La mancata convocazione di un socio all’assemblea straordinaria non integra il reato di truffa

27 Aprile 2015

La norma di cui all'art. 2625 c.c. sanziona l'amministratore che, mediante l'occultamento di documenti od altri artifici, impedisce od ostacola lo svolgimento delle attività di controllo o di revisione. Per la Corte di Cassazione, l'impedire o l'ostacolare lo svolgimento di attività di controllo è condotta necessariamente attiva. Le mere omissioni sono, dunque, irrilevanti per integrare detta condotta: l'artificio, infatti, presuppone l'impiego di particolari espedienti volti a trarre in inganno.
Massima

La norma di cui all'art. 2625 c.c. sanziona l'amministratore che, mediante l'occultamento di documenti od altri artifici, impedisce od ostacola lo svolgimento delle attività di controllo o di revisione. Per la Corte di Cassazione, l'impedire o l'ostacolare lo svolgimento di attività di controllo è condotta necessariamente attiva. Le mere omissioni sono, dunque, irrilevanti per integrare detta condotta: l'artificio, infatti, presuppone l'impiego di particolari espedienti volti a trarre in inganno.

L'oggetto della tutela dell'art. 2625 c.c. non è la partecipazione del socio alla vita societaria, ma la possibilità di svolgere adeguatamente la funzione di controllo. Non ogni attività societaria, cui venga impedito al socio di partecipare, può configurare violazione della norma di cui all'

art. 2625 c.c.

, essendo necessario che l'impedimento attenga in modo specifico alle funzioni di controllo di regolarità della gestione. In conseguenza, la mancata convocazione del socio all'assemblea indetta per aumentare il capitale, non fa scattare la violazione della norma sull'impedito controllo.

Il caso

Con ricorso per cassazione, la parte offesa D.C. ed il P.M. si erano opposti all'ordinanza con cui il Tribunale del riesame aveva revocato il sequestro preventivo, disposto dal gip, delle quote di capitale di due società intestate a D.M., cui erano stati ascritti, in concorso con la madre, il reato di truffa (art. 640 c.p.), di impedito controllo (art. 2625 c.c.) e di illecita influenza sull'assemblea (art. 2636 c.c.).

D.M., in accordo con la madre M.O., al fine di ottenere il controllo di entrambe le società, avrebbe organizzato e convocato assemblee straordinarie in seno alle due società, omettendo volontariamente ogni convocazione del socio.

In tali assemblee veniva deliberato l'aumento del capitale sociale delle due società; la contestuale rinuncia da parte di M.O. al diritto di opzione per se stessa e per l'altro suo figlio, D.C. appunto, approfittando e abusando dei poteri di procuratrice generale di cui godeva nei riguardi di quest'ultimo.

La questione

La questione sottoposta alla Corte si incentra sull'interpretazione che deve fornirsi in relazione all'applicazione nel caso concreto degli articoli 640 c.p. e 2625 c.c.

Occorreva dunque stabilire, in primo luogo, se potesse applicarsi al fatto concreto, la ben nota fattispecie astratta inerente la truffa.

Il quesito cui occorreva dar risposta era il seguente: può dirsi integri la fattispecie della truffa la condotta di chi si limiti a non comunicare informazioni ad un terzo in assenza di sue specifiche richieste?

Ora se non v'è dubbio alcuno che la condotta di chi serbi silenzio rispetto a quesiti e domande formulate dal terzo, nei confronti del quale viene esplicata la condotta, integri pacificamente la condotta prevista dalla norma incriminatrice, qualche dubbio permane invece allorché il terzo non faccia domanda alcuna e l'agente semplicemente non dia comunicazione di un fatto specifico non oggetto d'obbligo comunicativo.

Ben noto è che la truffa può realizzarsi solo tramite un artificio, cioè un accorgimento o uno stratagemma capace di rappresentare nella mente del soggetto passivo l'esistenza di un elemento della realtà materiale o giuridica, il quale, però, nella realtà non esiste o, viceversa, sussiste; la truffa si concreta anche laddove un soggetto, tramite un'opera argomentativa di persuasione nei confronti della vittima, raggira quest'ultima.

