La motivazione per relationem nei provvedimenti cautelari
27 Luglio 2015
Massima
Non è nulla per vizio di motivazione l'ordinanza applicativa di una misura cautelare emessa dal giudice a cui sono stati trasmessi gli atti, ex art. 27 c.p.p., qualora riproduca sostanzialmente, anche con la tecnica del "taglia e incolla", il provvedimento emesso dal giudice territorialmente incompetente, qualora la motivazione del primo provvedimento risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria della misura cautelare adottata. Il caso
Con ordinanza in data 14 ottobre 2014, il G.I.P. presso il tribunale di Lodi applicava a E.G. e B.V., indagati per rapina aggravata, sequestro di persona, ricettazione e porto di armi da fuoco, la misura cautelare della custodia in carcere, confermando, ex art. 27 c.p.p., la misura cautelare già applicata dal G.I.P. di Monza, dichiaratosi incompetente. Avverso tale ordinanza, i due indagati proponevano personalmente ricorso per cassazione ex art. 311 c.p.p., comma 2, con due atti analoghi, sollevando due motivi di gravame con i quali deducevano: in primo luogo il vizio di motivazione dell'ordinanza, nella specie apparente, essendosi limitato il G.I.P. a ricopiare la motivazione del provvedimento adottato dal G.I.P. di Monza, riproducendo persino gli stessi errori o refusi; in secondo luogo la violazione dell'art. 292 c.p.p., comma 2, lett. d), per non aver il G.I.P. indicato la data di scadenza della misura disposta per garantire l'esigenza cautelare in ordine al pericolo di inquinamento probatorio. La questione
La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di un provvedimento cautelare la cui motivazione riproduceva integralmente la motivazione dell'ordinanza de libertate emessa dal giudice incompetente. Più in generale è stata interrogata, ancora una volta, sulla legittimità della motivazione per relationem. Le soluzioni giuridiche
La Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dai due indagati ritenendo infondati entrambi i motivi di censura dedotti. Per quanto concerne il primo motivo, che qui interessa, essa è pervenuta alla declaratoria di infondatezza muovendo dall'analisi di alcuni precedenti giurisprudenziali in materia. In primis la Corte ha ricordato i principi affermati nella sentenza delle Sezioni unite “Primavera” (Cass. pen., Sez. un., 21 giugno 2000, n. 17) secondo cui la motivazione per relationem è legittima a condizione:
In secondo luogo, si è premurata di richiamare l'orientamento che, con specifico riferimento alla motivazione dell'ordinanza applicativa della custodia cautelare, ritiene che l'obbligo di motivazione di tale provvedimento sia soddisfatto anche mediante l'esplicito riferimento ad una precedente ordinanza coercitiva divenuta inefficace per vizio di forma e non di merito (Cass. pen., Sez. I, 18 dicembre 2007, n. 1533). Viene in rilievo, in tal caso, infatti, un provvedimento rimasto valido nei suoi contenuti sostanziali, la cui motivazione può essere fatta propria dal giudice che procede in quanto idonea a rendere edotto l'interessato dell'iter logico seguito per pervenire alla decisione adottata. Orbene, secondo la Corte l'ordinanza applicativa di una misura cautelare emessa da giudice incompetente può ben essere assimilata ad una ordinanza divenuta inefficace per vizio di forma. Pertanto il giudice competente può riprendere anche pedissequamente il contenuto del provvedimento emesso dal giudice incompetente, qualora la motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione, senza incorrere nel vizio di motivazione. Alla luce di tali precedenti la Corte conclude che non può dubitarsi che il G.I.P. di Lodi abbia preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento del G.I.P. di Monza di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione proprio perché il testo del provvedimento è stato sostanzialmente ripreso e riportato nell'ordinanza impugnata. Essa pertanto conclude affermando il seguente principio di diritto: "non è nulla per vizio di motivazione l'ordinanza applicativa di una misura cautelare emessa dal giudice a cui sono stati trasmessi gli atti, ex art. 27 c.p.p., qualora riproduca sostanzialmente, anche con la tecnica del "taglia e incolla", il provvedimento emesso dal giudice territorialmente incompetente, qualora la motivazione del primo provvedimento risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria della misura cautelare adottata."
