La Consulta sul divieto di bis in idem: inammissibilità delle questioni

05 Luglio 2016

Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 187-bis, comma 1, D. Lgs. n. 58/1998 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) e dell'art. 649 c.p.p., sollevate, dalla quinta sezione penale della Corte di Cassazione, per violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98.
Massime

Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 187-bis, comma 1, D. Lgs. n. 58/1998 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) e dell'art. 649 c.p.p., sollevate, dalla quinta sezione penale della Corte di Cassazione, per violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98.

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 187-ter, comma 1, D. Lgs. n. 58/98, sollevata, dalla sezione tributaria della Corte di Cassazione, per violazione dell'art 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all'art. 4 del protocollo n. 7 CEDU.

I casi

Con la sentenza in commento, la Corte Costituzionale si pronuncia sui due diversi giudizi di legittimità promossi al proprio interno.

La prima questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dalla quinta sezione penale della Corte di cassazione con ordinanza del 15 gennaio 2015, nell'ambito di un giudizio nel quale il ricorrente aveva dedotto, avverso la sentenza della Corte d'Appello di Milano (di condanna per il reato di cui all'art. 184 TUF), la violazione del divieto di bis in idem, integratosi, in tesi, in quanto nelle more la Corte d'Appello di Roma aveva rigettato l'opposizione la delibera con la quale CONSOB aveva applicato al ricorrente stesso la sanzione amministrativa ed interdittiva per violazione dell'art. 187-bis, comma 1, TUF, in riferimento ai medesimi fatti oggetto di contestazione in sede penale.

Il secondo giudizio di legittimità costituzionale, deciso con il provvedimento in commento, si instaurava a seguito dell'ordinanza in data 21 gennaio 2015 di remissione della sezione tributaria della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Roma di rigetto dell'opposizione avverso l'irrogazione, da parte di CONSOB, di sanzioni amministrative ai sensi dell'art. 187-ter TUF. Nell'ambito di tale gravame si deduceva anche l'avvenuta formazione del giudicato penale sui medesimi fatti storici oggetto del giudizio amministrativo (si trattava, nella specie, di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, divenuta nel frattempo definitiva): da qui la sollevata questione sulla violazione del principio del ne bis in idem.

Le questioni

La Corte Costituzionale, con la pronuncia in commento, affronta per la prima volta la delicata tematica concernente il rapporto tra il c.d. doppio binario in materia di sanzioni ed il divieto di bis in idem, come impostato nella sentenza EDU Grande Stevens c. Italia, divenuta irrevocabile in data 7 luglio 2014.

Riunendo entrambe le ordinanze di remissione, la Corte affronta tale giudizio di compatibilità in un'ottica complessiva poiché – fermo per tutte le questioni il parametro di raffronto costituzionale posto dall'art. 117 Cost. (letto alla luce dell'art. 4 del protocollo n. 7 CEDU) – il vaglio sul meccanismo del doppio binario viene presentato in tutte le sue varie declinazioni, postulando la declaratoria di incostituzionalità dell'art. 187-bis comma 1 D. Lgs. n. 58/1998 (di seguito TUF), in subordine dell'art. 649 c.p.p., infine dell'art. 187-ter TUF.

In particolare, con ordinanza del 15 gennaio 2015, la sezione quinta della Corte di Cassazione sollevava in via principale il dubbio di costituzionalità dell'art. 187-bis comma 1 TUF), nella parte in cui si prevede “Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato” anziché “Salvo che il fatto costituisca reato”. In via subordinata, si deduceva il vizio di incostituzionalità dell'art. 649 c.p.p. nella parte in cui non prevede “l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui l'imputato sia stato giudicato, con provvedimento irrevocabile, per il medesimo fatto nell'ambito di un procedimento amministrativo per l'applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle Liberà fondamentali e dei relativi Protocolli”.

L'ordinanza di remissione della sezione tributaria della Corte di Cassazione, dal canto suo, evidenziava il contrasto costituzionale dell'art. 187-ter, comma 1, TUF, nella parte in cui prevede la comminatoria congiunta della sanzione penale prevista dall'art. 185 TUF e della sanzione amministrativa prevista dall'art. 187-ter TUF medesimo.

Osservazioni

Occorre evidenziare come il Giudice delle leggi si sia limitato a dichiarare l'inammissibilità di tutte le questioni sollevate, senza rivelare – neppure in un obiter dictum – il proprio orientamento riguardo ai nodi giuridici rimessi. Ciononostante nelle motivazioni della Corte Costituzionale è possibile cogliere alcuni spunti di interesse in merito alle questioni giuridiche sollevate.

In merito al tema della compatibilità dell'art. 187-bis comma 1 TUF con l'art. 4, Protocollo 7 CEDU (divieto di celebrazione di un secondo giudizio per il medesimo fatto, alla luce della sentenza Grande Stevens), l'ordinanza devolutiva riteneva violato il divieto di bis in idem nel caso anche di mera pendenza di un processo penale laddove, per il medesimo fatto storico, fosse già divenuta irrevocabile la sanzione amministrativa inflitta da CONSOB. Ciò sul presupposto, ampiamente discusso dalla Corte Europea nella sentenza Grande Stevens, in base al quale le sanzioni irrogabili dall'autorità di vigilanza sui mercati, pur se qualificate formalmente come “amministrative”, alla luce dei c.d. criteri di Engels devono essere in realtà considerate quali misure penali: tale qualificazione, di conseguenza, comporta il divieto delle doppia imposizione di pena a sanzione del medesimo fatto storico.

