Revoca della donazione per ingratitudine e recesso del socio
10 Marzo 2016
Massima
E' inammissibile la domanda di revoca della donazione per ingratitudine ex art. 801 c.c. in quanto la condotta del donatario, che abbia agito per provocare lo scioglimento della società, solo indirettamente costituisce un danno per i singoli soci, attesa la distinzione tra questi ultimi e la società; pertanto, non ricorrendo la fattispecie del donatario che dolosamente arrechi grave pregiudizio al patrimonio del donante, la donazione di quota sociale non può essere revocata. Non costituisce un comportamento qualificabile come “ingiuria grave” l'esercizio del normale diritto di critica nei confronti dell'operato dell'amministratore unico della s.r.l. Il caso
Il presente lavoro analizza due procedimenti riuniti e discussi innanzi al Tribunale delle Imprese di Roma. Con un primo atto di citazione, l'attore (donante), che aveva in precedenza donato alla figlia una quota, pari a nominali 3.300,00 euro del capitale sociale della s.r.l. (che svolgeva attività di sala cinematografica) della quale egli era amministratore unico, citava in giudizio la figlia (donataria), la quale rivestiva la qualifica di direttore di sala cinematografica, con ampi poteri di gestione dell'attività commerciale in parola, che costituiva la fonte principale dei guadagni della società.
In materia, va precisato che la convenuta aveva inviato all'attore, donante ed amministratore unico della società, una lettera contenente gravi ed infondate accuse in ordine alla non corretta gestione della società, espressione dell'atteggiamento della convenuta di forte astio nei confronti dell'amministrazione della società; la missiva, inoltre, conteneva la formalizzazione della domanda di recesso dalla carica di socio con conseguente richiesta di liquidazione della quota e modifica dello statuto da parte dell'amministratore unico. L'attore, a sua volta, aveva replicato prontamente alle accuse rivoltegli di aver modificato lo statuto in tema di durata e di recesso, affermando che si trattava di modifiche intervenute all'atto della scissione parziale nel 2008, prima della donazione, e aveva osservato che la reale finalità della convenuta era quella di provocare lo scioglimento della società per ottenere la sala cinematografica, ossia l'unità immobiliare più consistente ed importante, a livello commerciale, del patrimonio sociale, con inevitabile dissoluzione del patrimonio familiare; l'attore osservava, altresì, che un siffatto comportamento costituiva una ingiuria grave nei confronti di esso donate, con danno al patrimonio morale e pregiudizio economico determinato dolosamente dalla donataria, che ben rientrava nel genus della revocazione per ingratitudine ex art. 801 c.c.
Si costituita in giudizio la convenuta, che, impugnando e contestando le allegazioni e deduzioni dell'attore, concludeva per l'accoglimento delle proprie conclusioni. La convenuta, inoltre, aveva già proposto separata domanda nei confronti della s.r.l., di cui l'attore era il legale rappresentante, per l'accertamento del diritto di recesso dalla società e per la liquidazione della quota. Infatti, con atto di citazione, la donataria, richiamate le vicende di cui sopra, aveva appunto richiesto l'accertamento della legittimità del recesso dalla società in oggetto e la liquidazione della quota di partecipazione al capitale sociale, chiedendo l'accoglimento delle rassegnate conclusioni. Si costituiva in giudizio la convenuta società, la quale concludeva per il rigetto della domanda.
A seguito di provvedimento presidenziale, entrambe le cause erano rimesse alla Sezione Specializzata Tribunale delle Imprese, attesa la competenza per materia, anche in ordine alla donazione avente ad oggetto il trasferimento di quote del capitale sociale di una società di capitali. Le cause, così riunite, erano istruite con produzione di documentazione e veniva ammessa CTU per la determinazione del valore della quota di spettanza della socia recedente. La questione
Dalla lettura della pronuncia in commento emergono due questioni fondamentali da affrontare: la configurabilità della indegnità del donatario per ingratitudine ex art. 801 c.c. e la possibilità di esercitare il diritto di recesso. Esaminiamo in primis il profilo relativo alla indegnità del donatario a ricevere la donazione.
L'art. 801 c.c. contiene un elenco dei casi in cui può revocarsi la donazione per indegnità del donatario: 1) quando il donatario ha commesso uno dei fatti previsti ai numeri 1, 2, e 3 dell'art. 463 c.c. (chi ha ucciso, tentato di uccidere o commesso un fatto al quale la legge ritenga applicabili le norme sull'omicidio nei confronti del donante, coniuge, discendente o ascendente dello stesso; chi ha denunziato uno dei soggetti in precedenza indicati per un reato punibile con l'ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore a tre anni, se la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale ovvero ha testimoniato contro tali soggetti e la testimonianza è stata dichiarata falsa in giudizio penale); 2) quando il donatario si è reso colpevole di ingiuria grave verso il donante; 3) quando il donatario ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio del donante o gli ha rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti ai sensi degli artt. 433, 435 e 436 c.c.
Affinché si configuri la fattispecie di “ingiuria grave” è necessario che il comportamento abbia determinate caratteristiche: in primo luogo, tale ingiuria deve consistere in un comportamento con il quale un soggetto arrechi all'onore e al decoro del donante un'offesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona contro la quale essa è rivolta; inoltre, l'ingiuria va valutata in concreto nella reale situazione nella quale essa si manifesti in relazione alle condizioni sociali e ambientali delle parti. Pertanto, non può configurarsi “ingiuria grave” qualora essa sia desunta da singoli accadimenti che, pur risultando di per sé censurabili per il contesto in cui si sono verificati e per una situazione oggettiva di aspri contrasti esistenti tra le parti, non possono essere ricondotti ad espressione di quella profonda e radicata avversione verso il donante che costituisce il fondamento della revocazione della donazione per ingratitudine. (V. Palazzo, Le donazioni, Artt. 769–809, Il Codice Civile. Commentario. Fondato da P. Schlesinger e diretto da F.B. Busnelli, Giuffré, Milano, 2000, pp. 409 e ss.).
