Archiviazione per particolare tenuità del fatto: l'indagato non ha interesse ad impugnare
30 Agosto 2017
Massima
Il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto non è ricorribile per Cassazione, ad esclusione delle ipotesi previste nel comma 6 dell'art. 409 c.p.p. (casi di nullità previsti dall'art. 127, comma 5,c.p.p.), sia perché espressamente previsto dall'art. 409, comma 6, c.p.p., e sia perché il provvedimento di archiviazione non risulta iscrivibile nel casellario giudiziale, trattandosi di provvedimento non definitivo, e pertanto viene a mancare l'interesse ad impugnare, non risultando il provvedimento lesivo di alcun interesse dell'indagato. Il caso
A seguito della notificazione dell'avviso ex art. 411, comma 1-bis, c.p.p., Tizio proponeva opposizione alla richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto avanzata dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Vicenza. Il giudice per le indagini preliminari del predetto Tribunale rigettava l'opposizione e disponeva l'archiviazione del procedimento ritenendo Tizio non punibile per la particolare tenuità del fatto commesso. Avverso la suddetta ordinanza interponeva ricorso per cassazione l'indagato sostenendo che la notizia di reato doveva essere archiviata in quanto infondata e non per la causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p., che, presupponendo la sua responsabilità, produce effetti più sfavorevoli. Il ricorso veniva dichiarato inammissibile perché proposto per motivi di merito e non già per violazione del contraddittorio, unico motivo che, a mente dell'art. 409, comma 6, c.p.p., consente il ricorso alla Corte di cassazione avverso l'ordinanza di archiviazione. La questione
La questione in esame è la seguente: l'ordinanza di archiviazione per particolare tenuità del fatto è ricorribile per cassazione al di fuori dei casi di nullità ai sensi dell'art. 127, comma 5, c.p.p.? Le soluzioni giuridiche
La questione è inedita. L'applicazione dell'art. 131-bis c.p., così come tutte le cause di non punibilità, presuppone la sussistenza del fatto, la sua illiceità penale e la sua attribuzione all'indagato. Essa opera nei casi in cui il reato commesso, nella sua declinazione concreta, ha assunto una offensività talmente modesta da rendere sproporzionata per eccesso la pena edittale minima comminata dal legislatore per quel fatto e, dunque, inopportuna la punizione del suo autore. È chiaro dunque che l'applicazione dell'art. 131-bis c.p., presupponendo la commissione del reato, comporta una lesione (quantomeno morale) per l'indagato, nonostante l'esito positivo di esenzione dalla pena. Si comprende allora perché la Corte si ponga il problema della conformità a costituzione di un sistema normativo che non consente all'indagato di ricorrere per cassazione avverso il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto fuori dalle ipotesi di violazione del contradittorio. Osserva, infatti, la Corte che una norma che non consentisse il ricorso in Cassazione nei casi di lesioni degli interessi dell'indagato potrebbe ritenersi non conforme alla Costituzione, relativamente all'art. 3 e 24 e – tramite il parametro interposto dell'art. 117 – anche in relazione all'art. 6 Cedu e all'art. 2 del protocollo 7 Cedu. Tuttavia, la Corte ritiene che la lesione dell'interesse dell'indagato sussisterebbe soltanto se il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto fosse iscritto nel certificato del casellario giudiziale. Infatti, la Corte ha già avuto occasione di precisare che il potere di opposizione alla dichiarazione di improcedibilità predibattimentale art. 469, comma 1-bis, c.p.p. trova giustificazione nel possibile interesse delle parti ad un diverso esito del procedimento, potendo l'imputato, in particolare, mirare all'assoluzione nel merito o ad una diversa formula di proscioglimento onde evitare l'iscrizione nel casellario giudiziale della dichiarazione di non punibilità ex art. 131-bis c.p. (Cass. pen., Sez. II, 15 marzo 2016, n. 12305). Posto il problema ordinamentale della non impugnabilità dell'archiviazione, la Corte ritiene di poterlo risolvere attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 3, comma 1, lett. f) d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, che annovera, fra quelli iscrivibili nel casellario giudiziale, «i provvedimenti giudiziari definitivi che hanno prosciolto