Sulla sostituibilità del bene confiscato

30 Gennaio 2017

La pronuncia in commento analizza la possibilità che il giudice dell'esecuzione, investito di una richiesta del terzo interessato volta ad ottenere la sostituzione di un bene definitivamente confiscato, possa acconsentire alla stessa. Viene innanzitutto affermato il principio che [...] a giudicare della pretesa avanzata in executivis dal terzo in relazione al bene confiscato, qualsivoglia sia il contenuto della istanza, è ...
Massima

La competenza a giudicare della pretesa avanzata in executivis dal terzo in relazione al bene confiscato, indipendentemente dal contenuto della istanza, non può che essere del giudice dell'esecuzione. Tuttavia la domanda avanzata deve rispondere ai canoni tipizzati per essa dalla legge, in altri termini tale domanda deve contenere un petitum ammesso dall'ordinamento processuale, di guisa che, la circostanza che nessuna norma neghi la praticabilità giuridica della sostituzione del bene immobile confiscato con una somma di denaro di pari valore, non conferma la legittimità della invocata sostituzione ma ne dimostra l'esatto contrario, ovverosia la sua impraticabilità procedimentale e giuridica.

Il caso

Un soggetto viene condannato per il delitto di cui all'art. 648-bis c.p. A seguito della condanna è disposta la confisca di un bene immobile cointestato con il coniuge, ai sensi degli artt. 1 l. 146/2006 e art. 12-sexies d.l. 306/1992 (conv. con modif. l. 356/1992) e art. 648-quater c.p.

Il coniuge del condannato propone istanza al giudice dell'esecuzione al fine di ottenere la revoca del provvedimento ablatorio ed in via subordinata la revoca parziale nella misura del 50% ovvero, in ultima istanza, la sostituzione del bene confiscato con una somma di denaro di pari valore.

In prima battuta il giudice dell'esecuzione dichiara inammissibile l'istanza negando la propria competenza a giudicare della stessa. La suprema Corte annulla tale provvedimento aderendo alla tesi difensiva secondo cui è il giudice dell'esecuzione a dover decidere sulla domanda di sostituzione del bene e non l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la gestione dei beni confiscati.

Rinviati nuovamente gli atti al Gip competente per l'esecuzione, ancora una volta il terzo interessato si vede rigettare la richiesta di sostituzione sul medesimo presupposto della precedente. Proposto ricorso in Cassazione anche avverso tale provvedimento, la suprema Corte procede ad un nuovo annullamento sottolineando come il giudice dell'esecuzione non si fosse attenuto al principio di diritto enunciato col precedente annullamento, sostanzialmente reiterando la decisione già negativamente valutata.

A fronte di questo secondo annullamento il procedimento ritorna al Gip, il quale ancora una volta rigetta l'istanza affermando che la sostituzione dei beni legittimamente confiscati in via definitiva esula dai provvedimenti di cui all'art. 676 c.p.p. e che comunque tale opzione non sarebbe praticabile in quanto finirebbe per lasciare invariato il patrimonio del condannato, vanificando le ragioni della confisca.

Tale ultimo provvedimento è oggetto di ricorso in cassazione da parte del terzo interessato che col primo motivo deduce la violazione degli artt. 676, art. 623, comma 1, lett a), art. 627, comma 3, c.p.p., art. 173, comma 2, norme att.c.p.p. e conseguente vizio di motivazione. In particolare, si osserva nel ricorso come ancora una volta il giudice del rinvio abbia disatteso i principi di diritto formulati in sede di legittimità; in quella sede, si ritiene, è stata esplicitamente riconosciuta la competenza del giudice dell'esecuzione, negando che l'Agenzia per l'amministrazione dei beni confiscati abbia la competenza giurisdizionale necessaria a pronunciarsi nel merito della questione.

