Liberazione anticipata speciale e detenzione domiciliare: il caso dei collaboratori di giustizia

Alessio Innocenti
29 Febbraio 2016

La liberazione anticipata speciale trova applicazione in favore dei soli soggetti che nel periodo oggetto della richiesta di fruizione sono detenuti in carcere ovvero anche a coloro che scontano la pena in regime di detenzione domiciliare e, segnatamente, ai collaboratori di giustizia ammessi ai benefici di cui all'art. 16-nonies d.l. 8/1991?
Massima

Lo sconto di pena di settantacinque giorni per semestre, previsto dall'art. 4 d.l. 146/2013 (conv. con mod. in l. 10/2014), c.d. liberazione anticipata speciale, non si applica ai soggetti che, nei periodi interessati dalla richiesta di fruizione del beneficio, erano sottoposti alle misure alternative alla detenzione carceraria, quali l'affidamento in prova ai servizi sociali o la detenzione domiciliare, ivi comprese quelle riguardanti i collaboratori di giustizia ex art. 16-nonies d.l. 8/1991 (conv. in l. 82/1991).

La questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l'esclusione dei predetti soggetti dall'ambito applicativo del beneficio è manifestamente infondata, non potendosi ravvisare alcuna violazione al principio di uguaglianza, di ragionevolezza e della finalità rieducativa della pena.

Il caso

Un soggetto condannato per reati di criminalità organizzata ammesso, quale collaboratore di giustizia, alla detenzione domiciliare ai sensi degli artt. 47-ter l. 354/1975 e 16-nonies d.l. 8/1991, faceva istanza affinché gli venisse riconosciuta la detrazione di settantacinque giorni per semestre introdotta e prevista dal d.l. 146/2013.

Con provvedimento del 26 luglio 2014, il magistrato di sorveglianza di Roma rigettava l'istanza avanzata dal condannato, stante l'espresso divieto di concessione del beneficio ai soggetti che si siano trovati a scontare la pena in regime di detenzione domiciliare previsto (art. 4, comma 5, d.l. 146/2013).

Il condannato proponeva reclamo al tribunale di sorveglianza, lamentando l'irragionevolezza della decisione del magistrato e dell'interpretazione dell'art. 4, d.l. 146/2013. da questi offerta nel provvedimento impugnato. Il reclamante sosteneva, infatti, che in base ad una lettura costituzionalmente orientata – ispirata al principio di ragionevolezza e di necessaria finalità rieducativa della pena – si sarebbe potuti pervenire al riconoscimento del beneficio anche ai soggetti sottoposti al regime di detenzione domiciliare, nonostante il divieto posto dalla norma.

Il tribunale di sorveglianza di Roma respingeva il reclamo con ordinanza del 7 gennaio 2015, ritenendo corretto il provvedimento reiettivo del magistrato di sorveglianza e non ravvisando alcuna lesione ai principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 27 Cost. Nel provvedimento del collegio si valorizzava, in particolare, la ratio dell'istituto premiale, teso non solo e non tanto a dare attuazione alla finalità rieducativa della pena, quanto piuttosto a porre rimedio al sovraffollamento carcerario che, come noto, era costato numerose condanne dell'Italia in sede internazionale (l'ultima delle quali era oggetto della sentenza della Corte Edu, 8 gennaio 2013 reso nel procedimento Torregiani c. Italia).

Avverso l'ordinanza del tribunale di sorveglianza, il condannato ricorreva per Cassazione chiedendo l'annullamento della stessa ex art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p. per violazione ed erronea interpretazione ed applicazione della legge. Il ricorrente, in particolare, lamentava e faceva valere le seguenti circostanze: che egli si trovava in regime di detenzione domiciliare non in via ordinaria, bensì in forza della normativa speciale sui collaboratori di giustizia che –come noto – prevedeva la concessione di tale misura solo a fronte di un sicuro ravvedimento del condannato; che il ravvedimento proprio del collaboratore di giustizia, da un lato, consentiva all'interprete di superare per via ermeneutica l'esclusione dei condannati per reati di cui all'art. 4-bis l. 354/1975 dai beneficiari dell'istituto e, dall'altro, rendeva assolutamente ingiustificato il mancato riconoscimento dello stesso a chi si trovava a scontare la pena fuori dal circuito penitenziario; che, anzi, la soluzione sostenuta dal tribunale – oltre a porsi in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza e rieducazione dei condannati – presentava aspetti di irragionevolezza e conseguenze paradossali, atteso che in definitiva si mostrava premiale proprio in favore dei soggetti più pericolosi e meno meritevoli, che non a caso si trovavano a scontare la pena detentiva in carcere.

