La ripartizione dell’onere probatorio nelle liti bancarie
05 Novembre 2015
Il tema della ripartizione dell'onore probatorio nelle liti bancarie, ha da tempo interessato dottrina e giurisprudenza. Punto focale, è stato individuare la portata del carico probatorio incombente sul correntista nell'azione di accertamento negativo del credito e della sua parificazione processuale alla banca. Sul punto nella giurisprudenza di merito si sono formati due orientamenti.
Un primo filone giurisprudenziale in un'ottica di favor per il correntista ed in ossequio al principio di vicinanza della prova, ha affermato che incombe sempre sul creditore - banca l'onere di provare il suo diritto di credito, finanche quale convenuto in un giudizio ordinario di accertamento negativo del credito. Tanto perché, non solo la banca è nel monopolio delle possibili allegazioni assertive e probatorie (tra cui contratti ed estratti conto) ma anche perché, partendo dal dato letterale dell'art. 2697 c.c. “chi vuol far valere un diritto in giudizio” è sempre la banca a far valere un suo diritto. Difatti,si legge in tali pronunce che nell'azione di accertamento negativo del credito,il correntista non fa valere il diritto oggetto dell'accertamento giudiziale bensì la sua inesistenza. Pertanto, è la convenuta banca che concretamente essendo titolare di quel diritto di credito dovrà assolvere al suo onere probatorio (cfr. Trib. Lecce, 30 giugno 2014 n. 3072; Trib. Ancona, 18 novembre 2014 e 28 gennaio 2015; in tal senso anche Cass. n. 1391/1985 e Cass. n. 28516/2008).
In senso contrario, si pongono i Giudici del Merito che in aderenza al principio di allegazione normato dall'art. 2697 c.c. secondo l'onus probandi incumbit ei qui dicit,hanno affermato che la vicinanza della prova non può scardinare le regole generali del processo civile, con la conseguenza che anche il correntista in giudizio deve provare l'intero andamento del rapporto contrattuale sia positivo che negativo. Nell'ambito di tale querellegiurisprudenziale, punto d'arresto è stato l'autorevole intervento della Suprema Corte,la quale con la sentenza n. 9201 del 7 maggio 2015, in adesione all'orientamento in ultimo tracciato, ha liberato l'onere probatorio gravante sulla banca dalle strette maglie della prossimità (vicinanza) alla prova documentale ed ha affermato con forza l'efficacia della regola generale di cui all'art. 2697 c.c. Qualunque sia l'azione proposta e persino quella di accertamento negativo del credito avanzata dal correntista, chi agisce in giudizio deve provare i fatti cd. costitutivi posti a fondamento della propria pretesa. Difatti, sostengono gli Ermellini chela regola generale di cui all'art. 2697 c.c. non subisce deroga neanche quando abbia la domanda ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere quel diritto costituto da un fatto negativo (id est saldo negativo del rapporto di conto corrente intrattenuto con la banca). Tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazioni di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo. Al riguardo si sottolinea che siffatta interpretazione non è in contrasto con la ormai consolidata Giurisprudenza della Corte nel ritenere che qualora l'attore - correntista proponga domanda di accertamento negativo del diritto del convenuto - banca e quest'ultimo non si limiti a richiedere il rigetto della pretesa avversaria ma proponga domanda riconvenzionale per conseguire il credito negato dalla controparte, ambedue le parti hanno l'onere di provare le rispettive contrapposte pretese (Cass. 3374/07; Cass. 12963/05; Cass. 7282/97). Premessa la pronuncia della Suprema Corte, è circostanza pacifica che sia il correntista che la banca in lite giudiziaria, finanche nella prova di un fatto negativo (saldo negativo del conto corrente) hanno l'onere di allegare e provare gli elementi costitutivi dell'azione promossa. Queste le ricadute pratiche nel dinamismo processuale.
