La responsabilità dell’ente da reato: il presupposto dell’interesse o vantaggio per la società
21 Luglio 2015
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29512 del 10 luglio 2015, è intervenuta sul concetto di “interesse o vantaggio” che costituisce il presupposto per la configurazione della responsabilità amministrativa dell'ente da reato, chiarendo che l'interesse si riferisce alla proiezione finalistica dell'azione, con valutazione ex ante, mentre il vantaggio è la potenziale utilità - anche non patrimoniale - oggettivamente accertabile e valutata ex post. La vicenda. La sentenza origina da una vicenda complessa che vede l'amministratore unico di una s.r.l. ottenere un contributo pubblico per la realizzazione di un impianto di energia rinnovabile. La prima parte del denaro erogato era però stata utilizzata a tutt'altro scopo con vantaggio sia della società, che del suo amministratore. Veniva avviato un procedimento per l'accertamento della responsabilità amministrativa da reato della società ai sensi del d.lgs. 231/2001. Sia in primo grado che in appello l'ente veniva condannato. Avverso la decisione della Corte territoriale veniva proposto ricorso per cassazione. Una delle censure mosse dal ricorrente offre alla Suprema Corte l'occasione per fare chiarezza sui presupposti applicativi della disciplina della responsabilità amministrativa da reato. La responsabilità dell'ente sorge nel momento in cui l'azione illecita sia stata posta in essere nel suo “interesse o vantaggio”, terminologia che ha sollecitato l'intervento ermeneutico chiarificatore della Suprema Corte. Quest'ultima si affida all'interpretazione letterale della norma, nel cui testo il requisito dell'interesse “o” del vantaggio sono graficamente interconnessi, appunto, da una disgiunzione. L'interesse. La sussistenza di un interesse dell'ente all'illecito penale commesso «esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante», avendo dunque riguardo allo scopo per il quale veniva realizzato il reato. Quest'ultimo deve essere, in sostanza, rientrante nella cosiddetta politica societaria. In tali termini l'interesse assume connotazioni che si potrebbero definire “oggettive”, non dovendosi ritenere indispensabile la dimostrazione che il soggetto autore dell'illecito abbia inteso perseguire l'interesse dell'ente. Si registra un'evoluzione giurisprudenziale su questo concetto, sottolinea la Corte: inizialmente, infatti, il metro di valutazione dell'interesse era di tipo esclusivamente soggettivo. Il vantaggio. Il termine “vantaggio” rimanda invece a qualcosa più facilmente percepibile, circostanza che ha reso più agevole agli interpreti delinearne i confini. Esso si riferisce alla «potenziale o effettiva utilità, ancorché non necessariamente patrimoniale» che discende dalla commissione di un fatto-reato. In questo caso, quindi, bisogna guardare ai risultati (illecitamente) positivi conseguiti dall'ente per effetto di una condotta penalmente rilevante, con valutazione oggettiva ex post. Il modello organizzativo. La normativa vigente, conclude la Suprema Corte, contiene una disposizione normativa specifica, che esclude la responsabilità dell'ente laddove sia stato adottato un modello organizzativo e gestionale funzionale all'impedimento della commissione dei reati da parte di soggetti in posizione apicale o meno. L'onere probatorio circa la presenza di un tale apparato organizzativo, rilevano i Giudici di legittimità, ricade sull'ente. Dimostrata la presenza di un tale sistema interno di prevenzione, quindi, la persona giuridica potrebbe andare esente da ogni responsabilità per i reati posti in essere nel suo interesse o vantaggio. |