La mancata risposta dei pubblici funzionari alle istanze dei privati
30 Marzo 2016
Massima
Il privato ha titolo per dolersi dell'omissione di atto d'ufficio solo quando sia titolare di una posizione giuridica destinata a ricevere tutela attraverso l'adozione di un atto amministrativo. Pertanto, il meccanismo sanzionatorio delineato dall'art. 328, comma 2, c.p. non scatta immancabilmente a fronte di ogni richiesta del privato che prospetti la competenza dell'ufficio ma presuppone la sussistenza di un obbligo di avvio del procedimento.
L'avvio di fatto di un procedimento amministrativo in realtà non dovuto non fa sorgere un dovere di risposta penalmente sanzionato da parte del pubblico ufficiale, non potendosi affermare, logicamente e giuridicamente, l'esistenza dell'obbligo di concludere un procedimento che non avrebbe dovuto essere neppure avviato e non profilandosi, nel caso di mancata risposta, alcuna lesione degli interessi protetti, né quello al buon andamento della pubblica amministrazione – che non avrebbe dovuto attivarsi – né quello del privato, che, in radice, non è destinato ad essere soddisfatto attraverso l'adozione di un provvedimento amministrativo.
La diffida ad adempiere è necessario presupposto del delitto ex art. 328, comma 2, c.p. e non rileva se palesemente pretestuosa ed irragionevole; non può valere come diffida la mera istanza volta ad ottenere celere ed urgente informazione sullo stato della pratica. Il caso
La questione sottoposta al vaglio del tribunale di Trapani ha preso le mosse da plurime istanze indirizzate al Comune da un privato cittadino interessato ad avere risposta certa sull'inserimento nel registro del patrimonio stradale di una piccola area di circolazione coincidente con una via della quale non era possibile farne un uso privato. Non potendo trarre benefici da quell'area, gli istanti volevano che venissero chiariti gli assetti proprietari, per non incorrere in obblighi di manutenzione ed alle eventuali responsabilità legate alla titolarità formale del diritto di proprietà. Pur non mancando di attivarsi, i funzionari comunali non arrivavano ad offrire una risposta conclusiva e, in particolare, in relazione ad una precedente istanza avente ad oggetto la medesima questione, non fornivano risposta nel termine di trenta giorni, neppure per spiegare le ragioni del ritardo nell'adozione del provvedimento finale. La questione
Il punctum pruriens della vicenda in esame consiste nello stabilire se la mancata risposta al privato da parte dei pubblici funzionari abbia rilevanza penale e se sia, pertanto, idonea ad integrare il reato di omissione di atti d'ufficio, così come previsto dall'art. 328, comma 2, c.p. La risposta a tale quesito impone una preliminare disamina degli elementi costitutivi della fattispecie penale incriminatrice richiamata, anche alla luce delle preziose indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità. Le soluzioni giuridiche
La formulazione dell'art. 328 c.p., introdotta dall'art. 16 legge 26 aprile 1990, contiene al suo interno due distinte fattispecie delittuose: al primo comma sanziona la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che indebitamente rifiuta un atto del proprio ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo; al secondo comma punisce, invece, la mera omissione del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo. Il reato di omissione di atti d'ufficio, che può essere integrato solo dal pubblico ufficiale destinatario della richiesta del privato e, dunque, responsabile dell'atto richiesto, ha una natura plurioffensiva perché, oltre a ledere l'interesse pubblico al buon andamento e alla trasparenza della pubblica amministrazione (art. 97Cost.), lede il concorrente interesse del privato all'adozione entro i termini dell'atto amministrativo dovuto. Infatti, la norma di cui al comma secondo dell'art. 328 c.p. presuppone, da un lato una richiesta presentata da un soggetto in quanto vi abbia interesse, in quanto titolare di una situazione giuridica qualificata come diritto soggettivo o interesse legittimo e, dall'altro, tutela l'aspettativa dell'istante ad ottenere il provvedimento richiesto o, in alternativa, la comunicazione dei motivi del ritardo o della mancata adozione. Affinché possa ritenersi integrata l'ipotesi delittuosa in commento è necessario che vi sia una preventiva richiesta del privato rivolta al pubblico ufficiale; richiesta che deve assumere la funzione tipica di una diffida ad adempiere rivolta a sollecitare il compimento dell'atto o l'esposizione delle ragioni che lo impediscono. Qualora la richiesta non sia qualificabile come diffida ad adempiere, diretta alla messa in mora del destinatario, e da quest'ultimo immediatamente valutabile come tale in ragione del suo contenuto e del suo tenore letterale, si esclude che possa ritenersi configurato il reato. Ne consegue che il reato si ritiene consumato quando, in presenza di tali presupposti, sia trascorso il termine di trenta giorni senza che l'atto richiesto sia stato compiuto, o senza che il mancato compimento sia stato giustificato. In giurisprudenza si esclude incessantemente la configurabilità del reato di cui al comma secondo dell'art. 328 c.p. nella ipotesi in cui si ravvisi il carattere puramente pretestuoso della diffida ad adempiere. Si ritiene pretestuosa ed irragionevole la diffida finalizzata a sollecitare la P.A. ad adottare un provvedimento in contrasto con una scelta discrezionale già effettuata e certamente nota al richiedente nelle sue ragioni giustificative, in quanto oggetto di un giudizio amministrativo pendente tra le parti (Cass. pen. 36249/2011). In altre parole, la giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che