Nell'ipotesi affrontata dalla pronuncia in commento, il tribunale non ha ritenuto qualificabile come “ingiuria grave” la condotta dalla figlia-donataria e socia anch'ella della s.r.l. nei confronti del padre-donante e amministratore unico della s.r.l., in quanto la figlia-donataria, esercitando legittimamente il proprio diritto di critica, aveva mostrato le proprie perplessità in relazione ad un gestione, operata dal padre-donante, rigida e obsoleta della società senza, peraltro, utilizzare espressioni offensive. Osservazioni
Esaminando l'altro aspetto che emerge dalla lettura del provvedimento de quo, si evidenzia che alla luce della contestazione da parte della società in relazione all'an, ossia alla legittimità stessa del recesso, correttamente è stato introdotto un giudizio di accertamento nelle forme del giudizio ordinario, in quanto il ricorso all'arbitratore, di cui al secondo capoverso del terzo comma dell'art. 2473 c.c., è ipotizzabile solo in caso in mero disaccordo sul quantum.
Il recesso di un socio da una s.r.l. può avvenire solo nelle ipotesi espressamente previste dall'atto costitutivo o in base a quanto previsto dall'art. 2473 c.c.; nel caso sottoposto all'esame dei giudici del tribunale di Roma, stante l'assenza di disposizioni in materia di recesso nell'atto costitutivo, deve farsi necessariamente riferimento alle disposizioni codicistiche.
A norma di quanto previsto dal secondo comma dell'art. 2473 c.c., il socio può esercitare il diritto di recesso in qualsiasi momento, previo preavviso di centottanta giorni, qualora la società sia contratta a tempo indeterminato ovvero, così come evidenziato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità e dalla dottrina, quando la durata della società ecceda la vita media di un essere umano, tenuto conto dell'età anagrafica dei soci, o anche di uno solo di essi (Cfr., Acquas, Lecis, Il recesso del socio nella s.p.a. e nella s.r.l., Giuffrè, Milano, 2010, pp. 10 e ss.).
Nel caso di specie, la durata della società era fissata al 31 dicembre 2050, data in cui il socio recedente avrebbe avuto ottantacinque anni e pertanto, i giudici del tribunale di Roma hanno ritenuto che il diritto di recesso fosse stato legittimante esercitato dal socio. Infatti, ciò che rileva ai fini del valido esercizio del diritto di recesso è la volontà di recedere del socio e il richiamo, da questi operato, alla specifica fattispecie del recesso connesso alla durata della società (tempo determinato o indeterminato), mentre spetta al Giudice l'esatto inquadramento normativo o statutario della fattispecie concreta del diritto di recesso (V. Daccò, “Diritti particolari” e recesso del socio dalla s.r.l., Giuffrè, Milano, 2013, pp. 21 e ss.).
In tema di diritto di recesso ad nutum, già in passato la Suprema Corte si era espressa in modo favorevole all'esercizio del diritto qualora la durata della società fosse stata particolarmente lunga (si veda Cass. Civ., 22 aprile 2013, n. 9662). Infatti, con tale pronuncia la Corte di Cassazione, nel rispondere positivamente al quesito, utilizza due argomentazioni: una di carattere sistematico, rappresentata dall'art. 2285 c.c., e l'altra di carattere economico, rappresentata dal perdurare dell'investimento dei soci nella società. L'art. 2285, comma 1, c.c. afferma che: “ogni socio può recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci”. Le conclusioni cui giunge la Suprema Corte sono le stesse espresse da autorevole dottrina (Cfr., Notari, Costituzione e conferimento nelle S.p.A., in Il nuovo ordinamento delle società, a cura di S. Rossi, Milano, 2003, p. 3) già all'indomani dell'entrata in vigore della riforma del diritto societario. Da osservare che nel caso di specie la Suprema Corte non applicava analogicamente l'art. 2285 c.c. alle società di capitali, ma il riferimento normativo era utilizzato soltanto come un argomento a sostegno della adottata conclusione. Conclusione
Il normale esercizio del diritto di critica, privo di espressioni esplicitamente offensive, esercitato dal socio-donatario nei confronti dell'amministratore unico della s.r.l.-donante, non può configurarsi come “ingiuria grave” e, come tale, non costituisce presupposto per l'esercizio dell'azione di revocazione della donazione per ingratitudine ex art. 801 c.c.
Se si riflette con attenzione sulla disciplina societaristica e su quella delle donazioni, si deve ricavare come l'attività del socio possa comprendere qualsiasi comportamento che tenda al perseguimento dell'interesse sociale nel rispetto dei diritti inderogabili del socio stesso (i.e. recesso e liquidazione della quota di partecipazione).
La legittimità del recesso del socio, nel caso di previsione statutaria di durata prolungata e assimilabile alla vita del socio stesso, deve essere considerata certa e non può soffrire alcuna eccezione, atteso il diritto del socio di dismettere il proprio investimento, o meglio la propria partecipazione sociale di fronte a condotte gestorie che determinino l'interesse del socio medesimo a recedere e maturare il proprio diritto alla liquidazione della quota sociale. |