Cancellazione per via cautelare della nomina di amministratore effettuata con smart card

06 Settembre 2017

Deve essere autorizzato, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., a procedere alla cancellazione del proprio nominativo iscritto al Registro Imprese quale amministratore unico di società di capitale, colui il quale dimostri, con ragionevole fondatezza, che la nomina avvenne a sua insaputa e con l'utilizzo di dispositivo di firma digitale sottrattogli da un terzo.
Massima

Deve essere autorizzato, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., a procedere alla cancellazione del proprio nominativo iscritto al Registro Imprese quale amministratore unico di società di capitale, colui il quale dimostri, con ragionevole fondatezza, che la nomina avvenne a sua insaputa e con l'utilizzo di dispositivo di firma digitale sottrattogli da un terzo.

Il caso

Il caso scrutinato dal Tribunale di Milano si pone come una delle prime pronunce in tema di utilizzo “abusivo” di un dispositivo di firma digitale (nell'ordinanza in commento identificato con la smart card) ed è un'utile occasione per valutare l'applicazione pratica del principio posto dall'art. 21, comma 2, CAD, ovverosia della possibilità di fornire la prova contraria idonea a vincere la presunzione di utilizzo del dispositivo di firma digitale da parte del titolare. Nel caso di specie il ricorrente adiva il Tribunale di Milano in sede cautelare asserendo che la sua nomina quale amministratore di una società di capitali era stata effettuata utilizzando una smart card sottrattagli e trasmessa da un terzo al professionista che aveva successivamente curato la trasmissione della pratica al Registro delle Imprese.

La questione

La questione in esame verte su quali siano gli elementi di prova da fornire in sede cautelare per ottenere la cancellazione dal Registro delle Imprese del nominativo di un soggetto designato quale amministratore di una società di capitali, laddove costui assuma di aver subito detta iscrizione a propria insaputa.

Le soluzioni giuridiche

La questione giuridica affrontata dal Tribunale di Roma è nuova nella sua prospettazione proprio perché, a quanto consta, per la prima volta viene affrontato nell'ambito di un procedimento cautelare il tema dell'utilizzo abusivo di un dispositivo di firma digitale. La pronuncia si pone dunque come interessante occasione per approfondire gli oneri probatori imposti dall'art. 21, comma 2, CAD per poter giungere ad appurare che il dispositivo di firma digitale non venne utilizzato personalmente dal titolare dello stesso.

Osservazioni

Il tema, particolarmente interessante dal punto di vista scientifico, richiede una breve ricostruzione di natura fattuale volta ad un corretto inquadramento della fattispecie oggetto di controversia.

È bene precisare che nel caso di specie ci si trova di fronte ad una realtà societaria particolare, ben restituita dalla semplice consultazione di una visura estratta dal Registro delle Camere di Commercio.

La P. s.r.l. è infatti una società a responsabilità limitata le cui quote sono detenute interamente dal socio E. B.; costui, sino al marzo del 2015, ne era anche l'amministratore. Dopodiché, possiamo presumere con decisione assunta ai sensi dell'art. 2479 c.c., è stata effettuata la nomina del nuovo amministratore, individuato nel ricorrente sig. D. A. Ba..

Altro particolare da non trascurare, anch'esso restituito dalla consultazione pubblica dei registri di cancelleria, è che il ricorso cautelare dal quale è scaturita l'ordinanza in commento è stato depositato solo il 29 novembre 2016, ovvero a distanza di un anno e mezzo dalla nomina del sig. Ba. quale amministratore unico della P. s.r.l..

Lo scenario così dipinto consente di fare differenti ordini di considerazioni riguardanti i soggetti a vario titolo coinvolti nella vicenda giudiziaria, che val la pena analizzare in maniera schematica.

L'amministratore ricorrente. Secondo il Tribunale di Milano l'amministratore ricorrente ha fornito prova idonea sotto il profilo del fumus boni iuris avendo documentato i fatti oggetto di ricorso mediante denuncia querela presentata presso la Procura della Repubblica e presso la Guardia di Finanza.

In linea di principio si può concordare con la decisione del Tribunale anche perché assunta in sede cautelare e dunque all'esito di una valutazione sommaria dei fatti.

