Azione di responsabilità del curatore: le S.U. chiariscono come va liquidato il danno

La Redazione
21 Maggio 2015

Nell'azione di responsabilità promossa dal curatore nei confronti dell'amministratore di una società fallita, la liquidazione del danno risarcibile dev'essere operata avuto riguardo agli specifici inadempimenti dell'amministratore, che l'attore ha l'onere di allegare, al fine di verificare il nesso causale tra gli inadempimenti e il danno lamentato. È questo il principio affermato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 9100 depositata il 6 maggio.

Nell'azione di responsabilità promossa dal curatore nei confronti dell'amministratore di una società fallita, la liquidazione del danno risarcibile dev'essere operata avuto riguardo agli specifici inadempimenti dell'amministratore, che l'attore ha l'onere di allegare, al fine di verificare il nesso causale tra gli inadempimenti e il danno lamentato. È questo il principio affermato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 9100 depositata il 6 maggio.

Il caso. Il curatore del fallimento di una s.p.a. cita l'amministratore unico chiedendone la condanna al risarcimento dei danni procurati per aver distratto dei beni e per non aver tenuto i libri contabili. Il tribunale accoglie la domanda e liquida il danno sulla base della differenza tra l'attivo e il passivo patrimoniale accertata in sede fallimentare. La Corte d'appello conferma la decisione, ritenendo corretta la liquidazione del danno operata dal tribunale, e l'amministratore propone ricorso per cassazione. La Prima Sezione della Corte, ravvisando un contrasto, rimette il ricorso per l'assegnazione alle Sezioni Unite.

La questione controversa. Le Sezioni Unite sono chiamate, quindi, a dirimere un contrasto giurisprudenziale sui criteri per individuare e liquidare il danno nell'azione sociale di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali. Se nelle pronunce più risalenti la Cassazione aveva ritenuto di utilizzare, ai fini dell'accertamento e liquidazione del danno, il dato costituito dalla differenza tra il passivo e l'attivo fallimentare, più di recente si è registrato un parziale cambio di rotta, dovuto principalmente all'inadeguatezza di tale criterio a dar conto del rapporto di causalità che deve sussistere tra il comportamento illegittimo addebitato agli organi sociali e il danno da risarcire.

Secondo un nuovo orientamento, dunque, il danno non si identificherebbe automaticamente nel differenziale tra attivo e passivo fallimentare, ma potrebbe comunque essere commisurato a tale differenza. Neanche quest'ultimo orientamento, però, appare consolidato perché nel 2011 sono intervenute due pronunce che costituiscono “elemento distonico”, in quanto hanno ritenuto che si verifichi una inversione dell'onere della prova quando la mancanza o l'irregolare tenuta delle scritture contabili rendano impossibile al curatore fornire la dimostrazione del nesso di causalità. A fronte di un quadro aperto, si è reso quindi necessario l'intervento delle Sezioni Unite.

Gli obblighi che incombono sull'amministratore. Il primo elemento da analizzare, secondo la S.C., riguarda la corretta individuazione dei doveri che incombono sugli amministratori. Se alcuni di essi sono puntualmente specificati, dalla legge, dall'atto costitutivo o dallo statuto, esistono però doveri il cui preciso contenuto non è possibile specificare a priori e in via generale, in quanto discendenti dal ruolo di amministratore: questi, infatti, deve compiere con la necessaria diligenza tutto ciò che occorre per la corretta gestione della società.

La violazione dell'obbligo quale fonte del danno: l'onere di allegazione. Se non è possibile identificare con precisione e in modo unitario i doveri degli amministratori, altrettanto è a dirsi per le conseguenze dannose che possano derivare dalla violazione dei suddetti doveri: essendo necessario che il danno sia in rapporto di causalità con la violazione di un obbligo di comportamento, per poter parlare di risarcimento (e liquidazione) del danno, bisogna poter individuare quale sia il comportamento imputabile all'amministratore e quale la violazione integrata da quel comportamento, tra i molteplici doveri gravanti su tale soggetto.

Anche nelle azioni sociali di responsabilità, insomma, vige il principio dell'allegazione: l'inadempimento del convenuto, pur non dovendo essere provato dall'attore, deve essere da costui allegato.

La quantificazione del danno, il deficit patrimoniale e l'assenza di scritture contabili. Se così è, prosegue la S.C., tra tutti gli inadempimenti in cui può incorrere l'amministratore, sono pochi quelli astrattamente idonei a produrre un danno causalmente corrispondente all'intero deficit patrimoniale, alla differenza tra attivo e passivo fallimentare.

Tanto più quando, come nel caso di specie, all'amministratore è imputata la violazione di doveri specifici, quale la tenuta delle scritture contabili: il mancato rinvenimento delle stesse, da parte del curatore, giustifica sicuramente l'allegazione dell'inadempimento di quel dovere in capo all'amministratore convenuto. Ed è altrettanto vero che tale comportamento produce un pregiudizio per il patrimonio sociale, ma ciò non appare sufficiente per giungere alla conclusione generale che quel pregiudizio si identifichi nella differenza tra passivo e attivo accertati in sede fallimentare.

Il principio di diritto. In conclusione, le Sezioni Unite affermano il seguente principio di diritto: “nell'azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell'amministratore della stessa, l'individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev'essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell'amministratore, che l'attore ha l'onere di allegare, onde possa essere verificata l'esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento.

Nelle predette azioni la mancanza di scritture contabili della società, pur se addebitabile all'amministratore convenuto, di per sé sola non giustifica che il danno da risarcire sia individuato e liquidato in misura corrispondente alla differenza tra il passivo e l'attivo accertati in ambito fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato soltanto al fine della liquidazione equitativa del danno, ove ricorrano le condizioni perché si proceda ad una liquidazione siffatta, purché siano indicate le ragioni che non hanno permesso l'accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell'amministratore e purché il ricorso a detto criterio si presenti logicamente plausibile in rapporto alle circostanze del caso concreto”.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.