abitualità del comportamento), senza dare a quest'ultimo alcuno strumento per rifiutarlo ed ottenere un vaglio dibattimentale sul merito dell'accusa. Il dubbio sulla ragionevolezza di questo assetto è ancora più evidente ove si consideri che l'imputato può invece rinunciare alla prescrizione, nonostante tale causa estintiva non produca conseguenze negative equiparabili alla non punibilità ex art. 131-bis c.p. Per quanto riguarda, invece, la sentenza predibattimentale, va osservato che le originarie cause di proscioglimento previste dall'art. 469 c.p.p. (sussistenza di una causa estintiva del reato o mancanza di una condizione di procedibilità) si fondano su situazioni di oggettiva e incontrovertibile rilevabilità che non richiedono indagini particolarmente complesse (si pensi, ad esempio, all'accertamento dell'assenza della querela o della morte del reo) e ciò in ragione del modesto patrimonio conoscitivo a disposizione del giudice nella fase predibattimentale. Si spiega così perché la suprema Corte abbia sempre escluso la possibilità di pronunciare un proscioglimento per motivi di merito prima del dibattimento, implicando esso un giudizio che deve essere compiuto con la garanzia del pieno contraddittorio, che si realizza solo nella fase dibattimentale (Cass. pen., Sez. V, 18 maggio 2000-12 giugno 2000, n. 2886). La particolare tenuità del fatto, però, costituisce una causa di non punibilità complessa, in quanto richiede l'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e della sua commissione da parte dell'imputato, oltre all'accertamento e alla valutazione dei presupposti applicativi dell'art. 131-bis c.p. Si tratta di aspetti che raramente potranno emergere già in limine litis dall'esiguo materiale contenuto nel fascicolo per il dibattimento, che nella maggior parte dei casi conterrà esclusivamente il certificato del casellario giudiziale, il decreto di citazione a giudizio o che dispone il giudizio e le relative notifiche, gli atti relativi alla procedibilità del reato (non utilizzabili ai fini del giudizio di merito) e i verbali degli atti irripetibili. A tali atti potrebbero aggiungersi le prove urgenti assunte dal giudice, ma le condizioni assai restrittive richieste dall'art. 467 c.p.p. rendono tale integrazione piuttosto infrequente nella prassi. Certo, potrebbe ipotizzarsi che il giudice, sulla base del contenuto del certificato del casellario giudiziale, valuti la non abitualità della condotta e, sulla base dell'imputazione, verifichi la sussistenza dei limiti edittali e la tenuità dell'offesa sotto il duplice profilo delle modalità della condotta e della esiguità del danno o del pericolo. In tal senso si sono orientati molti giudici di merito che hanno pronunciato un proscioglimento predibattimentale ex art. 131-bis c.p. sulla base dell'imputazione e del certificato del casellario giudiziale (Trib. Campobasso, 10 aprile 2015-13 aprile 2015, n. 288; Trib. Asti, 13 aprile 2015, n. 724; Trib. Campobasso, 17 aprile 2015; Trib. Novara, 4 maggio 2015, n. 634; Trib. Campobasso, 22 maggio 2015, n. 432; Trib. Campobasso, 19 giugno 2015-23 giugno 2015, n. 507; Trib. Novara, 13 luglio 2015). D'altro canto, il mancato riconoscimento di una efficacia extra-penale alla sentenza predibattimentale (a differenza di quella emessa all'esito del giudizio) potrebbe essere inteso come indice della volontà del legislatore di attribuire al giudice, in questa fase, una cognizione sommaria dei presupposti applicativi di cui all'art. 131-bis c.p. Inoltre, la mancata opposizione dell'imputato potrebbe essere valutata come una forma tacita di consenso a tale accertamento sommario, anche in considerazione degli effetti positivi che ne derivano all'imputato. Tuttavia, è probabile che nella maggior parte dei casi gli elementi conoscitivi a disposizione del giudice prima del dibattimento non saranno sufficienti ad applicare l'istituto: si pensi, ad esempio, ad una imputazione sintetica, che non descriva compiutamente le modalità della condotta o il valore economico della cosa sottratta. In tal caso si renderà i necessaria la celebrazione del giudizio, all'esito del quale, una volta ampliato il patrimonio conoscitivo a disposizione dell'organo decidente, valutare nuovamente la sussistenza dei presupposti richiesti dall'art. 131-bis c.p. Per evitare la celebrazione di un dibattimento che potrebbe rivelarsi inutile, con irrimediabile frustrazione