Ma laddove l'artificio non c'è, versandosi in tema di mera omissione di atto, può dirsi sussistere egualmente la fattispecie penale?

Secondo la prospettazione fornita dal ricorrente, la condotta del socio – amministratore che non comunichi l'esistenza di assemblea societaria finalizzata a deliberare aumento di capitale della società, costituisce artificio e, come, tale, condotta capace di integrare la fattispecie astratta ex articolo 640 c.p.

Ma è proprio così?

Si verserebbe certamente in ipotesi di condotta omissiva.

Condotta omissiva certamente qualificabile quale impropria, in assenza di specifico obbligo giuridico dettato per impedire l'evento.

Quale evento?

Certamente non quello di dar conto dell'esistenza di una convocazione di assemblea societaria finalizzata ad aumentare il capitale sociale della stessa.

Stante l'ipotesi di reato omissivo improprio occorre incentrare l'analisi sulla possibilità di identificare quale penalmente rilevante la condotta artificiosamente omissiva?

Due datate sentenze della Suprema Corte, in tema analogo, avevano stabilito che “anche il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da chi abbia il dovere giuridico di farle conoscere costituisce raggiro ai fini della configurabilità del reato di truffa” (Cass., 14 aprile 1978; Cass, 21 novembre 1973).

Ma ancora una volta l'obbligo giuridico è relativo ad “alcune circostanze” che si ha dovere giuridico di rendere note.

Quid iuris se il silenzio riguarda l'atto da compiersi nella sua integralità?

Al di là della paradossale affermazione, la questione non è di lana caprina e merita attenta lettura.

Pacifico come non vi sia nella condotta descritta alcun attività rapportabile a quella ben nota e ricostruita quale “artificio o raggiro”.

Semplicemente chi ha il dovere di cominciare non comunica.

Ora l'assenza di qualsivoglia attività consente agli Ermellini di non “reperire” alcuna condotta avente contenuto attivo.

Dunque, in ossequio al principio di tassatività nessuna condotta sussumibile nella fattispecie astratta descritta dall'articolo 640 c.p.

Analogamente per la Corte non può dirsi integrata la fattispecie di impedito controllo che, come noto, testualmente recita: “gli amministratori che, occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo legalmente attribuite ai soci o ad altri organi sociali, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.329 euro”.

In assenza di condotte di carattere positivo, ovvero attive, per la Corte non si impedirebbe alcun controllo sulla società da parte degli altri soci che potrebbero essere posti a conoscenza degli eventi attraverso i normali canoni e criteri di controllo.

Il bene protetto dall'articolo 2625 c.c. infatti è la possibilità per il socio di svolgere adeguatamente le funzioni di controllo e non quella di partecipare alla vita della società medesima.

La partecipazione all'assemblea della società non può dirsi afferente alle attività di controllo che possono, e debbono, essere esercitate con mezzi e metodi differenti.

Si tratta forse, anzi certamente, di una visione statica della vita dell'impresa ma anche dell'unica visione che pare essere compatibile con i principi costituzionali e, segnatamente, con il principio di tassatività della fattispecie penale.

Osservazioni

Occorre subito chiarire che il non configurare quale reato una condotta posta in essere non costituisce certo dichiarazione di legittimità della medesima.

Pubblico Ministero e parte civile avrebbero potuto e forse dovuto scegliere altre forme di tutela anche e soprattutto considerando che, versandosi in tema di cautela, la parte civile, ricorrente autonoma, non avrebbe mai potuto richiedere l'attribuzione di quelle quote che, anche se illegittimamente emesse ed attribuite, mai aveva sottoscritto e quindi mai erano entrate a far parte del suo patrimonio.

Ad esempio si sarebbe potuta aggredire la posizione giuridica di M.O. che pacificamente aveva abusato, a danno del proprio procurato, della procura dallo stesso ottenuta.

Certamente la pronuncia, resa in termini di cautela e quindi a cognizione non completa, costituirà, ne siamo certi, spunto di riflessione e approfondimento anche sotto il profilo della possibilità di verificazione di simili condotte ed eventi.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.