l'imputato o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilità, o disposto una misura di sicurezza, nonché quelli che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale». Dal tenore letterale della disposizione citata si evince che condizione per l'iscrizione nel casellario giudiziale è la definitività del provvedimento, perché non impugnato o altrimenti definitivo (ad esempio per rigetto dell'impugnazione). Quanto al decreto e all'ordinanza di archiviazione, si tratta di provvedimenti sempre provvisori e dunque non iscrivibili nel casellario. Essi, infatti, esplicano una efficacia preclusiva doppiamente limitata. Da un lato, nessun ostacolo incontra l'autorità giudiziaria di altra sede a compiere accertamenti sui fatti oggetto del provvedimento di archiviazione (cfr. Cass. pen., sez. un., 22 marzo 2000, n. 9 e successiva giurisprudenza). Dall'altro, anche l'autorità giudiziaria che ha provveduto all'archiviazione può rimuovere gli effetti della precedente valutazione di infondatezza della notizia di reato autorizzando la riapertura delle indagini (art. 414 c.p.p.) Ciò vale anche quando il provvedimento di archiviazione si fonda sulla ritenuta non punibilità dell'indagato per la particolare tenuità del fatto commesso. Del resto, solo alle sentenze (e non anche ai decreti e alle ordinanze) che applicano l'art. 131-bis c.p. è riconosciuta l'efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo di danno (art. 651-bis c.p.p.). Osservazioni
La sentenza che si annota ritiene conforme a Costituzione l'attuale sistema normativo che non consente all'indagato di impugnare l'ordinanza di archiviazione per particolare tenuità del fatto al di fuori dai casi di violazione del contraddittorio. I giudici di legittimità giungono a tale risultato ritenendo il suddetto provvedimento non lesivo degli interessi dell'indagato in quanto non iscrivibile nel certificato del casellario giudiziale La soluzione è pienamente condivisibile. Va detto che la non abitualità del comportamento costituisce un presupposto applicativo della causa di non punibilità in esame (art. 131-bis, commi 1 e 3, c.p.). Per consentire al giudice di apprezzarne la sussistenza, l'art. 4 d.lgs. 28/2015, modificando il d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, ha previsto che siano iscritti per estratto nel certificato del casellario giudiziale i provvedimenti giudiziari definitivi «che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'articolo 131-bis del codice penale» (art. 3 lett. f). Ciò in quanto i predetti provvedimenti, contenendo l'accertamento della sussistenza di un fatto tipico riconducibile, oggettivamente e soggettivamente, all'imputato, consentono al giudice di stabilire se quest'ultimo abbia «commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità» (art. 131-bis, comma 3, c.p.). Va osservato che la norma prevede l'iscrizione dei provvedimenti giudiziari che siano “definitivi”. Tale qualità dovrebbe portare ad escludere l'iscrizione del decreto e dell'ordinanza di archiviazione per tenuità del fatto trattandosi di provvedimenti i cui effetti possono venire meno a seguito del decreto con il quale il giudice autorizza la riapertura delle indagini su richiesta del pubblico ministero (eventualmente sollecitato dalla persona offesa: Cass. pen., Sez. VI, 23 settembre 2014, n. 41129) motivata dalla esigenza di nuove investigazioni (art. 414, comma 1, c.p.p.). D'altro canto, l'eventuale riapertura delle indagini non è contemplata fra le cause di eliminazione dell'iscrizione previste dall'art. 5 lett. d-bis) d.P.R. 313/2002 (anch'esso introdotto dal d.lgs. 28/2015) e non si comprende perché il provvedimento di archiviazione per speciale tenuità del fatto dovrebbe rimanere iscritto, con i connessi effetti negativi per l'interessato, nonostante la sua caducazione a seguito della riapertura delle indagini preliminari. Potrebbe sostenersi che il provvedimento di archiviazione per tenuità del fatto non più soggetto a ricorso per cassazione debba considerarsi “definitivo” secondo la definizione offerta dall'art. 2, lett. g) d.P.R. 313/2002, che considera tale, ai fini dell'iscrizione nel casellario giudiziale, il provvedimento giudiziario «divenuto irrevocabile, passato in giudicato o, comunque, non più soggetto a impugnazione con strumenti diversi dalla revocazione». Tuttavia, il decreto di archiviazione è un