delle finalità deflattive del nuovo istituto, potrebbe ipotizzarsi l'acquisizione degli atti investigativi (del pubblico ministero e/o della difesa) su accordo delle parti ex art. 493, comma 3, c.p.p. (ma è dubbio che tale norma possa trovare applicazione prima dell'apertura del dibattimento), nei casi in cui provenga da loro la sollecitazione ad una pronuncia ex art. 469 c.p.p.; oppure si potrebbe pensare ad un'acquisizione officiosa, purché le parti non si oppongano, qualora l'iniziativa provenga dall'organo giudicante. In tale ultima direzione si è orientato, ad esempio, il tribunale di Bari che, rilevando d'ufficio la possibilità di un proscioglimento immediato (non essendo necessaria un istanza, né un esplicito consenso ma bastando la non opposizione), ha ritenuto di poter superare le limitazioni cognitive del fascicolo dibattimentale acquisendo, in assenza di opposizione delle parti, quello delle indagini preliminari. A tale risultato si è giunti facendo applicazione analogica dell'acquisizione degli atti di indagine prevista dall'art. 135 disp. att. c.p.p. per le ipotesi di applicazione della pena su richiesta delle parti, trattandosi di istituto che condivide con la pronuncia ex art. 469 c.p.p. una comune matrice consensuale (Trib. Bari, Sez. II, 20 aprile 2015-4 maggio 2015, n. 1523). Ad avviso dello scrivente, tale soluzione desta qualche perplessità. L'allargamento del patrimonio conoscitivo del giudice con l'acquisizione degli atti contenuti nel fascicolo per le indagini preliminari trasforma surrettiziamente il giudizio predibattimentale in un giudizio abbreviato. Alla piena cognizione delle regiudicanda non consegue però l'efficacia accertativa che l'art. 651-bis, comma 2, c.p. riconosce alle sentenze irrevocabili di proscioglimento per particolare tenuità del fatto pronunciate a norma dell'art. 442 c.p.p. Tale sostanziale elusione delle ragioni del danneggiato non può essere paralizzata dalla persona offesa che non ha alcun potere di veto nei confronti di un proscioglimento predibattimentaleex art. 131-bis c.p., dovendo soltanto essere sentita se compare. Va aggiunto che la particolare pregnanza delle valutazioni di merito necessarie a pronunciare un proscioglimento ex art. 469, comma 1-bis, c.p.p. per tenuità del fatto (dovendosi accertare la sussistenza del fatto, la sua rilevanza penale e l'attribuzione all'imputato) dovrebbe porre un problema di compatibilità del giudice che, investito della richiesta in limine litis, non si determini per la declaratoria di non punibilità. L'incompatibilità del giudice si impone a maggior ragione se si adotta la soluzione di acquisire il fascicolo per le indagini preliminari, dato che, come più volte chiarito dalla Corte costituzionale (Corte cost16 marzo 1992-25 marzo 1992, n. 124; Corte cost., 13 aprile 1992-22 aprile 1992, n. 186), non è la mera conoscenza degli atti a radicare l'incompatibilità del giudice, quanto piuttosto una valutazione di merito circa l'idoneità delle risultanze delle indagini preliminari a fondare un giudizio di responsabilità dell'imputato. In conclusione, vi è il concreto rischio che si instauri una prassi di acquisizioni (consensuali od officiose) di atti investigativi per saggiare, prima dell'apertura del dibattimento, la punibilità dell'imputato, che, se esclusa, porterà ad una pronuncia di proscioglimento non utile per la parte civile (con buona pace delle prescrizioni del legislatore delegante, che aveva stabilito che la nuova causa di non punibilità non pregiudicasse l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno) o, se riconosciuta, porterà ad un dibattimento che dovrà essere celebrato da un altro giudice, essendosi il primo nel frattempo astenuto (con buona pace delle finalità di speditezza dell'attività giurisdizionale). Alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi che il giudice, nella fase preliminare al dibattimento, debba limitarsi a verificare la possibilità di dichiarare il fatto non punibile sulla base degli atti contenuti nel fascicolo processuale. Qualora non sia in grado di pronunciare un proscioglimento immediato, dovrà procedere ad instaurare il dibattimento, recuperando eventualmente le finalità di economia processuale attraverso una sollecitazione delle parti alla produzione consensuale degli atti di indagine ai sensi dell'art. 493, comma 3, c.p.p. Non sembra, invece, decisivo, per sostenere le argomentazioni