L'onere della prova del correntista Incombe integralmente sul correntista/attore - nel caso dell'azione di accertamento negativo del credito,come unico oggetto della domanda o come presupposto della contestuale richiesta di ripetizione dell'indebito, ed in via gradata, di ingiustificato arricchimento - la prova non solo dell'avvenuto pagamento, ma anche della illegittimità delle clausole operate dall'istituto di credito ove lamentate, provando l'inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte che si assume non dovuta (cfr. Cass. 7 maggio 2015 n. 9201; Cass. 14 maggio 2012 n. 7501). In altri termini, il cliente della banca che con l'iniziativa giudiziaria voglia ottenere la restituzione di interessi anatocistici assertivamente addebitati, accertare il superamento del tasso soglia ex l. 108/96 od ancora l'illegittimità della commissione di massimo scoperto ha l'onere di allegare e provare - in modo specifico - le contestazioni sollevate (ex multis, Tribunale di Roma, 29 luglio 2015). Più propriamente, deve allegare e provare i fatti costitutivi della propria pretesa creditoria. Ad oggi è pacifico che l'inesistenza del credito della banca non si qualifica come fatto impeditivo della pretesa del convenuto, il cui onere probatorio incomberebbe sull'attore ai sensi del secondo comma dell'art. 2697 c.c. ma come fatto costitutivo della pretesa avanzata soggiacendo al primo comma dell'articolo testé richiamato (Trib. Brindisi 14 gennaio 2014). Il correntista ha pertanto, l'obbligo di produrre il contratto di conto corrente e gli estratti conto relativi a tutto il periodo contrattuale e nella loro interezza. Non assolve quindi all'onere della prova l'attore che produce i soli estratti scalari, giacché non permettono la rielaborazione analitica delle singole poste di dare ed avere ma solo un resoconto degli interessi attivi e passivi e delle altre competenze maturate nel periodo di riferimento su base di prassi trimestrale. Chiaro è che per assolvere a tale onere, il correntista prima di instaurare un giudizio può qualora non ne sia già in possesso, avvalersi di tutti gli strumenti accordati a tal fine dall'ordinamento. Difatti come noto, ai sensi dell'art. 119 TUB, può ottenere a proprie spese dalla banca copia della documentazione relativa agli ultimi dieci anni ed in ipotesi di rifiuto o di inerzia dell'istituto di credito, può proporre un'autonoma azione, se del caso anche in via cautelare, finalizzata ad ottenere siffatta consegna. Proporre una domanda giudiziale sfornita di prova alcuna, per non aver il correntista acquisito la documentazione necessaria né prima del giudizio né nei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. configura una grave condotta processuale, sanzionabile a mente dell'art. 96, ult. comma, c.p.c. Difatti, trattandosi di controversie meramente documentali, nessuna richiesta di consulenza tecnica potrà essere disposta ad explorandum al fine di sopperire le deficienze assertive e probatorie a cui è incorso il correntista. Si segnala inoltre che, in merito all'onere della prova di chi eccepisce il superamento dei tassi usurari, costituisce principio consolidato non solo indicare in modo specifico in che termini sarebbe avvenuto lo scollamento dal limite previsto,ma anche e comunque produrre i decreti ministeriali previsti dalla legge 108/1996. Sul punto infatti, la Suprema Corte, 29 aprile 2009, n. 9941 ha affermato che la natura di atti meramente amministrativi dei decreti ministeriali rende ad essi inapplicabile il principio iura novit curia di cui all'art. 113 c.p.c. per non essere, questi, ricompresi tra le fonti del diritto di cui all'art. 1 delle Preleggi e pertanto vanno sempre prodotti in giudizio (Cass. S.U, 29 aprile 2009, n. 9941).
L'onere della prova della banca È di tutta evidenza che in aderenza alla giurisprudenza ormai granitica, nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo od anche nei giudizi di accertamento negativo del credito laddove resiste con domanda riconvenzionale, la banca ha l'onere di provare il proprio credito. Il saldo finale reclamato deve trovare giustificazione d'essere nella produzione di tutti gli estratti conto mensili e degli scalari trimestrali dalla nascita del rapporto stesso e fino alla sua chiusura. Sul punto va premesso che la giurisprudenza, ha ormai chiarito la distinzione fra estratto conto certificato ed estratto conto – vero e proprio – definendo il primo come una dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un'attestazione di verità e liquidità del credito che riveste efficacia probatoria, ai sensi dell'art. 50 del d.lgs. n. 385/1993, nel solo procedimento per decreto ingiuntivo instaurato dall'istituto di credito, ed il secondo come documento funzionale a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall'ultimo saldo, con le condizioni attive e passive praticate dalla banca che trascorso il debito periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente (ex multis Cass., 3 maggio 2011 n. 9695). Gli estratti conto non contestati a mente dell'art. 1832 c.c. si intendono “approvati” solo per le annotazioni contabili degli accrediti e degli addebiti, senza precludere al correntista il diritto di contestare la validità ed efficacia del rapporto obbligatorio dal quale le partite annotate derivano. In tale ottica merita un cenno l'ormai abrogato art. 102 del r.d.l. 375/1936. il quale attribuiva efficacia probatoria in sede monitoria al cd. estratto di saldaconto, documento contabile della banca che a differenza dell'estratto conto previsto dall'odierna disciplina, riportava il solo dato finale del rapporto alla data della chiusura e non anche le analitiche operazioni verificatesi nel corso dello stesso. L'istituto di credito, altresì, non può invocare l'obbligo decennale di tenuta delle scritture contabili per giustificare la mancata allegazione in giudizio di tutti gli estratti conto, in quanto, così facendo, essa finirebbe per aggirare il proprio onere probatorio. Tanto perché non si può confondere l'onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito. L'obbligo di conservazione delle scritture contabili di cui all'art. 2220 c.c. costituisce uno strumento di tutela per i terzi estranei all'attività imprenditoriale, che risulta volto a garantire l'accesso, la conoscibilità e la trasparenza delle attività di impresa (Trib. Monza 18 aprile 2015, n. 574). Il mancato assolvimento dell'onere della prova nel contenzioso bancario, ha posto l'esigenza di chiarire le modalità e i criteri per ricostruire l'intero rapporto di dare e avere in caso di allegazioni probatorie carenti. Più propriamente, si è dibattuto nell'ipotesi di mancata produzione degli estratti conto sin dalla nascita del rapporto, sul se il consulente del giudice debba ricalcolare il saldo di conto corrente epurandolo dalle somme non dovute considerando come saldo a debito il primo rinveniente dagli estratti conto disponibili ovvero il cosiddetto saldozero.
