La nullità derivata di una delibera non incide sui termini per l’impugnabilità
21 Luglio 2016
L'azione diretta a far valere la nullità di una delibera di aumento di capitale, successiva ad una delibera di riduzione di capitale per perdite - dichiarata nulla con statuizione coperta da giudicato -, resta soggetta al termine perentorio di 180 giorni stabilito all'art. 2379-ter, comma 1, c.c., norma che si può considerare in un rapporto di specie a genere rispetto all'art. 2379 c.c., non incidendo sul regime di proponibilità della domanda la natura derivativa della nullità. In questi termini si è espressa la S.C. con la sentenza n. 14932/2016.
La vicenda. Il custode giudiziario di alcune azioni di una s.p.a. aveva impugnato due delibere, una di azzeramento del capitale per perdite e l'altra di successivo aumento, assunte nella medesima assemblea straordinaria (alla quale non aveva presenziato), al fine di farne dichiarare la nullità sulla base del fatto che entrambe si fondavano su dati palesemente falsi in riferimento ai debiti della società verso altri finanziatori. A fronte di questa azione, il Tribunale di primo grado dichiarava nulla la delibera di azzeramento del capitale e, in via derivata, anche quella di ricostruzione mediante emissione di nuove azioni. La società ricorre in appello contestando la legittimazione del custode a proporre la domanda in esame, considerato che si erano inoltre sforati i termini previsti dall'art. 2379-ter c.c. La Corte d'appello respinge il ricorso affermando che il termine del citato articolo avrebbe trovato applicazione solo nell'ipotesi in cui l'impugnazione delle due delibere fosse avvenuta autonomamente. Nel caso di specie, invece, essendo la nullità della delibera di aumento in un rapporto di derivazione con quella della delibera di riduzione di capitale, le due impugnazioni non potevano essere trattate distintamente: la nullità dell'una comportava necessariamente quella simmetrica dell'altra, determinando l'inapplicabilità del termine decadenziale. A supporto di tale argomentazione, la Corte riportava anche un precedente giurisprudenziale (Cass. Civ. n. 12347/1999) in cui si era stato affermato che la nullità della delibera di riduzione di capitale riverbera necessariamente i suoi effetti su quella di ricostruzione. La società, rivolgendosi al Collegio di legittimità, oltre a lamentare nuovamente il mancato rispetto dei termini decadenziali, sottolinea come la sentenza richiamata dal giudice di merito non possa considerarsi un precedente degno di rilievo, considerato che si colloca in momento temporale antecedente alla Riforma societaria del 2003, che ha innovato in modo rilevante la materia, introducendo per di più la norma in esame.
L'autonomia della disciplina dei termini per impugnare. La Cassazione dichiara fondato il ricorso. La norma di cui all'art. 2379 - ter c.c., rispetto alla più generale disciplina dell'art. 2379 c.c., deve essere ritenuta in un rapporto di specie a genere, rappresentando una deroga alla regola stabilita per la nullità ordinaria delle deliberazioni. Rilevando che la ratio della norma è quella di stabilire un termine decadenziale breve, oltre il quale non sia più legittimo impugnare una delibera, con il fine di rendere stabili gli effetti degli atti societari per tutelare i terzi e il fondamentale principio di affidamento che regge e incentiva i rapporti all'interno del mercato, la Suprema Corte conclude che il rapporto di derivazione della nullità tra le due delibere riguarda esclusivamente la sfera del loro contenuto e nega che tale relazione sia capace di incedere su i termini decadenziali riferibili al regime di proponibilità delle domande, previsti in un caso all'art. 2379 c.c. e nell'altro dall'art- 2379-ter c.c. |