Società di fatto, art. 2361 c.c. e questioni intertemporali

Giancarlo Buccarella
14 Luglio 2015

In tema di società di fatto tra società di capitali e società di persone, l'art. 2361 c.c., come modificato dalla riforma del diritto societario (d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), non trova applicazione per fatti verificatisi anteriormente all'entrata in vigore della riforma (1 gennaio 2004).
Massima

In tema di società di fatto tra società di capitali e società di persone, l'art. 2361 c.c., come modificato dalla riforma del diritto societario (d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), non trova applicazione per fatti verificatisi anteriormente all'entrata in vigore della riforma (1 gennaio 2004), dovendosi confermare l'orientamento consolidato secondo il quale è inammissibile la partecipazione di una società di capitali in una società personale, quale che sia il tipo, ed anche in relazione alla partecipazione occulta.

Il caso

Una società in nome collettivo ottiene alcuni finanziamenti (tra il 1995 e il 1999, cioè prima della riforma del diritto societario) da un istituto di credito, il quale agisce in monitorio per la restituzione di quanto ancora dovuto. È proposta opposizione al decreto ingiuntivo, ed uno dei motivi di opposizione è che l'istituto di credito avrebbe assunto la qualità di socio di fatto (occulto) della società finanziata; avrebbe finanziato irregolarmente la società finendo per partecipare, a mezzo dell'acquisizione degli interessi sui finanziamenti, alla distribuzione di utili, in realtà mai conseguiti. Secondo i ricorrenti, il rapporto societario sarebbe provato dallo stretto legame di collaborazione tra l'istituto di credito e i soci di maggioranza e dal fatto che i due consulenti della società fossero, uno il presidente del consiglio di amministrazione, l'altro il presidente del collegio sindacale dell'istituto di credito. Il tribunale rigetta l'opposizione; la Corte d'appello conferma la sentenza; la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

La questione

Nella sentenza annotata è esclusa l'ammissibilità di una società di fatto tra società di capitali e società di persone, presupposto su cui si fondava l'opposizione alla richiesta di restituzione di un finanziamento bancario ritenuto in tesi apporto di capitale.

I passaggi logico-giuridici della sentenza si possono così riassumere:

  • i finanziamenti risalivano ad un periodo anteriore all'entrata in vigore della riforma del diritto societario (1 gennaio 2004), che ha modificato l'art. 2361 c.c;
  • pertanto, i fatti sono stati valutati alla stregua del principio di diritto espresso nella pronuncia delle Sezioni Unite del 17 ottobre 1988, n. 5636, secondo la quale la partecipazione di una società per azioni in qualità di accomandante ad una società in accomandita semplice è nulla per violazione di norme inderogabili concernenti l'amministrazione ed i bilanci della società per azioni;
  • più in generale, le Sezioni Unite hanno stabilito il principio per il quale è nulla la partecipazione di una società di capitali ad una società di persone, indipendentemente dal tipo societario riguardato e dalla posizione assunta dalla società di capitali partecipante (conformi, Cass., 10 novembre 1992, n. 12087; Cass., 16 febbraio 1993, n. 1906; Cass., 2 gennaio 1995, n. 7);
  • considerata nulla la partecipazione di una società di capitali ad una società di persone, non è neppure ravvisabile una società di fatto fra una società di capitali e una società di persone od altra società; cosicché, secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass., 2 gennaio 1995, n. 7), restava preclusa la possibilità di coinvolgere ex art. 147, comma 2 l.fall. (nel testo previgente) la società di capitali nel fallimento apparentemente individuale ovvero di altra entità societaria, alla quale fosse effettivamente legata da un rapporto societario non formalizzato.
Osservazioni

I fatti sono risalenti ad un tempo precedente l'entrata in vigore della riforma societaria e, quindi, la Suprema corte afferma laconicamente che non trova applicazione l'art. 2361 c.c. come modificato bensì il principio di cui alle Sezioni Unite n. 5636 del 1988 e, aggiunge, non si rilevano argomenti “idonei a condurre ad una [sua] rimeditazione”.

In altre decisioni, in punto di disciplina transitoria, i giudici di legittimità hanno assunto posizioni ben più motivate ed articolate (Cass., Sez. Un., 17 settembre 2010, n. 19698, per l'ambito di applicazione temporale dell'art. 2504-bis c.c. in tema di effetti della fusione avvenuta in tempo anteriore alla riforma societaria e Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2010, n. 4060 per l'ambito di applicazione temporale dell'art. 2495, comma 2 c.c. in tema di effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese, iscritta anteriormente all'entrata in vigore della riforma).