Attraverso il secondo motivo di ricorso, la difesa si duole della violazione degli artt. 321 c.p.p., art. 240, comma 2, c.p.p., art. 1, l. 146/06, art. 12-sexies d.l. 356/1992 ed il vizio di motivazione su questo punto. Nello specifico si rappresenta come in maniera illegittima il giudice del rinvio abbia negato l'eventuale sostituzione del bene confiscato con somme di danaro che è ipotesi non vietata da alcuna norma ed in ogni caso ancor più favorevole per la P.A.

Il ricorso così come articolato è dichiarato infondato dalla suprema Corte.

La questione

La pronuncia in commento analizza – escludendola – la possibilità che il giudice dell'esecuzione, investito di una richiesta del terzo interessato volta ad ottenere la sostituzione di un bene definitivamente confiscato, possa acconsentire alla stessa.

È senza dubbio questa la questione più importante vagliata dalla suprema Corte nella pronuncia qui in commento.

In motivazione

Viene innanzitutto affermato il principio che [...] a giudicare della pretesa avanzata in executivis dal terzo in relazione al bene confiscato, qualsivoglia sia il contenuto della istanza, è e non può che essere il giudice dell'esecuzione, osserva il Collegio che deve comunque tale domanda aderire ai canoni tipizzati per essa dalla legge, nel senso che tale domanda deve contenere un petitum ammesso dall'ordinamento processuale, di guisa che, l'argomento difensivo che nessuna norma nega la praticabilità giuridica della sostituzione del bene immobile confiscato, ai sensi della normativa innanzi richiamata e quindi quale sanzione accessoria, con una somma di denaro di pari valore, lungi dal confermare la legittimità della invocata sostituzione, ne dimostra l'esatto contrario, ovverosia la sua impraticabilità procedimentale e giuridica.

Si precisa poi che in costanza di confisca pronunciata all'esito di un processo al quale il terzo sia rimasto estraneo, l'ordinamento consente ad esso di far valere, in sede esecutiva ed attraverso incidente di esecuzione, un proprio diritto del quale si denuncia la violazione in contrasto con quanto ritenuto nella sentenza nei confronti del condannato. Non è viceversa consentito al terzo, al di là della indicata delimitazione degli ambiti difensivi riconosciutigli dalla legge, interferire sul giudicato, in tal guisa dovendosi intendere la sua richiesta di riscattare (di questo sostanzialmente si tratta) e riacquistare il bene sottratto al condannato (tale ritenuto con la confisca disposta in sentenza con assunto non contestato dal terzo che domanda la sostituzione del bene con il suo valore in denaro).

Peraltro, concludono i giudici della suprema Corte, la confisca è stata disposta ai sensi dell'art. 648-quater c.p., comma 1, in costanza cioè della condanna dell'imputato confiscato per il reato di cui all'art. 648-bis c.p., di guisa che deve altresì rilevarsi che il provvedimento ablatorio ha avuto ad oggetto un bene immobile prodotto ovvero profitto della condotta sanzionata e che l'ablazione per equivalente, ai sensi del secondo comma della norma citata (art. 648-quater c.p.) è consentita esclusivamente quando non sia possibile provvedere alla confisca di cui al comma 1.

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento, come evidenziato in precedenza, giunge al termine di un tormentato iter procedimentale. Se l'orientamento emerso in sede di merito è stato univocamente nel senso del rigetto della richiesta di sostituzione del bene sequestrato con una somma di denaro liquido, altrettanto non può dirsi per gli interventi della suprema Corte.

I primi due ricorsi presentati dal terzo interessato sono infatti entrambi culminati con l'annullamento del provvedimento del Gip.

Come emerge dalla lettura della pronuncia della suprema Corte, a fronte di una prima istanza di sostituzione del bene confiscato con una somma di denaro, il giudice dell'esecuzione risponde dichiarandosi incompetente, riconoscendo la competenza dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la gestione dei beni confiscati.

Investita della questione la suprema Corte, il provvedimento viene cassato riconoscendo la competenza a decidere in capo al giudice dell'esecuzione.