della Corte (particolare tenuità del fatto disciplinata come causa di improcedibilità), il riferimento alla sentenza di proscioglimento contenuto nell'art. 651-bis c.p.p. Infatti, nel genus sentenza di proscioglimento (vedi Sezione I del Capo II del Titolo III del codice di rito) rientrano sia le pronunce di improcedibilità (v. artt. 529 e 531 c.P. p.) che quelle di assoluzione (v. art 530 c.p.p.) e la sentenza che applica l'art. 131-bis c.p. all'esito del dibattimento o del giudizio abbreviato non può che essere una sentenza di assoluzione (perché il reato è stato commesso da persona non punibile). Per quanto riguarda la possibilità di proporre direttamente in sede di legittimità la questione relativa alla particolare tenuità del fatto, occorre premettere che l'applicazione dell'art. 131-bis c.p. implica valutazioni di merito, oltre alla necessaria interlocuzione dei soggetti interessati. Ciò dovrebbe indurre il giudice di legittimità a valutare se ricorrono in astratto i presupposti per l'applicazione della causa di non punibilità, procedendo poi, in caso di valutazione positiva, all'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito affinché valuti se dichiarare l'imputato non punibile perché autore di un fatto particolarmente tenue. In definitiva, il giudice di legittimità dovrebbe limitarsi a riscontrare la non manifesta infondatezza della domanda di applicazione dell'art. 131-bis c.p., rimettendo poi al giudice del rinvio le penetranti valutazioni di merito richieste per applicare la causa di non punibilità. Nell'effettuare tale apprezzamento, il giudice di legittimità non potrà che basarsi su quanto emerge dalla motivazione della sentenza impugnata. Se nella motivazione sono presenti giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto (in tal senso saranno rilevanti, ad esempio, l'esclusione di circostanze attenuanti generiche, il mancato riconoscimento dei benefici di legge richiesti dall'imputato e la scelta di un trattamento punitivo che si discosta dal minimo edittale), la questione dovrà essere rigettata (in tal senso si vedano Cass. pen., Sez. III, 22 aprile 2015-22 maggio 2015, n. 21474; Cass. pen., Sez. IV, 14 maggio 2015, n. 22840; Cass. pen., Sez. IV, 17 aprile 2015, n. 22381 che, sulla base dei dati emergenti dalla sentenza impugnata, hanno rigettato la richiesta di applicazione dell'art. 131-bis c.p.). Viceversa, qualora nella sentenza di merito emerga la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto, la Corte dovrà annullare la sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito affinché valuti se dichiarare il fatto non punibile sulla base dei criteri informatori all'uopo indicati dal giudice di legittimità. In questo caso, la sentenza passa in giudicato sui punti relativi all'accertamento della responsabilità dell'imputato (v. art. 624 c.p.p.) e nel giudizio di rinvio dovrà valutarsi solamente il regime della punibilità, senza che continui a decorrere il termine di prescrizione e senza la possibilità di ritornare su altri aspetti della regiudicanda. La Corte dovrebbe pronunciare un annullamento con rinvio anche nei casi in cui, dall'esame della sentenza oggetto di ricorso, le condizioni per dichiarare l'imputato non punibile ex art. 131-bis c.p. non siano tutte rilevabili in astratto ma non possa escludersi un accertamento in concreto di segno diverso, ovvero le stesse, non tutte immediatamente rilevabili dal testo del provvedimento, possano essere comunque oggetto di accertamento in concreto, secondo una previsione in termini di ragionevolezza, eventualmente anche alla luce delle prospettazioni delle parti. Infatti, laddove fosse possibile intravedere epiloghi favorevoli per il ricorrente sulla base di quanto prospettato nel ricorso o in un'apposita memoria scritta oppure in sede di discussione orale attraverso l'indicazione o allegazione di circostanze non potute provare prima per ragioni di ordine temporale legate ai tempi di entrata in vigore della nuova disposizione, la Corte dovrebbe rimettere le parti davanti al giudice di merito per l'accertamento della ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 131-bis c.p. Se non vi sono dubbi che la suprema Corte non possa procedere direttamente all'accertamento delle condizioni di operatività dell'art. 131-bis c.p., nondimeno dalla pronuncia di merito potrebbero essere già ricavabili le prove della ricorrenza in concreto