L’attuazione anticipata della riduzione reale del capitale sociale
15 Novembre 2016
E' possibile attuare una riduzione “anticipata” del capitale sociale, anche prima della scadenza del termine di 90 giorni per le opposizioni dei creditori previsto dall'art. 2445, comma 3, c.c.?
La riduzione del capitale sociale ai sensi dell'art. 2445 c.c. è considerata una riduzione reale, in quanto consente ai soci di “disinvestire” parte delle somme originariamente apportate nella società. Mentre la riduzione del capitale sociale per perdite è giustificata dall'esigenza di riportare la cifra nominale del capitale sociale ad un importo corrisponde al valore reale risultante dal bilancio (anche per informare correttamente i soci ed i terzi del reale andamento della società), invece la scelta di procedere ad una riduzione reale del capitale sociale priva la società di parte delle risorse originariamente investite. L'operazione appare come potenzialmente pericolosa in quanto comporta una sottrazione della corrispondente parte del patrimonio netto che, nell'originario programma, era destinato a rimanervi vincolata. In questo senso, la norma centrale che evidenzia questo preciso vincolo di destinazione è l'art. 2424 c.c. che pone il capitale sociale nel passivo dello stato patrimoniale impedendo, per esempio, la distribuzione di utili che non siano superiori, appunto, ai valori evidenziati nel passivo stesso. Prima della riforma del diritto societario, l'art. 2445 c.c. pretendeva, come condizione di ammissibilità dell'operazione, che venisse dimostrata l'esuberanza del capitale nominale rispetto alla reale attività sociale e, quindi, alle esigenze di operatività collegate all'oggetto sociale. La pratica aveva escogitato come elemento giustificativo dell'operazione una riduzione dell'oggetto sociale, quasi che, appunto, espungendo taluna delle attività enunciate nello statuto si riuscisse a dimostrare per tabulas quella contrazione delle esigenze patrimoniali che attestava l'esuberanza del capitale stesso. La modifica dell'art. 2445 c.c. ha eliminato il requisito dell'esuberanza, ma non ha del tutto sottratto la delibera ad un obbligo di motivazione delle ragioni della riduzione: nell'avviso di convocazione dell'assemblea l'ordine del giorno, recita la norma, deve enunciare “ragioni e modalità della riduzione”. Questa accortezza del legislatore testimonia la delicatezza dell'operazione che, come detto, sottrae risorse al vincolo di disponibilità e, in definitiva, alla vocazione di protezione dei terzi di fronte ai possibili risultati anche negativi dell'attività sociale. La struttura della riduzione non richiede il solo requisito della motivazione che, se carente, può essere oggetto di impugnazione, ma fa sì che la delibera sia scollegata dal normale regime di efficacia previsto dall'art. 2436 c.c. che la fa coincidere con l'iscrizione nel registro delle imprese. Nel caso in esame, invece, l'efficacia della riduzione – o, per meglio dire, la possibilità di dare corso all'esecuzione della decisione - è rinviata di novanta giorni rispetto alla data dell'iscrizione della delibera nel registro delle imprese. Questo periodo è destinato ai terzi – ossia ai creditori anteriori all'iscrizione - per consentire loro di esercitare un diritto di opposizione: la pericolosità potenziale dell'operazione ha, così, portato il legislatore ad approntare uno strumento delle difesa di ragioni creditorie che possono essere lese dal disinvestimento. A riprova di quanto sopra, la norma prevede che nonostante l'opposizione la delibera possa essere eseguita quando il tribunale, al quale va notificata l'opposizione, ritenga infondato il pericolo di pregiudizio ovvero quando la società abbia dato una garanzia idonea a fugare tale pericolo. Più in generale, occorre notare che l'istituto dell'opposizione accompagna trasversalmente il diritto societario e si pone come strumento di presidio delle ragioni dei creditori in numerose circostanze: l'art. 2500-novies c.c. in tema di trasformazione; l'art. 2503 c.c. in tema di fusione e di scissione (in tale ultimo caso in forza del rinvio operato dall'art. 2506-ter c.c.); l'art. 2487-ter in caso di revoca dello stato di liquidazione. Peraltro, occorre anche notare una certa asimmetricità nella struttura delle singole norme, tant'è che taluno ha motivato l'impossibilità di ricostruire un istituto unitario proprio da tale circostanza. Per tale ragione l'interprete è legato all'esame dello stretto disposto normativo. Deriva da tale interpretazione l'impossibilità, per esempio, di applicare analogicamente all'ipotesi della riduzione reale del capitale alcuni segmenti normativi ricavabili dagli artt. 2500-novies e 2503 c.c.. A nostro avviso, invece, nonostante la difformità nella scrittura delle varie norme, è possibile ricondurre ad unità le singole fattispecie e identificare un unico istituto denominato “opposizione” proprio in virtù dell'unitaria funzione cui esso assolve, ossia quello di tutelare i creditori dal rischio di subire un pregiudizio nelle singole aspettative di rimborso che può essere occasionato dal compimento di particolari operazioni straordinarie, tali essendo, appunto, la riduzione del capitale, la fusione o la scissione, la trasformazione o la revoca dello stato di liquidazione. Proprio questa unitarietà dell'istituto, giustificata dalla comune funzione, permette di aprire ad un'interpretazione correttiva dell'art. 2445 c.c. che, diversamente da altre norme regolative della fattispecie, non contempla la possibilità di anticipare i termini di efficacia (o, per meglio dire, di eseguibilità) della riduzione. L'art. 2500-novies c.c. consente di ridurre, fino ad azzerarli, i termini della sospensione di efficacia della trasformazione quando consti il consenso dei creditori legittimati all'opposizione ovvero il pagamento di quelli che non hanno dato il consenso; lo stesso tenore mostra l'art. 2487-ter c.c. in tema di revoca dello stato di liquidazione. L'art. 2503 c.c. consente, invece, di attuare anticipatamente una fusione, non solo quando ricorra il consenso o il pagamento dei creditori, ma anche quando la società abbia depositato le somme corrispondenti presso una banca. Ci si è chiesti, a tale proposito se, al deposito delle somme, sia equipollente una fidejussione che garantisca, in caso di esito vittorioso dell'opposizione, il ristoro delle ragioni dei creditori. Noi riteniamo che non vi siano valide ragioni che militano contro l'utilizzabilità, in vece del deposito, di una fidejussione bancaria escutibile a prima richiesta e senza eccezioni che garantisca il pagamento di un importo non inferiore all'integrale pagamento di tutti i creditori che non hanno acconsentito all'operazione straordinaria e con scadenza coincidente con quella naturale dei crediti garantiti. In conclusione, è possibile procedere ad una anticipata esecuzione della decisione di riduzione reale del capitale sociale: 1) Con il consenso dei creditori; 2) Con il pagamento dei creditori che non hanno dato il consenso; 3) Con la prestazione di una garanzia bancaria quale, per esempio, una fidejussione. |