Invero, la problematica della lex temporis nell'economia della questione decisa e la ritenuta non applicazione del nuovo testo dell'art. 2361 c.c. al caso di specie, non sono aspetti decisivi, anzi, ad una più approfondita analisi, paiono fuorvianti.

In primo luogo, nella nuova disciplina societaria non è rinvenibile una precisa norma di legge, come negli esempi poc'anzi fatti (art. 2504-bis c.c. per la fusione, art. 2495, comma 2 c.c. per la cancellazione), da cui si possa predicare l'ammissibilità della società di fatto tra società di capitali e società di persone.

In secondo luogo, proprio argomentando dall'art. 2361, comma 2 c.c. si esclude la società di fatto tra società di capitali e società di persone, sull'assunto che l'unica forma possibile di partecipazione sia quella formalizzata con l'assunzione di partecipazioni sociali previa delibera dell'assemblea. Con notevoli ricadute pratiche in sede fallimentare, inibendosi l'estensione del fallimento ex art. 147, comma 5 l.fall. alla società di capitali partecipante di fatto nella compagine della società personale dichiarata fallita (da ultimo, v. Trib. Bergamo, sez II., 19 marzo 2015).

Nello specifico, l'art. 2361 comma 2 c.c. – norma espressamente dettata per le s.p.a., applicabile alle s.a.p.a. ex art. 2454 c.c. e in via analogica alle s.r.l. – stabilisce che l'assunzione di partecipazioni in altre imprese, che comporti una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle medesime, deve esseredeliberata dall'assemblea e impone l'obbligo per gli amministratori di darne specifica informazione nella nota integrativa del bilancio. Le maggiori difficoltà interpretative attengono alla rilevanza esterna od interna della mancanza della deliberazione assembleare.

É stato deciso che la prescrizione di cui all'art. 2361, comma 2 c.c. rappresenti un limite legale al potere di rappresentanza degli amministratori sempre opponibile ai terzi: l'assenza della necessaria delibera assembleare precluderebbe, quindi, la possibilità in nuce di dare vita ad una società di fatto tra società di capitali e società di persone (v., App. Torino 30 luglio 2007, in Riv. dott. comm., 2008, 316, con nota critica di A. Bartalena. Conformi, App. Venezia 10 dicembre 2011;Trib. S.M. Capua Vetere decr. 15 gennaio 2015; Trib. Mantova 30 aprile 2013; Trib. Torino 4 aprile 2007, in Giur. it., 2007, 1442; App. Napoli 5 giugno 2009).

Tale indirizzo giurisprudenziale non è univoco, registrandosi l'opposto orientamento per il quale il difetto di autorizzazione dei soci ha una rilevanza meramente interna alla dinamica sociale che determina esclusivamente la responsabilità dell'organo amministrativo nei confronti della società (così, Trib. Brindisi 7 gennaio 2013, in Giur. comm., 2014, II, 906; cfr., Trib. Reggio Calabria, 8 aprile 2013, in Dir. fall., 2014, 1, 63; Trib. Nola 23 maggio 2013; App. Catanzaro 30 luglio 2012, in Giur. comm., 2013, 438; Trib. Vibo Valentia 10 giugno 2011, in Giur. merito, 2012, 656; Trib. Prato 10 novembre 2010, in Giur. merito, 2011, 2721).

Si considerino, altresì, le motivazioni di una recente ordinanza della Corte Costituzionale che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147 l.fall. in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost, stante la mancanza di un orientamento consolidato sulla rilevanza della delibera di cui all'art. 2361, comma 2 c.c: " [...] il Tribunale non ha preso posizione in ordine alla discussa questione concernente le conseguenze del mancato rispetto degli adempimenti previsti dall'art. 2361, comma 2, cod.civ. [...]Poiché le soluzioni a tale questione emerse nella giurisprudenza di merito, così come in dottrina, non sono univoche, mentre la Corte di Cassazione non si è ancora pronunciata, il rimettente avrebbe dovuto esprimersi su di essa dal momento che la soluzione positiva costituisce presupposto imprescindibile per l'eventuale applicazione della disposizione censurata" (Corte Cost., ord., 12 dicembre 2014, n. 276).