Una valutazione più approfondita in sede critica porta però a scorgere marcati caratteri di antigiuridicità nel comportamento dello stesso amministratore ricorrente. Ricordiamo infatti che secondo l'art. 32, comma 1, CAD «il titolare del certificato di firma è tenuto ad assicurare la custodia del dispositivo di firma o degli strumenti di autenticazione informatica per l'utilizzo del dispositivo di firma da remoto, e ad adottare tutte le misure organizzative e tecniche idonee ad evitare danno ad altri; è altresì tenuto ad utilizzare personalmente il dispositivo di firma».

È evidente la violazione della norma appena citata sotto molteplici punti di vista:

  • il meno rilevante è ovviamente il mancato utilizzo personale del dispositivo (avvenuto a seguito di sottrazione fraudolenta, almeno stando alla ricostruzione fornita dal sig. Ba. e accolta dal Tribunale);
  • il più rilevante è certamente la mancata adozione delle misure organizzative e tecniche idonee ad evitare danno ad altri. Con ragionevole margine di certezza possiamo infatti presumere che il ricorrente conservasse nello stesso luogo smart card e pin (o almeno avesse comunicato il pin della propria smart card al socio unico di P. s.r.l.); diversamente la sottrazione del dispositivo tecnologico avrebbe avuto effetti limitati, potendo essere utilizzato solo nel caso (molto improbabile) in cui tramite un tentativo casuale (sui tre concessi) avesse restituito il corretto codice di identificazione.

Sul punto val la pena di osservare che dalla violazione di tale precetto normativo, peraltro, potrebbero conseguire responsabilità per lo stesso ricorrente; ricordiamo infatti che l'art. 2383 c.c. (applicabile anche alle s.r.l.) dichiara inopponibili ai terzi dopo l'adempimento della pubblicità di cui al comma 4, le cause di nullità o di annullabilità della nomina degli amministratori. Nel caso di specie, peraltro, non è detto si versi in ipotesi di nullità o annullabilità della nomina, potendosi in astratto ipotizzare anche un caso di inesistenza della stessa (in giurisprudenza si registra un caso di pronuncia dell'inesistenza della nomina di amministratore: Trib. Milano, 25 giugno 2002, in Società, 2003, 47); ove si concretizzasse tale fattispecie, però, non sarebbe errato ipotizzare la responsabilità, in concorso con la società, dell'amministratore ricorrente proprio in virtù della violazione dell'art. 32 CAD.

Il professionista autore dell'iscrizione al Registro delle Imprese. Il soggetto in questione non figura tra i convenuti nel procedimento ma la sua figura è evocata attraverso la produzione di una sua dichiarazione con la quale riconosceva di aver ricevuto la smart card del ricorrente dal socio unico di P. s.r.l., sig. B..

Anche in tal caso non ci si trova certamente di fronte ad un comportamento irreprensibile da parte di questo soggetto, che a sua volta potrebbe essere oggetto di richieste risarcitorie da parte dell'amministratore ricorrente, avendo tenuto un comportamento che potrebbe aver aiutato la commissione di un illecito.

Lo scenario concretamente ipotizzabile è infatti quello secondo cui il professionista abbia ricevuto dal B. (socio unico di P. s.r.l.) la decisione di nomina del nuovo amministratore ex artt. 2475 e 2479 c.c., unitamente alla smart card del Ba..

Poiché peraltro quest'ultimo non aveva certamente partecipato all'assunzione della decisione di nomina, un criterio di prudenza avrebbe imposto al professionista di rifiutare la consegna della smart card altrui o quantomeno di assumere opportune informazioni presso il titolare del dispositivo e di invitarlo presso il proprio studio per avviare la procedura di pubblicazione della nomina sul Registro delle Imprese.

L'aver violato tali criteri di condotta può certamente configurare un comportamento foriero di responsabilità ex art. 32 CAD letto in combinato disposto con gli artt. 2043 e 2050 c.c..

Il convenuto. Le responsabilità del convenuto sono invece evidenti e chiaramente si potrebbero non fermare al campo civilistico in forza della denuncia querela sporta dall'amministratore ricorrente.

In conclusione si può osservare come la pronuncia del tribunale di Milano possa essere ritenuta corretta in punto di diritto, potendo certamente la denuncia querela integrare la prova contraria richiesta dall'art. 21 comma, CAD soprattutto in sede cautelare.

Un'indagine più approfondita della vicenda lascia però trasparire carenze organizzative e leggerezze nell'utilizzo dei dispositivi di firma digitale che sono purtroppo molto diffuse e che in realtà possono essere foriere di responsabilità per gli stessi soggetti danneggiati.

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