Società controllate in virtù di vincoli negoziali e influenza dominante
08 Ottobre 2015
Cos'è necessario per ritenersi integrata un'influenza dominante di una società su un'altra in forza di determinati rapporti negoziali?
L'art. 2359, comma 1, n. 3, c.c. contempla tra le ipotesi in cui una società è considerata controllata da un'altra la fattispecie in cui una società sia “sotto influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali”. Giova premettere come non ogni vincolo contrattuale sia tale da integrare la fattispecie del controllo esterno, risultando necessario, ai fini della sua rilevanza, valutare quali siano in concreto gli effetti da esso prodotti, il suo contenuto ed il contesto nel quale viene realizzato. Come sostiene la Cassazione (Cass., 27 settembre 2001, n. 12094), il controllo contrattuale di cui all'art. 2359, comma 1, n. 3, quale quaestio facti, nasca da vincoli particolari sia per il contenuto giuridico sia per la determinata situazione di fatto in cui si inseriscono. Risulta quindi necessario effettuare in concreto una prognosi della rilevanza giuridica della situazione di predominio, al fine di appurare quando risulti integrata “un'influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali”. La stessa Suprema Corte ha affermato che la configurabilità del controllo esterno di una società su di un'altra, postula la esistenza di determinati rapporti contrattuali la cui costituzione ed il cui perdurare rappresentino la condizione di esistenza e di sopravvivenza della capacità di impresa della società controllata (Cass., 27 settembre 2001, n. 12094, cit.). Il problema attinente l'individuazione del grado di intensità che l'influenza esercitata su una società deve raggiungere affinché questa possa definirsi controllata si risolve nell'interpretazione dell'aggettivo “dominante”. Dall'esame dei pochi precedenti in argomento emerge come la giurisprudenza non sia univoca. Infatti, una pronuncia di merito ha ritenuto il controllo esterno una species dell'attività di direzione e coordinamento, entrambi espressione di un potere di ingerenza. Pertanto, secondo tale indirizzo, ai fini dell'identificazione di un'influenza dominante è imprescindibile la verifica dell'attribuzione ad una società di poteri determinanti sulla gestione di un'altra compagine societaria, dotati della necessaria stabilità e, soprattutto, anomali rispetto alle caratteristiche tipiche del contratto stipulato (Cfr. Trib. Pescara, 2 febbraio 2009, in Foro it., I, 2009, 2829). Tuttavia, un provvedimento della Cassazione ha reputato necessario valutare l'esistenza di «determinati rapporti contrattuali la cui costituzione ed il cui perdurare rappresentino la condizione di esistenza e di sopravvivenza della capacità di impresa della società cosiddetta controllata» (Cass., 27 settembre 2001, n. 12094, cit.). Di conseguenza, per tale orientamento, si deve escludere la sussistenza di un'influenza dominante qualora la società presunta controllata, in considerazione delle sue dimensioni e delle singole pattuizioni in essere con la presunta controllante, sia in condizione di liberarsi dal vincolo contrattuale e comunque di effettuare scelte imprenditoriali svincolate dalla capacità impositive della propria controparte. In dottrina è invece chiaramente individuabile un indirizzo maggioritario suffragato dalla giurisprudenza di merito. Dal tenore letterale e dall'interpretazione sistematica della norma emerge come il legislatore attribuisca all'aggettivo “dominante” il compito di individuare il grado dell'influenza al di sopra del quale sorge la posizione di controllo. Invero, alcuni autori (Notari; Spolidoro) concordano nell'affermare che il concetto di “influenza determinante” che integra il “controllo” ai fini del diritto antitrust nazionale e comunitario sia meno intenso del concetto di “influenza dominante” in quanto, perché si configuri il primo è sufficiente che la controllante abbia un potere potenzialmente solo negativo, che non le dà alcuna certezza di imporre positivamente la propria volontà sulla controllata, mentre è proprio in ciò che si sostanzia l'influenza dominante. Ne consegue una graduazione d'intensità: è “dominante” l'influenza caratterizzata