L’aumento del capitale sociale nelle società per azioni

Enrico Civerra
14 Ottobre 2015

Una società per azioni si trova in condizioni di scarsa liquidità. L'assemblea straordinaria aveva in precedenza già deliberato un aumento di capitale a pagamento, senza soprapprezzo, sottoscritto dai soci e liberato per il 25% del relativo valore nominale. Si profila, ora, l'offerta di un finanziatore, interessato ad entrare nella compagine sociale con un importante conferimento di danaro. Il finanziatore avrebbe posto come condizione che l'operazione venga deliberata al più presto. Poiché i soci non hanno le disponibilità per completare i conferimenti dovuti a liberazione dei primo aumento sottoscritto, ci si chiede come possa essere strutturata la delibera perché sia rispettato il disposto dell'art. 2438 c.c.

Una società per azioni si trova in condizioni di scarsa liquidità. L'assemblea straordinaria aveva in precedenza già deliberato un aumento di capitale a pagamento, senza soprapprezzo, sottoscritto dai soci e liberato per il 25% del relativo valore nominale. Si profila, ora, l'offerta di un finanziatore, interessato ad entrare nella compagine sociale con un importante conferimento di danaro. Il finanziatore avrebbe posto come condizione che l'operazione venga deliberata al più presto. Poiché i soci non hanno le disponibilità per completare i conferimenti dovuti a liberazione dei primo aumento sottoscritto, ci si chiede come possa essere strutturata la delibera perché sia rispettato il disposto dell'art. 2438 c.c.

Come noto, con la decisione di aumentare a pagamento il capitale sociale, la società pone le condizioni per incrementare il proprio patrimonio netto mediante l'afflusso di nuova ricchezza e nuove risorse.

L'art. 2438 c.c. fa divieto di eseguire la delibera di aumento di capitale finché le azioni precedentemente emesse non siano state interamente liberate. Funzione di tale norma è di evitare che le società per azioni siano fittiziamente capitalizzate come potrebbe capitare con una serie di aumenti di capitale solo parzialmente eseguiti, al termine dei quali la società potrebbe presentare un capitale nominale imponente, ma costituito in prevalenza da crediti verso i soci. La norma mira anche a proteggere i soci di minoranza dal rischio di essere chiamati a nuovi impegni prima dell'integrale adempimento di quelli già in essere.

La lettera della norma non parrebbe impedire che nelle condizioni date, ossia quelle di un capitale sottoscritto e solo parzialmente versato, la società possa deliberare un ulteriore aumento a pagamento, vietando solo la relativa sottoscrizione. In altri termini, seguendo questa impostazione parrebbe legittimo, nel caso del quesito proposto, che l'assemblea deliberi l'aumento del capitale, fissandone le relative condizioni, rimandando la sottoscrizione ad un successivo momento coincidente con l'effettiva esecuzione del precedente.

Questa soluzione non è praticabile nel nostro caso: non è possibile, infatti, attendere l'esecuzione integrale del primo aumento per poter dar corso al secondo, ipoteticamente già deliberato: lo impedisce l'impellente necessità della società di procurarsi celermente nuove risorse finanziarie; allo stesso tempo, il terzo finanziatore ha posto come condizione di concludere l'operazione in tempi rapidi e certi.

Al di là dell'ipotesi formulata nel quesito, potrebbe verificarsi con una certa frequenza una situazione analoga, ossia quella di dover far fronte ad una situazione di crisi della società nella quale gli amministratori, pendente un precedente aumento, si trovino nella necessità di ricevere la sottoscrizione – ed il connesso rafforzamento patrimoniale e finanziario – di un ultimo aumento; benché le ragioni sopra esposte siano meritevoli di tutela, nelle situazioni date non sarebbe possibile procedere al secondo in quanto, in tal modo, si frustrerebbe lo scopo della norma di evitare il rischio connesso ad un capitale ingente costituito prevalentemente da crediti, a tutela, in definitiva, del principio di effettività ed integrità del capitale sociale.

Nel nostro caso, come abbiamo visto, i soci non solo non subirebbero un pregiudizio - è stabilito il versamento di un soprapprezzo che vale ad evitare di alterare la posizione relativa di chi è già socio di fronte all'ingresso in società di terzi – ma la società sarebbe dotata della liquidità che le serve con urgenza per far fronte ai propri impegni imminenti, evitando il rischio, altrimenti paventato, di un collasso finanziario.

Per risolvere il problema, rispettando l'inderogabile normativa codicistica, gli amministratori potrebbero invitare l'assemblea a deliberare una modifica parziale della precedente decisione di aumento – quella non ancora completamente liberata – riducendo l'importo dell'aumento stesso alle somme effettivamente già versate dai soci in sede di sottoscrizione.

Per esempio, considerando un aumento di capitale di 100, i soci avranno versato 25, obbligandosi, al richiamo degli amministratori, a versare i restanti 75. Si suggerisce di convocare un'assemblea straordinaria nella quale modificare/revocare parzialmente il precedente aumento di capitale riducendo il relativo importo nominale a quanto effettivamente già versato dai soci (nel nostro esempio, l'aumento precedente deliberato sarebbe ridotto ai 25 effettivamente già versati). In tal modo, la cifra del capitale sociale corrisponde a quella integralmente conferita e si potrà procedere – essendo adempiuto il precetto dell'art. 2438 c.c. - al successivo aumento di capitale con soprapprezzo destinato al terzo e da quest'ultimo immediatamente sottoscrivibile.

La proposta deve, tuttavia, scontare il problema dell'applicabilità alla fattispecie dell'art. 2445 c.c.: evidentemente si corre il rischio che la delibera di modifica/revoca parziale del primo aumento possa essere considerata come una riduzione reale del capitale sociale eseguita mediante liberazione dei soci dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti. La delibera di riduzione non potrebbe essere eseguita se non dopo il decorso del termine di novanta giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese, sempre che in tale periodo nessun creditore anteriore abbia proposto opposizione.

In tal caso, ovviamente, la stessa seconda delibera – quella di aumento dedicata al terzo – dovrebbe tener conto del decorso di tale termine, ma nulla, a nostro avviso, impedirà agli amministratori di incamerare le somme rivenienti dal secondo aumento ed emettere le nuove azioni come desiderato dal sottoscrittore. Infatti, come noto, la norma collega il diritto di opposizione all'eseguibilità della delibera e non alla sua efficacia, che dipende unicamente dall'iscrizione nel registro delle imprese a norma dell'art. 2436 c.c., con la conseguenza che la riduzione di capitale produrrà i suoi effetti subito dopo l'iscrizione nel registro delle imprese, consentendo, così, l'iscrizione e relativa efficacia della seconda delibera di aumento del capitale a pagamento.

La complessa operazione suggerita – oggi possibile per la soppressione del requisito dell'esuberanza - va attentamente studiata nei suoi profili tecnici, ma consente alla società di far fronte ai propri immediati problemi di liquidità ed all'esigenza del finanziatore di assumere quella posizione partecipativa “forte” che solo la veste di azionista può attribuire.

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