In sede di primo rinvio il Gip ancora una volta dichiarava la propria incompetenza, investendo della richiesta l'agenzia nazionale per l'amministrazione e la gestione dei beni confiscati. anche questo provvedimento veniva annullato dalla suprema Corte sul presupposto che il giudice di merito non si era uniformato ai principi precedentemente sanciti in sede di legittimità.

Ritornati nuovamente gli atti al giudice per indagini preliminari in funzione di giudice dell'esecuzione, per la terza volta l'istanza viene rigettata. In quest'ultimo intervento il giudice parte dal presupposto che la sostituzione del bene non rientrerebbe tra i provvedimenti previsti dall'art. 676 c.p.p e che in ogni caso la sostituzione del bene confiscato con denaro del terzo estraneo al processo, vanificherebbe le ragioni della confisca lasciando invariato il patrimonio del condannato.

A fronte di ciò è nuovamente chiamata in causa la suprema Corte che questa volte conferma il provvedimento del Gip rigettando l'ennesimo ricorso.

Le osservazioni del supremo Collegio prendono le mosse dalla attribuzione definitiva della competenza al giudice dell'esecuzione a giudicare di qualsiasi questione inerente al bene confiscato da parte del terzo interessato in fase esecutiva.

Tanto premesso, si procede poi a valutare il contenuto della domanda ed è proprio sotto tale profilo che viene compiuto dalla Corte il passo ulteriore nel suo terzo intervento.

In questo senso si precisa come la domanda debba rispondere ai canoni tipizzati per essa dalla legge, nel senso che deve contenere un petitum ammesso dall'ordinamento processuale e tale non è l'istanza di sostituzione del bene confiscato con una somma di denaro.

In altri termini, mentre il ricorso si poggiava sull'antico brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, la sentenza procede nella direzione esattamente opposta.

Se ben si intende il dictum dei giudici di legittimità, infatti,la circostanza che nessuna norma neghi la sostituibilità del bene confiscato con una somma di denaro non ne dimostra la legittimità ma la sua impraticabilità processuale e giuridica.

Al terzo estraneo è si consentito di proporre incidente di esecuzione per far valere un diritto che assume leso dalle statuizioni contenute in sentenza rispetto al condannato ma non anche di incidere sul titolo esecutivo, cosa che invece avverrebbe se si consentisse la sostituzione e dunque il riscatto del bene oggetto della sanzione accessoria della confisca.

Da ultimo, e l'argomento appare oltremodo dirimente, si sottolinea come in questo caso si sia trattato di confisca diretta di prodotto ovvero profitto del reato, non residuando spazio per una ablazione per equivalente

Osservazioni

La questione relativa alla possibilità di sostituire un bene sottoposto a confisca non è una novità nel panorama giurisprudenziale.

La suprema Corte aveva già avuto modo di occuparsi del tema, anche se con sfaccettature parzialmente diverse rispetto alla pronuncia in commento.

Si è in particolare osservato, in una ipotesi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ai sensi dell'art. 322-ter c.p., che le somme di denaro costituenti oggetto del vincolo cautelare quale profitto del reato di corruzione non sono suscettibili di sostituzione attraverso una fideiussione da costituire presso un istituto di credito, trattandosi di una garanzia personale di pagamento non equipollente rispetto al bene in sequestro (Cfr.: Cass. pen., Sez. III, 31 agosto 2012, n. 33587; e Cass. pen. Sez. VI, 1 luglio 2009, n. 36095).

In sostanza, se il sequestro preventivo ha la funzione di anticipare il provvedimento di confisca anche per prevenire la possibilità che il bene, nella disponibilità del reo, possa costituire per lui un incentivo a delinquere, solo laddove non sia possibile aggredire in via diretta l'oggetto del profitto, si procede al sequestro (prodromico alla successiva confisca) di una somma appunto ad esso equivalente.