Da tale premessa, la Corte di Cassazione chiedeva al Giudice delle leggi una pronuncia manipolativa, che modificasse l'art. 187-bis TUF sostituendo la clausola di riserva posta dal “Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato” con “Salvo che il fatto costituisca reato”.

L'esito di tale intervento, come si vede, sarebbe stato di segno contrario rispetto al sistema previsto dal legislatore, abolendo il sistema del c.d. doppio binario: l'applicabilità delle sanzioni amministrative sarebbe stata confinata alle ipotesi in cui il fatto non integrasse anche il delitto previsto dall'art. 184 TUF.

Nel dichiarare – a ragione – l'inammissibilità della questione per carenza di rilevanza nel giudizio a quo (l'art. 187-bis TUF, di cui si sollevava il contrasto con la Costituzione, era già stato applicato in via definitiva e, nel caso di specie, era pendente come si è detto il solo giudizio per la violazione dell'art. 184 TUF) la Corte Costituzionale ha precisato che anche laddove la precedente sanzione amministrativa fosse stata revocata ai sensi dell'art. 30 comma 4 L. n. 87/1953, cionondimeno la stessa prosecuzione del procedimento penale a carico dell'imputato avrebbe comportato la violazione della disposizione convenzionale che, come si è detto, proibisce la celebrazione di un secondo giudizio per il medesimo fatto.

Le motivazioni del rigetto della questione di costituzionalità sollevata in via subordinata dal giudice a quo – cioè il contrasto dell'art. 649 c.p.p. con il principio convenzionale laddove non prevede l'applicabilità del divieto di un secondo giudizio allorchè sia già intervenuta condanna irrevocabile in sede amministrativa con l'applicazione di sanzioni di natura penale – permettono di comprendere che, al di là del tema dell'inammissibilità del quesito, la Corte Costituzionale non vedrebbe di favore l'invocata manipolazione della norma processuale: l'intervento infatti avrebbe riverberi negativi in relazione ai principi costituzionali (e convenzionali) di determinatezza e legalità delle sanzioni penali, di effettività, proporzionalità e dissuasività delle sanzioni, e, ancor di più, di parità di trattamento.

Il mero intervento additivo, infatti, senza che venga stabilito alcun ordine di priorità tra la sanzione penale e quella amministrativa, introdurrebbe una imprevedibile alea basata sulla mera maggiore speditezza di una giurisdizione piuttosto che dell'altra. Ciò a tacer del fatto che, anche in questo caso, la pronuncia additiva non risolverebbe il nodo, che è basato – lo si ripete – sulla mera sottoposizione ad un secondo giudizio per il medesimo fatto, a prescindere dalla sanzione.

La declaratoria di inammissibilità è stata estesa dalla Corte anche alla questione sollevata dalla sezione tributaria della Cassazione in riferimento all'art. 187-ter TUF, a causa della (insuperabile) carenza dell'ordinanza di rimessione in punto di motivazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione sollevata in riferimento alla compatibilità tra il dictum della sentenza Grande Stevens e gli obblighi imposti dalla UE in materia di repressione degli abusi di mercato.

Conclusioni

I temi sollevati nelle ordinanze di remissione sono rimasti senza risposta da parte della Corte Costituzionale, che verosimilmente confida anche nel prossimo intervento in materia da parte del legislatore (si ricorda, in questo senso, che è prossimo l'esercizio della delega previsto dalla L. n. 114/2015 per la riforma della disciplina in materia di abusi di mercato).

Resta peraltro fermo un dato inequivocabile: per rispettare il divieto di bis in idem, come posto dalla sentenza Grande Stevens, non occorre – già oggi – alcun intervento né del legislatore né del Giudice delle leggi. È compito, invece, dei giudici comuni, i quali hanno a disposizione gli strumenti normativi per prevenire la lesione dei diritti fondamentali di chi (oggi in materia di abusi di mercato, un domani, eventualmente, all'esito della decisione della CEDU, anche in materia fiscale) si trovi ad essere sottoposto ad un secondo giudizio pur essendo già stato condannato in via definitiva, con applicazione di sanzioni di natura penale, per il medesimo fatto avanti ad altra giurisdizione. Da un lato, attraverso l'applicazione diretta dell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE - norma che incorpora l'art. 4 prot. 7 CEDU come interpretato anche dalla sentenza Grande Stevens: si dovrà pertanto emettere sentenza di non doversi procedere per bis in idem laddove il Giudice rilevi l'irrevocabilità di un precedente provvedimento, per il medesimo fatto storico, di condanna a sanzioni di natura penale (volendo, sul punto, N. Bertolini Clerici, Alla Corte Costituzionale il nodo sul “ne bis in idem” affermato dalla CEDU sugli abusi di mercato, in questo portale).

Dall'altro, attraverso la diretta applicazione dell'art. 4 prot. 7 CEDU, convenzione resa norma primaria dell'ordinamento italiano in ragione della ratifica operata con la l. n. 98/1990 (più diffusamente, F. Viganò, Ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio in materia di abusi di mercato: dalla sentenza della Consulta un assist ai giudici comuni, in penalecontemporaneo.it).

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