provvedimento non impugnabile (salvo i casi di abnormità: v. Cass. pen., Sez. unite, 31 maggio 2005, n. 22909), mentre l'ordinanza di archiviazione è impugnabile con il ricorso per Cassazione, ma soltanto per motivi processuali relativi alla violazione del contraddittorio (omessa fissazione dell'udienza camerale: v. art. 409, comma 6, c.p.p., che richiama le nullità previste dall'art. 127, comma 5, c.p.p.; oppure omessa notificazione dell'istanza archiviativa alla persona offesa che ne aveva fatto richiesta: v. Corte cost., 11 luglio 1991, n. 353; Cass. pen., Sez. I, 30 settembre 1992, n. 3642), mentre è evidente, per l'accostamento con l'irrevocabilità ed il passaggio in giudicato, che l'impugnazione a cui allude la norma citata è quella che censura il merito del provvedimento. Deve aggiungersi che l'art. 131-bis c.p., quando menziona la commissione di più reati, sembra riferirsi ai soli reati che siano stati accertati con sentenza passata in giudicato e non già a quelli prognosticati nel provvedimento di archiviazione per tenuità del fatto, perché solo nel primo caso l'imputato è stato posto nella condizione di esercitare in modo pieno i suoi diritti difensivi (compreso il diritto di difendersi provando e di impugnare nel merito il provvedimento decisorio sfavorevole) per dimostrare la propria innocenza. Sicché il provvedimento di archiviazione non dovrebbe necessitare di alcuna iscrizione perché il giudice non potrebbe negare in futuro la non punibilità sul solo presupposto della precedente archiviazione per tenuità, non essendo in tal caso operativa la previsione della causa ostativa relativa all'aver commesso più reati della stessa indole, ancorché tenui. Non sfugge, tuttavia, che ricostruendo in tal modo il sistema, l'autore seriale di fatti bagatellari potrebbe reiteratamente beneficiare della causa di non punibilità se l'azione penale nei suoi confronti non viene mai esercitata. Tuttavia, l'inconveniente può essere evitato se il pubblico ministero, nell'indagare su ulteriori fatti criminosi, richiede la riapertura delle attività investigative sul primo caso (che, in ragione del nuovo fatto, non appare più non abituale e quindi non punibile ex art. 131-bis c.p.) e chiede o dispone che siano processati unitariamente. In questa prospettiva l'archiviazione per particolare tenuità del fatto opera come una sorta di sospensione del procedimento, incentivando l'interessato ad astenersi dal commettere ulteriori reati nella consapevolezza che successive condotte criminose potrebbe comportare la riapertura delle indagini e una condanna anche per i fatti pregressi. È appena il caso di sottolineare che, se gli si attribuisce l'effetto di integrare l'abitualità del comportamento ostativa ad una nuova fruizione della causa di non punibilità, l'archiviazione per tenuità del fatto non dovrebbe poter essere decretata assumendo come mera ipotesi la responsabilità dell'indagato ma quest'ultima dovrebbe essere oggetto di un accertamento investigativo completo, eventualmente integrato dal giudice a seguito della domanda di inazione non accolta. In ogni caso, anche se si accede alla suddetta lettura, l'iscrizione del provvedimento ex art. 411, comma 1-bis, c.p.p. nel casellario non sembra necessaria, in quanto il magistrato del pubblico ministero è sempre in grado di verificare la sussistenza di archiviazioni ex art. 131-bis c.p. presso la propria o altra sede giudiziaria consultando il registro informatico delle iscrizioni (SICP). Deve aggiungersi che, sebbene l'iscrizione del provvedimento di archiviazione desti molte perplessità, come visto sopra, essa sembra rispondere alla volontà del riformatore. Infatti, dalla relazione ministeriale di accompagnamento al testo legislativo risulta chiaramente «la necessità di iscrivere nel casellario giudiziale il provvedimento di applicazione del nuovo istituto, ancorché adottato mediante decreto di archiviazione»; e ciò in quanto «il requisito della ‘non abitualità' del comportamento previsto dal primo comma del nuovo art. 131-bis c.p., impone un sistema di registrazione delle decisioni che accertano la particolare tenuità del fatto che comprenda ovviamente anche i provvedimenti di archiviazione adottati per tale causa». In favore di questa soluzione, oltre alla voluntas legis, vengono richiamati altri argomenti. In primo luogo, l'avviso all'indagato della richiesta di archiviazione