Osservazioni
Pur collocandosi nel solco di un orientamento consolidato (v., tra le tante, Cass. pen., Sez. IV, 14 novembre 2007, n. 4181), la sentenza in esame suscita qualche perplessità. Senza fornire alcuna dimostrazione in merito, la Corte afferma, come già scritto, che “non può dubitarsi che il G.I.P. di Lodi abbia preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento del G.I.P. di Monza di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione […] giacché il testo del provvedimento è stato sostanzialmente ripreso e riportato nell'ordinanza impugnata”. Come è noto, secondo la giurisprudenza in materia la motivazione per relationem può ritenersi legittima a condizione che sia fornita la “dimostrazione” che il giudice nel fare proprie le ragioni poste a fondamento di altro provvedimento ha provveduto ad una rivalutazione delle stesse e le ha ritenute, infine, consone alla sua decisione (Cass pen., Sez. VI, 4 novembre 2014, n. 53420,). Nel caso di specie non pare che una tale “dimostrazione” sia stata fornita. Non solo. La Corte non si è neppure preoccupata di dar conto del fatto che il provvedimento impugnato riproduceva persino gli stessi errori o refusi dell'ordinanza di riferimento, circostanza evidenziata dai ricorrenti a riprova dell'acritico recepimento della motivazione del provvedimento cautelare emesso dal giudice incompetente (in chiave critica sulla tecnica del “copia e incolla” v. Cass. pen., Sez. V, 24 gennaio 2007, n. 12679). Ad accrescere le perplessità su tale provvedimento sono, altresì, le modifiche apportate recentemente dal legislatore in tema di motivazione del provvedimento cautelare, volte a rendere più stringente l'obbligo di motivare. Ci si riferisce, in particolare, alle novità introdotte dall'art. 8 della l. 16 aprile 2015, n. 47 che ha arricchito le lettere c) e c-bis) dell'art. 292 c.p.p. di un ulteriore requisito motivazionale. Si prevede, infatti, che l'ordinanza cautelare debba contenere non solo “l'esposizione” ma anche “l'autonoma valutazione” degli elementi indicati rispettivamente nelle lett. c) e c-bis). Si tratta di un'interpolazione che forse poteva non essere necessaria giacché la giurisprudenza non ha mai dubitato che un'ordinanza priva delle valutazioni giudiziali sulle risultanze in atti presentasse un vizio di motivazione ma che va letta unitamente alle modifiche apportate contestualmente al nono comma dell'art. 309 il quale ora prevede che “il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l'autonoma valutazione, a norma dell'art. 292, delle esigenze cautelari, degli indizi degli elementi forniti dalla difesa”. Invero, la giurisprudenza era tutt'altro che univoca in ordine alle determinazioni adottabili dal giudice del riesame, a fronte di una carenza dei requisiti di cui alle lett. c) e c-bis), nonostante la previsione espressa della sanzione della nullità. Un certo orientamento era, infatti, propenso a ritenere che il tribunale del riesame potesse, atteso l'effetto interamente devolutivo che caratterizza il riesame delle ordinanze applicative di misure cautelari, sanare, con la propria motivazione, le carenze argomentative di detto provvedimento, pur quando esse siano tali da dar luogo alle nullità, rilevabili d'ufficio, previste dall'art. 292, comma 2, lett c) e c-bis),c.p.p. (Cass. pen., Sez. VI, 16 gennaio 2006, n. 8590; Cass. pen., Sez. III, 2 febbraio 2011, n. 15416). Il riconoscimento di un potere integrativo così esteso in capo al giudice del riesame finiva per “svuotare” l'obbligo motivazionale in capo al giudice della cautela, oltre a vanificare la previsione della nullità in caso di omissione degli elementi di cui alle lett. c) e c-bis) dell'art. 292 c.p.p. Come si è detto la giurisprudenza sul punto era divisa. In altre occasioni, infatti, era stato affermato che “il potere-dovere attribuito al giudice del riesame dall'art. 309, comma 9, ultima parte, c.p.p., di confermare le ordinanze coercitive impugnate “per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso” non è esercitabile allorquando la motivazione di quest'ultimo sia radicalmente assente o meramente apparente, dovendo, in tali ipotesi, essere rilevata la nullità del provvedimento impugnato per violazione di legge” (Cass. pen., Sez. II, 4 dicembre 2013, n.12537) e precisato che il potere integrativo delle insufficienze motivazionali “non opera, oltre che nel caso di carenza grafica anche quando l'apparato argomentativo, nel recepire integralmente il contenuto di altro atto del procedimento o nel rinviare a questo, si sia limitato all'impiego di mere clausole di stile o all'uso di frasi apodittiche, senza dare contezza alcuna delle ragioni per cui abbia fatto proprio il contenuto dell'atto recepito o richiamato, o comunque lo abbia considerato coerente rispetto alle sue decisioni” (Cass. pen., Sez. VI, 4 maggio 2014, n. 12032). Nondimeno il legislatore ha ritenuto di modificare contestualmente il nono comma dell'art. 309 c.p.p., negando espressamente al giudice del riesame la possibilità di “sanare” il provvedimento impugnato, attraverso una integrazione della motivazione, quando questa difetti dell'autonoma valutazione delle circostanze di cui all'art. 292 c.p.p. L'intento pare essere chiaro: rafforzare l'obbligo di motivazione in capo al giudice che applica la misura. Alla luce del nuovo quadro normativo, pur non potendosi affermare che sia venuta meno la possibilità di adottare una motivazione per relationem, fino ad oggi pacificamente ammessa sia con riferimento alla richiesta del P.M., sia anche - in presenza di determinati requisiti – con riguardo ad altri provvedimenti giudiziali relativi agli stessi fatti, pare che oggi – forse più di prima – valga il principio per cui la relatio non può tradursi in un acritico recepimento del compendio valutativo contenuto nel provvedimento richiamato, dovendo il giudice immancabilmente manifestare, nell'ordinanza, la propria “autonoma valutazione”. Guida all'approfondimento
Grilli,Considerazioni sulla motivazione dell'ordinanza cautelare emessa a seguito di riesame, Cass. Pen. 2005, 129. Marandola, voce Ordinanza cautelare, Il diritto – Enciclopedia giuridica del Sole 24 ore, 10, Milano 2008, 482. Negri, La nullità dell'ordinanza cautelare per omessa valutazione degli elementi a favore della difesa nel sistema delle impugnazioni de libertate, Cass. Pen. 1999, 1301. Spagnoletti, Brevi riflessioni sulla c.d. motivazione “apparente” in tema di provvedimenti de libertate, Cass. pen. 2006, 555. Spangher, Un restyling per le misure cautelari, Dir. pen. proc. 2015, 529. Turco, La motivazione dell'ordinanza di riesame: limiti al potere di integrazione, Cass. pen. 2001, 3098. Verrina, Sulla motivazione delle ordinanze de libertate, Giur.it. 1996, II, 441. |