Partecipazione di s.r.l. in società di persone: risvolti fallimentari
15 Marzo 2016
Massima
La partecipazione di una società a responsabilità limitata in una società di persone, anche di fatto, non richiede il rispetto delle condizioni dettate dall'art. 2361, comma 2, c.c. per le società per azioni e costituisce un atto di gestione rientrante nella competenza dell'organo amministrativo, che non presuppone la previa autorizzazione dei soci ai sensi dell'art. 2479, comma 2, c.c., sempre che l'assunzione della partecipazione non comporti un significativo mutamento dell'oggetto sociale. Il caso
Il Tribunale di Foggia dichiarava il fallimento di una s.r.l. e della società di fatto, ritenuta esistente tra la predetta società e altre due s.r.l. e riconosciuta insolvente; infine, ai sensi dell'art. 147, comma 1, legge fallimentare dichiarava il fallimento in estensione delle due s.r.l. in quanto socie illimitatamente responsabili della società di fatto. Contro la sentenza di fallimento veniva proposto reclamo dinanzi alla Corte d'Appello di Bari, che respingeva l'istanza. Avverso tale sentenza veniva proposto ricorso per cassazione nel quale le società ricorrenti sostenevano l'inammissibilità di una società di fatto tra società di capitali, osservando che l'acquisto della partecipazione in una società di persone rientra nella competenza esclusiva dell'assemblea, la cui autorizzazione costituisce un limite legale ai poteri degli amministratori, restando inefficace ove compiuto in difetto delle condizioni dettate dall'art. 2361 c.c. La questione
La sentenza in esame affronta la questione dibattuta concernente la fallibilità di una società di capitali, in particolare di una s.r.l., che si accerti essere socia di una società di fatto, riconosciuta insolvente, qualora l'assunzione della partecipazione sia avvenuta in mancanza delle condizioni previste dall'art. 2361, comma 2, c.c., ossia in assenza della previa deliberazione assembleare e della successiva informazione nella nota integrativa al bilancio. Nel risolvere tale questione la Corte di Cassazione effettua tre fondamentali passaggi logici:
Per quanto concerne il primo profilo della questione, la pronuncia in esame evidenzia come il legislatore in sede di riforma abbia dettato una disposizione diretta a consentire l'assunzione di partecipazioni in società a responsabilità illimitata da parte di s.p.a., imponendo soltanto due adempimenti formali, ossia la previa deliberazione assembleare e la successiva informazione nella nota integrativa del bilancio, rispettivamente a tutela dei soci e dei creditori sociali. Nondimeno, qualora la predetta partecipazione sia stata acquisita dagli amministratori senza che i soci siano stati chiamati a decidere (o di fatto, svolgendo in concreto attività d'impresa con altri soggetti individuali o collettivi) e/o in assenza dell'apposita indicazione nel bilancio, ciò non si ripercuote sulla validità ed efficacia dell'assunzione della partecipazione, specie in difetto di un'apposita previsione legislativa, bensì si riflette esclusivamente nei rapporti interni, consentendo il ricorso ai rimedi previsti dall'ordinamento (azione di responsabilità, revoca degli amministratori, denuncia al Tribunale di gravi irregolarità).
Più in particolare, per quanto attiene alla previa deliberazione dei soci, questa costituisce un atto di autorizzazione che integra i poteri dell'organo amministrativo (che resta responsabile dell'attività compiuta) e non comporta il trasferimento in capo all'assemblea dei soci della competenza a decidere in merito all'operazione. Tale adempimento non costituisce una condizione di validità o di efficacia dell'assunzione della partecipazione nella società di persone opponibile ai terzi, bensì assume una valenza organizzativa interna alla società. A sostegno dell'assunto depone il disposto dell'art. 2384 c.c., che attribuisce agli amministratori un potere di rappresentanza generale ed esclude l'opponibilità ai terzi delle limitazioni poste ai loro poteri dallo statuto o dalla decisione degli organi competenti, ancorché pubblicate, con l'unico limite dell'exceptio doli. Tale previsione normativa, modificata dalla riforma societaria del 2003, riflette l'intenzione generale del legislatore di garantire la certezza dei traffici commerciali, assicurando un'efficace tutela ai terzi, sui quali non possono ricadere le conseguenze delle violazioni commesse dagli amministratori, salvo che si dimostri il loro agire intenzionalmente a danno della società. Ciò comporta, quindi, che deve escludersi la sussistenza di un onere in capo ai terzi di accertare se sussistono i presupposti procedimentali interni alla società, quand'anche imposti dalla legge, cui è subordinato il potere degli amministratori di compiere determinate operazioni. Peraltro, il terzo che entra in contatto con la società di persone partecipata dalla società di capitali non avrebbe neppure modo di verificare l'esistenza della predetta delibera assembleare, atteso che di essa la legge non prescrive l'iscrizione nel registro delle imprese.
Per quanto concerne, invece, l'indicazione della partecipazione nella nota integrativa del bilancio della società di capitali, in mancanza di un'espressa previsione contraria, deve escludersi che l'inadempimento di tale obbligo da parte degli amministratori possa rendere invalida o inefficace l'assunzione della partecipazione nella società di persone, dal momento che tale adempimento costituisce un atto successivo all'assunzione stessa. Quanto osservato viene riferito anche all'ipotesi in cui la s.p.a. abbia concretamente partecipato all'esercizio di un'attività di impresa unitamente ad altri soggetti collettivi o individuali, dando vita ad una società di fatto.Anche in tale ipotesi, il soggetto che entra in contatto con la società di persone non ha modo di verificare la sussistenza della previa deliberazione assembleare, egli è in grado solo di cogliere l'esistenza dell'esercizio in comune di un'attività economica tra più soggetti. Inoltre, qualora si opinasse che le violazioni di legge commesse dagli amministratori producono conseguenze invalidanti sull'attività imprenditoriale di fatto esercitata, diverrebbe agevole per la società sottrarsi alle norme sulla responsabilità patrimoniale illimitata, invocando la mancata autorizzazione assembleare, specie in caso di risultati negativi dell'attività di impresa.