per tenuità del fatto è stata prevista al fine di consentirgli di interloquire sulla scelta del pubblico ministero ed evitare proprio l'effetto pregiudizievole derivante dall'iscrizione del provvedimento di archiviazione. Va poi rilevato che l'espressione utilizzata dal legislatore – «nonché quelli che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'articolo 131-bis del codice penale» – potrebbe essere indicativa dell'assenza di un collegamento con la prima parte della norma e quindi con il riferimento alla definitività del provvedimento iscritto ivi contenuta. Infine, la circostanza che il legislatore abbia previsto una specifica ipotesi di eliminazione dell'iscrizione trascorsi 10 anni dalla pronuncia (art. 5 lett. d-bis) d.P.R. 313/2002, introdotto dalla novella in esame), anziché aggiungere un'ulteriore ipotesi alla lettera c) dell'art. 5 d.P.R. 313/2002, che fa decorrere il termine di durata dell'iscrizione «dal giorno in cui il provvedimento è divenuto irrevocabile o, nel caso di non luogo a procedere, dal giorno in cui è scaduto il termine per l'impugnazione», potrebbe essere sintomatica della volontà di rendere iscrivibili tutti i provvedimenti che applicano la causa di non punibilità, ivi compreso il decreto di archiviazione. Se alla luce dei dati passati in rassegna residuano pochi dubbi sulla reale volontà del Legislatore di inserire il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto fra quelli oggetto di iscrizione, è lecito avanzare seri dubbi sulla legittimità costituzionale e convenzionale di tale operazione. In primo luogo, occorre sottolineare come nessun altro provvedimento di archiviazione per una qualche altra causa di non punibilità viene iscritto nel casellario giudiziale, nonostante anche le altre cause di esclusione della punibilità presuppongano l'accertamento di un fatto-reato e l'attribuzione dello stesso all'indagato. Va poi aggiunto che l'iscrizione nel casellario giudiziale – suscettibile non solo di impedire futuri riconoscimenti della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p. in relazione a reati della stessa indole, ma anche, ad esempio, di giustificare l'adozione di misure cautelari ai sensi dell'art. 274 lett. c) c.p.p. – consegue ad un provvedimento (l'archiviazione per particolare tenuità del fatto) che non contiene un accertamento della colpevolezza dell'indagato. Insomma, si fa forte il sospetto di una frizione con l'art. 3 Cost. (sotto il profilo della ragionevolezza di una disciplina differenziata) e con l'art. 6 § 2 Cedu (sotto il profilo della presunzione di innocenza dell'indagato). Occorre sottolineare che la soluzione di rendere iscrivibili i provvedimenti di archiviazione ex art. 411 c. 1-bis c.p.p. produce ulteriori effetti, probabilmente non voluti dal riformatore. L'art. 236 c.p.p., ad esempio, non contempla i decreti e le ordinanze di archiviazione fra i documenti che possono essere prodotti o acquisiti per formulare il giudizio sulla personalità dell'imputato, in quanto si tratta di provvedimenti che non costituiscono dimostrazione dei fatti in essi accertati. Tuttavia, poiché la suddetta norma consente la produzione e l'acquisizione dei certificati del casellario giudiziale, se si ritiene che i provvedimenti di archiviazione per la particolare tenuità del fatto vadano iscritti, si finisce per farli transitare nella documentazione utilizzabile ai sensi dell'art. 236 c.p.p. In conclusione, alla luce di tutte le considerazioni svolte sopra, merita piena adesione la scelta della sentenza in commento di operare una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell'art. 3, comma 1, lett. f) d.P.R. 313/2002, come modificato dall'art. 4 d.lgs. 28/2015, che, superando la volontà storica del Legislatore, consenta di escludere le archiviazioni ex art. 411, comma 1-bis, c.p.p. dal novero dei provvedimenti iscrivibile. Deve, infine, osservarsi che la problematica affrontata dalla Corte mantiene tutta la sua rilevanza anche dopo la l. 23 giugno 2017, n. 103 di riforma del processo penale (c.d. Riforma Orlando), che in materia di archiviazione ha introdotto l'inedito istituto del reclamo al Tribunale in composizione monocratica, limitandolo tuttavia a vizi procedurali, senza concedere alle parti uno strumento che consenta di ottenere un secondo vaglio sul merito della richiesta di inazione formulata dal pubblico ministero. |