La più recente Cassazione n. 9201/2015 in materia,ha affermato il principio in virtù del quale, laddove sia il correntista ad agire in ripetizione e non venga prodotto l'estratto iniziale del rapporto, dovrà provvedersi al ricalcolo degli interessi dal primo estratto conto a debito esibito in giudizio senza che il correntista possa avvantaggiarsi del cosiddetto saldo zero. Tanto perché sostiene la Suprema Corte l'estratto iniziale viene inviato ex lege al correntista, il quale ne ha la disponibilità ed altresì l'onere di conservazione.
Nel diverso caso in cui,invece sia la banca ad agire per il pagamento, la giurisprudenza ormai consolidata ritiene che la ricostruzione dell'andamento del rapporto deve essere effettuata partendo dal saldo del primo estratto conto disponibile e se a debito per il cliente occorrerà ripartire dal saldo zero. Il cd. saldo zero è dunque inteso come una sanzione civile indiretta da applicarsi alla banca qualora non assolva all'onere probatorio su di ella incombente (ex multis Cass. n. 19696/14; Cass. n. 3632/14). Conclusioni
Il punto d'approdo a cui è giunta la giurisprudenza in tema di onere della prova ha permesso di mettere sulla stessa riga, almeno da una prospettiva teorica, soggetti che sostanzialmente non lo sono e tanto non può destare perplessità. Nessuna incidenza sull'onere probatorio ha la differente forza contrattuale della banca rispetto al correntista, la quale cui esigenza sostanziale di protezione non può riversarsi sul piano processuale ove è possibile parlare di tentata parificazione. La questione è giuridica e discende dalle consequenziali ricadute pratiche del generale principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c. applicabile anche ai fatti negativi costitutivi dei diritti fatti valere dal correntista nell'azione di accertamento negativo del credito.
L'ordinamento riconosce strumenti di parificazione, offrendo la potenziale disponibilità della documentazione necessaria per far valere le proprie ragione e fondare le proprie azioni giudiziarie. Il correntista può sempre avere la disponibilità di tutti gli estratti del conto corrente, facendone richiesta ai sensi del Testo unico bancario. Pertanto mai potrà dirsi difficile la prova se non in caso di dispersione della documentazione da produrre in giudizio per una sua condotta negligente. È a dirsi dunque che la vicinanza della prova di matrice giurisprudenziale necessita di una difficoltà oggettiva nel fornire la prova del fatto costitutivo della propria pretesa che nel rapporto banca - cliente non sussiste.
Analizzando ora, ciò che nella prassi accade alla banca, parrebbe, non essere mai dispensata dal produrre in giudizio tutti gli estratti conto dalla nascita del rapporto e sino alla sua chiusura. Appare difatti, inimmaginabile ma non a dirsi impossibile che l'istituto di credito non spieghi domanda riconvenzionale per le risultanze a credito del rapporto di conto corrente intrattenuto con il correntista. Nella ipotesi di vocatio in ius nel giudizio di accertamento negativo del credito, la banca che voglia ottenere la soddisfazione del proprio diritto di credito deve fornire la prova delle proprie pretese e ciò si traduce nella produzione della intera storia documentale del rapporto di conto corrente. Diversamente subirà il dannoso saldo zero. |