Con la sentenza in commento la I Sezione della Cassazione, cui era affidata la decisione del ricorso, rigettava i motivi proposti dall'impugnante ritenendo il provvedimento censurato assolutamente conforme alla legge. Inoltre, dichiarava manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente.

La questione

Le questioni che si ponevano all'attenzione della suprema Corte nel caso di specie possono essere così riassunte:

  1. la liberazione anticipata speciale trova applicazione in favore dei soli soggetti che nel periodo oggetto della richiesta di fruizione sono detenuti in carcere ovvero anche a coloro che scontano la pena in regime di detenzione domiciliare e, segnatamente, ai collaboratori di giustizia ammessi ai benefici di cui all'art. 16-nonies d.l. 8/1991?;
  2. l'esclusione di tali soggetti dall'ambito applicativo della liberazione anticipata speciale si pone in contrasto con i principi di uguaglianza e ragionevolezza e di necessaria finalità rieducativa della pena?
Le soluzioni giuridiche

Le prima questione giuridica risolta dalla I Sezione è quella relativa all'ambito applicativo della liberazione anticipata speciale, istituto che stando alla lettera della legge (art. 4, comma 5, d.l. 146/2013, così come mod. dalla l. 10/2014) non si applica – oltre che ai condannati per reati gravi (indicati nell'art. 4-bis l. 354/1975) – ai condannati ammessi all'affidamento in prova e alla detenzione domiciliare, relativamente ai periodi trascorsi, in tutto o in parte, in esecuzione di tali misure alternative, né ai condannati che siano stati ammessi all'esecuzione della pena presso il domicilio o che si trovino agli arresti domiciliari ai sensi dell'articolo 656,comma 10, del codice di procedura penale.

Proprio in base alla lettera della legge, la Corte non ha avuto incertezze nel confermare le conclusioni (negative) accolte dal tribunale di sorveglianza nel provvedimento impugnato: la detrazione di pena di settantacinque giorni per semestre può essere riconosciuta in favore dei soli soggetti che nel periodo oggetto della richiesta di fruizione erano detenuti in carcere, mentre non può essere concessa a coloro che abbiano scontano la pena in regime di detenzione domiciliare, compresi i collaboratori di giustizia ammessi ai benefici di cui all'art. 16-nonies d.l. 8/1991.

La soluzione a tale prima quaestio iuris si fonda sulla irriducibile differenza tra la liberazione anticipata “ordinaria” di cui all'art. 54 l. 354/1975 e l'istituto speciale e temporaneo previsto dall'art. 4 d.l. 146/2013: solo il primo beneficio, consistente nella detrazione di un periodo di quarantacinque giorni per ogni semestre, è fondato sulla partecipazione del condannato alla opera di rieducazione e – avendo carattere premiale – è riconosciuto a tutti i condannati (per qualsiasi tipo di reato) anche laddove abbiano scontato (o stiano scontando) la pena (in tutto o in parte) in regime di detenzione domiciliare.

Secondo la I Sezione penale, la profonda differenza tra i due istituti (rectius, la specialità della liberazione anticipata speciale rispetto a quella regolata dall'art. 54 l. 354/1975) troverebbe conferma sulla base di numerosi argomenti giuridici, che qui di seguito si riassumono: a) l'intitolazione della norma liberazione anticipata speciale e il suo mancato inserimento nel corpo dell'art. 54 l. 354/1975, elementi che attesterebbero la natura eccezionale e derogatoria dell'istituto; b) le finalità perseguite dall'istituto di cui all'art. 4 d.l. 146/2013 e in particolare quelle deflattive della popolazione carceraria e risarcitorie nei confronti dei condannati che sono stati sottoposti a privazione della libertà personale in condizioni giudicate dalla stessa Corte Edu inumane e degradanti.

Il carattere eccezionale dell'istituto e le sue finalità ulteriori (rispetto a quella rieducativa) troverebbero fondamento e conferma non solo nell'obiettivo ispiratore del provvedimento, indicato nel preambolo della legge ed evidenziato anche dal C.S.M. nel parere espresso in data 23 gennaio 2014 ma anche nella temporaneità del beneficio (che ha decorrenza a partire dall'1 gennaio 2010, ossia dal momento in cui interviene la prima condanna della Corte Edu, e trova un termine finale nella data del 23 dicembre 2015).

Sulla base di tali argomenti, forte del divieto espresso contenuto nell'art. 4, comma 5, l. 354/1975, la Corte di cassazione conclude per la non applicabilità dell'istituto della liberazione anticipata speciale ai soggetti che abbiano scontato in tutto o in parte un semestre in regime di detenzione domiciliare, anche se concessa per la collaborazione con la giustizia ex art. 16-nonies d.l. 8/1991.