di tutti i parametri per considerare il fatto di particolare tenuità. In questi casi, a parere di chi scrive, la Corte potrebbe procedere direttamente a prosciogliere l'imputato per difetto di punibilità ai sensi dell'art. 620 lett. l) c.p.p. (o anche ai sensi della lettera a)) della predetta norma, se si valorizza il fatto che, in presenza della nuova causa di non punibilità, l'azione penale non deve essere iniziata in quanto il pubblico ministero deve chiedere l'archiviazione). Si tratta, infatti, di sussumere il fatto nella norma senza dover procedere ad accertamenti di fatto o ad operazioni di discrezionalità valutativa, che rimangono incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimità (v. Cass. pen., Sez. VI, 20 marzo 2014-2 aprile 2014, n. 15157, che ha affermato il principio con riguardo alla rideterminazione della pena in materia di stupefacenti). In tal caso, la Corte potrebbe applicare anche d'ufficio l'art. 131-bis c.p., dato che l'art. 619, comma 3, c.p.p. le attribuisce la facoltà di applicare la legge più favorevole all'imputato, se sopravvenuta dopo la proposizione del ricorso, qualora non siano necessari nuovi accertamenti d'ufficio. Del resto, non mancano recenti decisioni di legittimità che hanno annullato senza rinvio la sentenza impugnata per essere l'imputato non punibile. In un caso, ad esempio, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, rilevando che nelle more del giudizio di legittimità la legge 15 luglio 2009, n. 94 aveva esteso al delitto di favoreggiamento personale la causa di non punibilità della ritrattazione (art. 376 c.p.p.). Nell'occasione, il giudice di legittimità, dopo aver rilevato che i presupposti fattuali per la dichiarazione dell'esistenza della causa di non punibilità erano desumibili dal testo della sentenza impugnata, ha ritenuto di applicare d'ufficio, ai sensi degli artt. 2, comma 4, c.p. e 609, comma 2, c.p.p., la novità normativa in quanto più favorevole per l'imputato (Cass. pen., Sez. VI, 26 aprile 2012-8 maggio 2012, n. 17065). Certo, non può nascondersi che difficilmente nelle sentenze di merito emesse prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 28/2015 vi sarà stato un vaglio da parte del giudice sulla particolare tenuità dell'offesa nei termini richiesti dall'art. 131-bis c.p.; tuttavia, ove l'istruzione dibattimentale abbia consentito di acquisire gli elementi conoscitivi necessari a tale giudizio, non si ravvisano preclusioni all'applicazione diretta della clausola di non punibilità da parte della Corte di cassazione. Va sottolineato che la possibilità di rilevare la nuova causa di non punibilità all'esito del giudizio di Cassazione non sembra incontrare ostacoli nella necessità di instaurare sul punto un contraddittorio con l'imputato e la persona offesa, necessità desumibile da una complessiva lettura della nuova disciplina e dagli effetti negativi derivati dall'applicazione dell'art. 131-bis c.p. (in primo luogo la possibile rilevanza nei giudizi civili ed amministrativi e l'iscrizione del provvedimento nel casellario giudiziale). Con riferimento alla posizione dell'imputato, va infatti rilevato che il giudizio di legittimità è informato al principio del contraddittorio, sia pure con la mediazione esclusiva dei difensori, che le parti possono presentare memorie, anche personalmente, in sede di legittimità ex art. 121 c.p.p., e che la decisione della Corte non dovrebbe comunque poter prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza impugnata in applicazione del divieto di reformatio in peius a norma dell'art. 597, comma 3, c.p.p. Per quanto attiene alla persona offesa, occorre ricordare che la stessa, anche quando non si è costituita parte civile, può presentare memorie ex art. 90 c.p.p. nel giudizio di Cassazione, investendo ogni questione processuale o di merito rilevante ai fini della decisione, ferma restando l'inammissibilità di istanze tendenti a sollecitare acquisizioni istruttorie. Del resto, l'interlocuzione con la persona offesa non è prevista come condizione necessaria alla pronuncia di non punibilità ex art. 131-bis c.p., visto che la stessa deve essere sentita solo in fase predibattimentale ed a condizione che sia presente in udienza, mentre non vi sono sul punto adempimenti specifici per la sentenza pronunciata all'esito del dibattimento. Guida all'approfondimento
TRINCI, Particolare tenuità del fatto, Milano, 2016 |