dal potere di porre la propria volontà quale presupposto causale assoluto e positivo delle decisioni della controllata, mentre è “determinante” la volontà della controllante che funge da presupposto causale assoluto, anche meramente negativo delle decisioni della controllata. Il carattere dominante dell'influenza segna, infatti, il passaggio dalla situazione in cui un soggetto è in grado di orientare singole decisioni di un altro a quella in cui esso dispone di un potere generale e stabile di indirizzo dell'altrui attività gestoria. Tale qualificazione dell'influenza dominante consente di confutare la tesi che lega la relazione di controllo contrattuale ad una mera situazione di soggezione economica in cui versi la controllata nei confronti della controllante. Secondo tale orientamento è sufficiente che il vincolo ponga la controllata in una «posizione di necessaria subordinazione o dipendenza economica» rispetto alla controllante (Campobasso; Abbadessa). Siffatta tesi che connette la relazione di controllo contrattuale ad una semplice situazione di soggezione economica è avvalorata da un provvedimento del Tribunale di Milano (Trib. Milano, 28 aprile 1994, in Società, 1995, 11) il quale ha stabilito che il controllo contrattuale nel nostro ordinamento può derivare solo da contratti che in fatto pongono una società in una situazione di dipendenza economica rispetto ad altra, tale da condizionarne l'esistenza e la sopravvivenza, impedendo che alla scadenza del rapporto contrattuale la presunta società controllata possa non rinnovarlo. Tuttavia tale indirizzo fonda l'individuazione del rapporto di controllo su un requisito eccessivamente ampio e generico che finirebbe per far ritenere determinante la sola posizione di mercato di una società. Di conseguenza, come affermato dal Tribunale di Torino, «non è sufficiente la sola posizione di mercato di una società che di fatto condizioni la sopravvivenza di un'altra o di altre perché, se così fosse, tutte le imprese che per la natura della loro attività o per la loro ubicazione o collocazione sul mercato si trovano a destinare la totalità o la maggior parte della loro produzione presso un'altra impresa, dovrebbero per ciò solo ritenersi controllate da quest'ultima. In realtà in tale ipotesi l'influenza che la società cliente-dominante esercita sulla società fornitrice discende eventualmente da una legge di mercato, non certo da vincoli contrattuali intercorrenti fra le due società per cui possa dirsi che la prima ha il potere di condizionare l'attività dell'altra» (Trib. Torino, 21 aprile 1986, in Fall., 1987, 414). Pertanto anche un obbligo o una prassi di fornitura per il 100% dei prodotti dell'impresa, in quanto configurante un patto ordinario di esclusiva non risulta idoneo ad integrare di per sé, un sintomo di dominio contrattuale, potendo il rapporto derivare da una libera valutazione di convenienza di entrambe le parti, peraltro particolarmente frequente nella prassi commerciale. La posizione di soggezione economica quindi - seppur elemento generalmente caratterizzante il controllo contrattuale - non risulta sufficiente affinché questo si concretizzi, se non è accompagnata dall'effettivo esercizio, da parte della controllante, di una forza dominante sull'altrui attività sociale che si risolva nel potere assoluto e positivo di ingerenza e di orientamento dell'indirizzo gestionale ed operativo della società controllata. Dunque, non ogni potere di ingerenza è sufficiente a rendere il vincolo negoziale che lo attribuisce fonte di controllo esterno, ma occorre individuare gli aspetti nodali dell'attività di un'impresa che, se interessati dalla relazione contrattuale, sono in grado di intaccare l'autonomia gestionale del contraente debole. Di conseguenza - analogamente alla tipologia c.d. di “controllo interno” ex art. 2359, comma 1, nn. 1 e 2, c.c. -, nella fattispecie c.d. di “controllo esterno” è necessario che l'influenza esercitata sia di intensità tale da limitare l'autonomia della controllata in modo tanto significativo da far presumere che anche le scelte in merito alla gestione delle partecipazioni dalla stessa detenute rimarranno travolte dal predominio esercitato dalla controllante. |