La Cassazione blinda la clausola a tutela della minoranza

La Redazione
15 Marzo 2016

La clausola statutaria che protegge la minoranza richiedendo una maggioranza rafforzata per le delibere riguardanti determinate materie, non può essere modificata con una maggioranza più limitata. Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4967/2016.

La clausola statutaria che protegge la minoranza richiedendo una maggioranza rafforzata per le delibere riguardanti determinate materie, non può essere modificata con una maggioranza più limitata. Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4967/2016.

La vicenda. La sentenza in oggetto origina dalla pronuncia con cui la Corte d'appello di Roma rigettava la domanda proposta da alcuni soci di una s.r.l. per ottenere l'annullamento di una delibera assembleare con la quale era stata modificata una delle clausole statutarie. In particolare, la previsione interessata richiedeva una maggioranza pari al 60% per le assemblee relative a determinate materie, sia in prima che in seconda convocazione, ed il giudice dell'appello aveva ritenuto legittima la modifica della medesima clausola con il voto favorevole dei soci rappresentanti più di un terzo del capitale sociale, come previsto dall'art. 2369 c.c. (nel testo anteriore alla riforma di cui al d.lgs. n. 6/2003). La decisione si fondava sull'assunto per cui la maggioranza specificamente richiesta dalla clausola statutaria riguardava solo le delibere relative a determinate materie e non quelle aventi ad oggetto la modifica di tale previsione, non sussistendo dunque il lamentato abuso della maggioranza.

La tutela della minoranza. La Corte di legittimità esamina congiuntamente gli otto motivi del ricorso con cui i soci di minoranza lamentano la violazione degli artt. 1362 e 1364 c.c. per aver il giudice di merito trascurato il significato letterale che la clausola statutaria assumeva nella strutturazione complessiva dei rapporti di forza tra maggioranza e minoranza. L'interpretazione accolta dalla Corte d'appello finiva infatti per vanificare la portata sostanziale della clausola statutaria, consentendo di ottenere attraverso una doppia delibera assembleare il risultato che la clausola stessa intendeva scongiurare.

L'interpretazione soggettiva. Il Collegio rileva la fondatezza dell'assunto proposto dai ricorrenti e sottolinea come il sistema normativo delineato dagli artt. 1362 ss. c.c. impone di mitigare l'interpretazione letterale delle clausole statutarie con i criteri dell'interpretazione funzionale (art. 1369 c.c.) e della buona fede (art. 1366 c.c.), quali criteri cardine per indagare lo scopo pratico perseguito dalle parti.

L'argomentazione fornita dalla sentenza impugnata si rivela dunque contraddittoria nel consentire alla maggioranza non qualificata di modificare liberamente la clausola statutaria che garantisce, attraverso un quorum rafforzato per le decisioni relative ad alcune materie, un potere di interdizione ad una minoranza determinata.

I rapporti di forza tra maggioranza e minoranza. La ricostruzione della funzione della clausola in oggetto si desume dalla struttura della stessa che rende inequivoco l'obiettivo di fissare i rapporti di forza esistenti al momento della costituzione della società e di assicurarne la persistenza attraverso una maggioranza che implicitamente imponeva il raggiungimento di una soluzione condivisa dai diversi gruppi della compagine sociale.

In conclusione e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte cassa la sentenza impugnata e decide nel merito la controversia annullando la delibera impugnata.

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