In altri termini, se la finalità perseguita è quella di impedire che l'autore del reato continui a giovarsi del profitto del reato stesso, è evidente come tale scopo non possa essere raggiunto con la fideiussione che, in quanto garanzia, lascerebbe di fatto immodificato il patrimonio dell'imputato e ad essere sottoposto sequestro sostanzialmente finirebbe denaro del garante che, quindi, non è nella diretta disponibilità dell'imputato bensì del terzo (Cfr. ancora Cass. pen., Sez. III, Sent., 31 agosto 2012, n. 33587).

Ad analoghe conclusioni è giunta la suprema Corte anche nella ipotesi di sostituzione del bene con una garanzia ipotecaria.

La richiesta di procedere alla sostituzione dei beni sottoposti a sequestro finalizzato alla confisca per equivalente con l'iscrizione di un'ipoteca volontaria sui beni stessi per un valore uguale, non è consentita in quanto per tale via si finirebbe per sostituire un bene certo con un diritto reale di garanzia non immediatamente convertibile in un bene di valore corrispondente al profitto del reato.

L'argomentazione contraria, appare invece, secondo la suprema Corte, il frutto di un travisamento della funzione del sequestro preventivo per equivalente, in quanto, nel ritenere ammissibile la restituzione del bene sequestrato qualora si fornisca un'idonea garanzia, conferisce allo stesso natura eminentemente conservativa.

Viceversa, la circostanza che il bene abbia anche una funzione conservativa non implica automaticamente la surrogabilità del bene in sequestro con la prestazione di una garanzia patrimoniale in quanto, secondo il costante insegnamento della suprema Corte, la confisca di valore ha natura sanzionatoria e pertanto richiede la pronta apprensione del bene in sequestro da parte dello Stato, non tollerando che possano essere computi atti tendenti a frustare o a ritardare l'esecuzione del provvedimento ablativo ed essendo il sequestro preventivo preordinato, in funzione anticipatoria, proprio a tale scopo (Cfr. Cass. pen. Sez. III, 14 marzo 2014, n. 12245 che rinvia a Cass. pen., Sez. un., 25 ottobre 2005, n. 41936).

A fronte di ciò, però, vale la pena osservare come il caso di specie sia sostanzialmente diverso, atteso che non si tratta di scambiare il certo (un bene) con l'incerto (una garanzia reale o personale). Da un punto di vista squisitamente pratico, la posizione dello Stato è addirittura migliore perché ad un bene che dovrà poi essere venduto e monetizzato, si sostituisce una somma di denaro, bene fungibile e già di per sé monetizzato.

In altri termini, a seguito di una confisca per equivalente di un bene immobile, la sostituzione dello stesso con una somma di denaro non avvantaggia il condannato, atteso che la somma prelevata è identica al valore del bene e certamente meglio soddisfa la pretesa pubblica.

Deve però chiarirsi che ciò potrebbe al limite valere solo nella misura in cui si tratti di denaro e beni riconducibili direttamente al condannato ed in una ipotesi di confisca per equivalente.

Il venir meno di una sola delle condizioni, come correttamente considerato nella pronuncia in commento, rende certamente impraticabile una simile conclusione.

Se la confisca diretta si configura come prelievo diretto del prodotto o del profitto del reato, rispetto alla quale il prelievo di somme equivalenti è un'ipotesi subordinata alla impossibilità di apprendere direttamente gli stessi, ben si comprende come non sia consentito all'imputato (e men che meno ad un terzo estraneo) di riscattare il bene prodotto o profitto del reato accertato con sentenza passata in giudicato.

Peraltro, condividendo l'approdo della pronuncia in commento, pur a fronte di confisca per equivalente, la sostituzione del bene confiscato su istanza del terzo non appare comunque praticabile, poiché per tale via verrebbe consentito un intervento di quest'ultimo equiparabile ad una surroga certamente impraticabile rispetto ad una misura che ha anche natura sanzionatoria. Ove invece tale ipotesi fosse consentita, ne risulterebbe vanificata anche la finalità sanzionatoria dell'istituto, lasciando di fatto inalterato il patrimonio del condannato.

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