In dottrina (riprendendo argomenti sviluppati da Bartalena, Società di fatto partecipata da società di capitali, in Riv. dottori comm., 2008, 317 ss.), si è osservato che l'orientamento preclusivo alla società di fatto partecipata da società di capitali:

  1. è contrario ai principi del diritto dell'impresa, ed in particolare al principio di effettività per il quale l'impresa è ravvisabile in presenza di un'attività che presenti i connotati di cui all'art. 2082 c.c., indipendentemente dall'adempimento di requisiti formali. Non si coglierebbe la distinzione dei due piani, quello dell'atto negoziale (del contratto), da una parte e quello dell'attività (dell'impresa), dall'altra;
  2. è in contrasto con la disciplina della società in generale, ove una società di fatto è legata all'accertamento del comportamento tenuto in concreto dai soci e la disciplina dell'impresa è comunque collegata all'avvio dell'attività economica programmata;
  3. è in controtendenza con l'orientamento che, in una prospettiva di tutela dei terzi, si avvale del principio dell'apparenza per considerare centro di imputazione di rapporti giuridici (e, addirittura, per dichiararne il fallimento) una società di cui, in realtà, mancano gli elementi costitutivi (Cass. 20 aprile 2006, n. 9250; Cass. 26 settembre 2003, n. 14338; Cass. 14 febbraio 2001, n. 2095);
  4. è in violazione delle norme sulla rappresentanza degli amministratori di società di capitali.Ritenendo che l'art. 2384, comma 2 c.c. si riferisca solo alle limitazioni convenzionali, mentre per quelle legali vi sarebbe sempre l'inopponibilità dell'atto, si sarebbe in presenza di un atto compiuto da un falsus procurator, affetto da inefficacia relativa nel senso che esso non è, di per sé, improduttivo di ogni e qualsiasi effetto. Esso è immediatamente vincolante per il terzo che abbia contrattato con il falsus procurator come si desume dall'art. 1399, comma 3, c.c.Per contro, assumendo che le limitazioni legali al potere di rappresentanza degli amministratori siano da equipararsi a quelle convenzionali - con la conseguenza che saranno opponibili al terzo solo in base all'exceptio doli generalis (art. 2384, comma 2, c.c.) - l'assunzione di una partecipazione in una società di persone, pur in assenza della deliberazione dei soci della partecipante, dovrà essere considerata efficace, almeno nella normalità dei casi;
  5. è eccessivamente in favore degli interessi dei soci e dei creditori della società di capitali partecipante. Nel bilanciamento degli opposti interessi in gioco, è preferibile privilegiare quelli di coloro che abbiano contrattato, legittimamente confidando sull'esistenza di una società di fatto, sia perché la deliberazione autorizzativa dell'acquisto di una partecipazione in società di persone non è soggetta ad una forma di pubblicità legale, sia perché, comunque, i soci della società di capitali partecipante hanno altri strumenti a loro disposizione, di carattere preventivo e sanzionatorio, nei confronti dei loro amministratori, per impedire loro l'acquisto non autorizzato o per farne valere la responsabilità conseguente.
Conclusioni

Per quanto osservato, la sentenza annotata non è condivisibile. Non è decisiva e rilevante la questione intertemporale dell'ambito applicativo dell'art. 2361, comma 2, c.c.

Anche le conclusioni cui perviene la sentenza delle Sezioni Unite n. 5636/1988, che ha affermato l'invalidità della formale partecipazione di società di capitali a società di persone, sono di per sé opinabili; la sentenza è stata criticata da quasi tutti i suoi commentatori (Montalenti, Marziale, Barbiera, Mariconda, Ragusa Maggiore, Preite, Scotti Camuzzi, Borgioli) e si è dimostrato, con argomenti stringenti - che non è possibile qui riprendere - l'erroneità giuridica dei principi in essa affermati "solo frutto di plurimi equivoci" (G.E. Colombo, La partecipazione di società di capitali ad una società di persone, in Riv. soc., 1998, 1514).

Più in generale, il principio di effettività nel diritto dell'impresa, unitamente agli altri esaminati, smentisce il corollario, secondo il quale dall'invalidità (impossibilità) di una formale partecipazione di una società di capitali ad una società personale discende l'impossibilità di una società di fatto partecipata da società di capitali. Per cui, anche quando si voglia per il passato far proprio l'indirizzo della Sezioni Unite del 1988, non sembra corretto far discendere dall'invalidità della partecipazione, l'impossibilità di una società di fatto, come deciso dalla sentenza in commento e dal precedente di cui a Cass. n. 7/1995.

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