il dovere di risposta del pubblico ufficiale, la cui omissione comporta la consumazione del reato, presuppone che sia avviato un procedimento amministrativo con conseguente necessità della sua istruttoria e tempestiva definizione. Si ritiene, dunque, che ai fini della configurabilità del reato di omissione di atti d'ufficio la diffida debba avere il requisito della serietà e ragionevolezza, rimanendo al di fuori della tutela penale quelle richieste che, per mero capriccio o irragionevole puntigliosità, sollecitino la pubblica amministrazione ad una attività che la stessa ritenga ragionevolmente superflua e non doverosa; attività non destinata a spiegare alcuna necessaria influenza sul rapporto amministrativo, già ben definito nei suoi contorni essenziali (Cass. pen., Sez. VI, 19 ottobre 2011, n. 79; Cass. pen., Sez. VI ,7 giugno 2011, n. 36249; Cass. pen., 6 ottobre 1998, n. 12997). Inoltre, vale la pena evidenziare che il reato di cui al comma secondo dell'art. 328 c.p., non sussiste in presenza di una domanda che prospetti la competenza dell'ufficio cui è rivolta, ma solo quando sussista un obbligo di avvio del procedimento derivante dalla idoneità della domanda. In sostanza si vuole in altri termini significare che non ogni richiesta di atto che il privato sollecita alla P.A. ha idoneità ad attivare il meccanismo per l'operatività della previsione delittuosa di cui al secondo comma dell'art. 328 c.p. Per tali ragioni, la suprema Corte, puntualmente richiamata dal tribunale siciliano nella pronuncia in commento, ha assolto il sindaco di un comune al quale erano state indirizzate istanze e diffide volte ad ottenere la regimentazione di una strada interpoderale e a conoscere l'iter ed il responsabile del procedimento, non sussistendo la competenza del comune a provvedere sulla richiesta in questione (Cass. pen. 11515/1997). Facendo corretta applicazione degli illustrati principi di diritto, il tribunale di Trapani ha ritenuto come le istanze indirizzate dal privato cittadino al comune, finalizzate a conseguire l'inserimento della particella corrispondente alla via delle Ortensie nel registro del patrimonio stradale, non obbligassero l'amministrazione comunale ad avviare un procedimento amministrativo. Tali istanze, rileva il tribunale di merito, sollecitavano sostanzialmente un accertamento sulla proprietà della particella stessa, accertamento che, ben potendo formare oggetto di apposito negozio tra le parti, libere di accordarsi nell'ambito della autonomia privata, mai poteva rientrare tra i poteri/doveri della pubblica amministrazione, non potendo essere unilateralmente condotto da uno dei soggetti coinvolti nel rapporto controverso. Osservazioni
Il tribunale di Trapani con la pronuncia in commento ha ritenuto di assolvere i dipendenti comunali, ai quali i privati cittadini avevano indirizzato le istanze concernenti l'accertamento del titolo di proprietà, sulla base di alcune considerazioni che si ritiene di condividere. In verità, la soluzione offerta dal tribunale isolano non giunge inaspettata, soprattutto se si considerano le argomentazioni reiteratamente offerte dalla giurisprudenza di legittimità a proposito dei requisiti che la richiesta del privato deve possedere al fine di sollecitare la pubblica amministrazione al compimento dell'atto richiesto o alla esposizione delle ragioni che lo impediscono. I giudici di merito hanno in primo luogo evidenziato, pronunciando sentenza di assoluzione, come con le istanze indirizzate al comune non venisse richiesto l'accertamento della proprietà della strada bensì l'inserimento della stessa nel registro del patrimonio stradale; inserimento che avrebbe potuto essere valorizzato a sostegno della proprietà comunale della strada in eventuali successivi giudizi tra il cittadino e l'amministrazione relativi alla via delle Ortensie. Giudizio che, peraltro, già era stato precedentemente promosso dagli istanti contro il comune di Trapani al fine di ottenere il rimborso delle spese sostenute per la realizzazione di una conduttura per lo smaltimento delle acque meteoriche, sul presupposto che la predetta via fosse di proprietà comunale. Giudizio conclusosi con rigetto della domanda attorea per non essere stata adeguatamente provato il diritto di proprietà comunale. Sulla base di tale situazione di fatto il tribunale di Trapani ha ritenuto come le successive istanze avessero quale principale scopo quello di aggirare quanto stabilito con sentenza nel giudizio civile e come, per tali ragioni, alcuna rilevanza penale potesse attribuirsi alla mancata risposta dei pubblici funzionari, pur dovendosi ritenere avviato il procedimento amministrativo. Infatti, nella ipotesi in cui il procedimento amministrativo non avrebbe dovuto neppure essere avviato, non possono ritenersi lesi gli interessi tutelati dalla fattispecie penale di cui all'art. 328 comma 2, c.p. In tali casi non può ritenersi giuridicamente esistente l'obbligo di concludere il procedimento e con esso l'obbligo di fornire risposta agli istanti. Ciò in considerazione delle statuizioni della Corte di legittimità che, come evidenziato, non ritengono meritevole di tutela penale tutte quelle richieste che, per mero capriccio o irragionevole puntigliosità, sollecitino la pubblica amministrazione ad una attività che la stessa ritenga ragionevolmente superflua e non doverosa. Ed è proprio sulla scorta di tali orientamenti giurisprudenziali che il tribunale di Trapani ha valutato come pretestuosa la richiesta del privato finalizzata a ribaltare una decisione precedentemente assunta nel giudizio civile e, dunque, a sollecitare la pubblica amministrazione ad esercitare un potere che esulava dalle proprie competenze. |