Chiarita la portata precettiva dell'art. 2361, comma 2, c.c., la pronuncia in esame affronta la questione della applicabilità delle condizioni previste dalla citata disposizione anche nei confronti delle s.r.l., risolvendola in senso negativo, in difformità rispetto all'indirizzo seguito da numerose sentenze di merito (cfr. Tribunale di Foggia 3 marzo 2015). A sostegno dell'assunto, la Corte chiarisce che l'art. 111-duodecies disp. att., sovente richiamato in tali pronunce, rinvia all'art. 2361, comma 2, c.c. non già al fine di estendere le prescrizioni in esso contenute anche alle s.r.l., bensì per individuare la fattispecie, ossia la partecipazione in imprese che implica la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, cui ricollegare l'obbligo per la società di persone di redigere il bilancio secondo i criteri dettati per le s.p.a. (artt. 2423 ss. c.c.), nonché l'obbligo per le società controllanti di redigere il bilancio consolidato. La decisione di assumere partecipazioni in imprese implicanti l'assunzione di una responsabilità patrimoniale illimitata costituisce, dunque, un atto gestorio rientrante nella competenza dell'organo amministrativo della s.r.l., che non richiede la previa autorizzazione assembleare.
Ad avviso della Corte, non si potrebbe pervenire a diversa conclusione neppure ritenendo che si tratti di un atto comportante una rilevante modificazione dei diritti dei soci ai sensi dell'art. 2479, comma 2, n.5, c.c., come invece affermato da una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito. L'assunzione di tali partecipazioni se determina, infatti, una variazione del rischio cui è esposto il conferimento del socio, divenendo la società di capitali illimitatamente responsabile per le obbligazioni della società di persone, non produce per ciò solo una modifica dei diritti dei soci. Una competenza in capo a questi potrebbe ravvisarsi soltanto nei casi in cui la partecipazione in una società di persone fosse tale da determinare una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale, divergendo rispetto ai fini della società, alla luce di quanto previsto dalla seconda parte dell'art. 2479, comma 2, n. 5, c.c. Peraltro, anche in tale ipotesi, si porrebbe il problema di stabilire se la violazione dei limiti ai poteri ai gestori sia opponibile ai terzi o meno, salva l'exceptio doli ai sensi dell'art. 2475-bis c.c.
Tali premesse consentono, dunque, alla Corte di risolvere anche la terza questione, concernente l'estensibilità del fallimento della società di fatto alla s.r.l., quale socia illimitatamente responsabile. Chiarito, infatti, che l'assunzione della partecipazione in società di persone costituisce, in linea generale, un atto gestorio di competenza degli amministratori, non soggetto alla preventiva decisione dei soci, e che tale assunzione può avvenire anche per fatti concludenti, per effetto del concreto esercizio in comune di attività imprenditoriale con altri soggetti collettivi o individuali, non vi è ostacolo ad affermare la fallibilità della società di fatto, sempre che ne sia stata accertata scrupolosamente l'esistenza e l'insolvenza, nonché l'estensibilità del fallimento di questa ai soci illimitatamente responsabili ai sensi dell'art. 147, comma 1, l. fall. Osservazioni
La pronuncia in esame risulta particolarmente significativa, poiché fornisce importanti soluzioni a questioni oggetto di intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
In primo luogo, la Corte mostra di aderire alla tesi (seguita da una parte della giurisprudenza di merito, cfr.: Trib. Prato 13 novembre 2010; Trib. Brindisi 7 gennaio 2013; Trib. Mantova 30 aprile 2013) dell'ammissibilità della partecipazione di fatto di una società di capitali ad una società di persone (c.d. supersocietà di fatto). A tal proposito, la pronuncia chiarisce che l'acquisto della partecipazione in una società di persone costituisce un atto gestorio riservato agli amministratori, idoneo a obbligare la società nei confronti dei terzi, nonostante il difetto di autorizzazione dei soci. In secondo luogo, si discosta dall'indirizzo favorevole all'applicabilità nei confronti delle s.r.l. delle condizioni dettate dall'art. 2361, comma 2, c.c. e afferma che l'acquisto di partecipazioni in società di persone, anche di fatto, costituisce un atto di gestione rientrante nella competenza dell'organo amministrativo, che non presuppone la previa autorizzazione dei soci ai sensi dell'art. 2479, comma 2, c.c., a meno che l'assunzione della partecipazione non comporti un significativo mutamento dell'oggetto sociale. Infine, quale logica conseguenza delle premesse del ragionamento, la Corte afferma la fallibilità della società di fatto partecipata da società di capitali e riconosciuta insolvente, nonché delle società di capitali stesse, in quanto socie illimitatamente responsabili.
Le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Cassazione evidenziano, peraltro, chiaramente come nel bilanciamento tra gli interessi dei creditori e dei soci della società di capitali e quelli esistenti in capo ai creditori della società di fatto, questi ultimi debbano essere ritenuti prevalenti (salva in ogni caso l'exceptio doli), coerentemente con l'intenzione della riforma societaria ispirata alla tutela dell'affidamento dei terzi a garanzia della sicurezza dei traffici commerciali. |