Si poneva poi una seconda questio iuris, ovvero la compatibilità costituzionale o meno della disciplina di accesso alla liberazione anticipata speciale su base soggettiva.

In ordine alla seconda questione, la suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla difesa del condannato sia con riferimento all'art. 3 Cost. che all'art. 27 Cost.: da un lato, stante la profonda differenza di situazione fattuale e giuridica in cui versano i condannati detenuti in un penitenziario rispetto a quelli ammessi alla detenzione domiciliare o all'affidamento in prova ai servizi sociali, non si è ravvisato alcun vulnus al principio di uguaglianza o di ragionevolezza; dall'altro lato, vista la ratio dell'istituto (volto a diminuire drasticamente e urgentemente la popolazione carceraria e a riparare il pregiudizio subito da chi si sia trovato a scontare la pena in condizioni inumane) e vista la possibilità riconosciuta a tutti i condannati di fruire comunque della liberazione anticipata ordinaria, non si è ritenuta configurabile alcuna violazione al principio di necessaria finalità rieducativa della pena.

Osservazioni

La sentenza in commento si pone in evidente continuità con le numerose e recenti pronunce della suprema Corte in materia di liberazione anticipata speciale.

Infatti, la I Sezione penale della Cassazione si era già espressa in modo conforme con alcune recenti sentenze (cfr, Cass. pen., Sez. I, n. 31421/2015 e Cass. pen., Sez. I, n. 16656/2015). Con le citate sentenze, si era già affermato che la speciale disciplina introdotta dall'art. 4 D.L. 23 dicembre 2013 n. 146, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dalla legge di conversione (legge 21 febbraio 2014, n. 10), non si applica ai condannati ammessi alla detenzione domiciliare, anche nelle ipotesi in cui tale misura alternativa sia stata disposta, a sensi dell'art. 16 nonies D.L. 15 gennaio 1991, n. 8 (convertito, con modificazioni, in L. 15 marzo 1991, n. 82), in favore di coloro che hanno collaborato con la giustizia. (In motivazione, la S.C. ha evidenziato, tra l'altro, che le disposizioni in questione, che ampliano l'entità della detrazione di pena per semestre, costituiscono misure di carattere straordinario e temporaneo introdotte per ridurre con effetti immediati il sovraffollamento carcerario, e quindi postulano in ogni caso l'effettiva permanenza del condannato, nei periodi di riferimento, presso gli istituti penitenziari).

Le conclusioni a cui è giunto il supremo organo di nomofilachia appaiono assolutamente condivisibili.

Infatti, per quanto attiene alla prima questione affrontata, riguardante l'applicabilità o meno della liberazione anticipata in favore dei condannati che si trovino a scontare una pena in regime di detenzione domiciliare, la suprema Corte è pervenuta ad una soluzione (negativa) rispettosa della lettera della legge e dell'espresso divieto previsto dall'art. 4, comma 5, d.l. 146/2013 e, quindi, della voluntas legislatoris. Inoltre, tale conclusione appare sorretta da valide e convincenti ragioni giuridiche, connesse essenzialmente alla irriducibile differenza tra la liberazione anticipata “ordinaria”, riguardante tutti i condannati in quanto attuativa della finalità rieducativa della pena, e quella c.d. “speciale”, tesa invece a ridurre il sovraffollamento carcerario e a fornire una riparazione in favore dei soli soggetti che abbiano scontato la pena in condizioni disumane.

Anche in merito alla seconda questione posta, concernente la legittimità costituzionale di una restrizione su base soggettiva dell'ambito applicativo del beneficio “speciale”, la Corte regolatrice pare giunta ad una conclusione convincente e condivisibile. In effetti l'esclusione dei soggetti sottoposti al regime della detenzione domiciliare dall'applicazione del beneficio “speciale” di cui all'art. 4 d.l. 146/2013 non sembra porsi in contrasto con i principi di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), avendo il legislatore regolato in modo difforme due situazioni assolutamente ed irriducibilmente diverse tra loro; né pare potersi ravvisare un vulnus al principio della finalità necessariamente rieducativa della pena (art. 27 Cost.), atteso che quei soggetti possono comunque accedere al beneficio della liberazione anticipata ordinaria (Corte cost. n. 186/1995), anche se condannati per reati di criminalità organizzata o per altri gravi delitti (come correttamente notato da Cass. pen., Sez. I, n. 34073/2014).

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