L'utilizzo del trust di scopo quale legittimo strumento di ausilio nella crisi di impresa
Marco Minguzzi
Lisa Masetti
25 Giugno 2014
Gli Autori trattano il tema del ricorso allo strumento del trust all'interno della crisi d'impresa analizzando un caso sottoposto all'esame dei giudici ravennati (Trib. Ravenna, 4 aprile - 17 ottobre 2013), nel quale la domanda di concordato preventivo contempla la costituzione di un trust di scopo, mediante la messa a disposizione di alcuni beni immobili appartenenti ad un terzo estraneo alla compagine sociale. Dopo aver sciolto alcune questioni preliminari, quali la scelta del tipo di trust e quale controllo debba esercitare il giudice, il focus si concentra su quali conseguenze comporti un trust di questo tipo nel calcolo delle maggioranze utili per l'omologazione del concordato nonchè sugli aspetti fiscali.
Il caso: concordato preventivo e trust di scopo
Il caso riguarda una procedura concordataria sottoposta al vaglio del Tribunale di Ravenna, che ha pronunciato decreto di ammissione in data 4 aprile 2013 e decreto di omologata in data 17 ottobre 2013.
La società ricorrente proponeva l'ammissione ad un concordato preventivo di natura mista, ossia in parte liquidatorio e in parte con garanzia.
Il piano prevedeva la liquidazione delle immobilizzazioni materiali e delle giacenze di magazzino, nonché l'utilizzo delle disponibilità liquide e dell'incasso dei crediti commerciali prudenzialmente svalutati. In ordine al secondo aspetto, la proposta contemplava la messa a disposizione di alcuni beni immobili appartenenti ad uno terzo estraneo alla compagine sociale, ma già fideiussore delle linee di credito concesse alla società da alcune banche chirografarie.
Tale apporto patrimoniale veniva realizzato attraverso la costituzione di un trustdi scopo con efficacia condizionata all'omologa del concordato.
I beni del terzo consistevano nel capannone in cui l'azienda esercitava l'attività e nella annessa abitazione formante un tutt'uno con il primo.
Da un punto di vista funzionale ed economico tali beni, costituendo un unico compendio con i macchinari e le attrezzature, avevano il pregio di fornire non semplicemente una garanzia per i creditori della società, ma di rappresentare un quid pluris per una auspicabile migliore allocazione, qualora si fosse presentato un acquirente interessato a comprare l'intero complesso aziendale, in tal modo potendo essere disposto ad offrire qualcosa in più rispetto al prezzo delle singole entità, difficilmente vendibili come tali.
La ricorrente si riprometteva così di far fronte ad un passivo complessivo di euro 851.419, da soddisfarsi integralmente con riferimento ai debiti prededucibili e privilegiati, e in via residuale con riguardo al ceto chirografario distinto in due classi: la prima, costituita dalle banche munite di garanzia fideiussoria verso il terzo non socio, per le quali veniva prevista una percentuale di soddisfazione del 100%; la seconda, costituita dagli altri creditori per i quali veniva prevista una soddisfazione nella misura del 15%.
Tale classificazione, oltre a rispecchiare la disomogeneità giuridica ed economica del ceto creditorio, ha favorito l'approvazione della proposta, offrendo alle banche chirografarie la completa soddisfazione del credito attraverso una soluzione che le solleva dall'onere di promuovere singole azioni volte all'escussione delle garanzie.
La scelta del tipo di trust: di scopo o con beneficiari
L'atto istitutivo di trust stabiliva come legge regolatrice quella del Jersey e non quella Inglese, che non ammette l'istituzione di trust di scopo se non per finalità caritatevoli, c.d. “trust charitable” .
Diversamente, si sarebbe potuto optare per un trust con beneficiari, potendosi in questo caso impiegare la tradizionale legge Inglese.
A supporto di simili procedure, però, la scelta del modello del trust di scopo è da ritenersi preferibile, in quanto consente maggiore flessibilità ai soggetti coinvolti, senza per questo far venir meno la legittimità del loro operato e la protezione di quel complesso di norme poste a presidio delle procedure concorsuali.
Si pensi alle difficoltà generate da un trust con beneficiari, ove gli stessi vengano individuati nei creditori sociali, qualora alcuni crediti siano certi nell' an, ma non nel quantum, o al caso in cui, al momento della proposizione della domanda, alcuni crediti non siano neppure noti al liquidatore o al disponente.
La scelta del trust di scopo, che impone al trustee più genericamente di “distribuire il ricavato ai creditori” chiunque essi siano, consente invece una libertà di azione che lo stesso non avrebbe se i beneficiari venissero individuati in modo nominativo e per importo (per non parlare del fatto che una carente individuazione dei beneficiari porterebbe alla nullità dell'atto).
In questo secondo caso, infatti, ogni creditore sarebbe portatore di una singola posizione soggettiva che potrebbe far valere solo nei confronti del trustee, appesantendone notevolmente l'operatività.
Nel trust di scopo è solo il Guardiano (o Enforcer o Protector) a farsi portatore dell'interesse dei creditori .
La legge del Jersey, che appunto ammette il trust di scopo con finalità non caritatevoli, contempera tale facoltà con l'obbligatorietà dell'istituzione di una figura di garanzia, prevedendo che “vi sia l'effettiva presenza di un Enforcer...con ampi poteri di controllo ed intervento sull'operato del Trustee, qualora questi non agisca o mal agisca nel perseguimento dello scopo” ed inoltre che il trust “contenga meccanismi idonei ad assicurarne la presenza per tutta la durata del trust”.
L'Enforcer è colui che può agire giudizialmente contro il trustee nel caso in cui questi non persegua le finalità del Trust. Per questo tale figura non può mai coincidere con quella del trustee.
Sotto tale profilo, nell'atto istitutivo del trust in esame si legge che “Il Tribunale di Ravenna od il Giudice Delegato...potranno disporne la revoca provvedendo altresì contestualmente alla sua sostituzione indicando a propria discrezione altri soggetti in un numero massimo di tre. Potranno ricoprire l'incarico di protector soggetti scelti tra i creditori della società, il Commissario Giudiziale alla procedura di concordato, lo stesso Giudice Delegato od eventualmente altri soggetti a scelta dell'Autorità Giudiziaria... Nel caso in cui vengano nominati due protectors essi agiranno congiuntamente; nel caso in cui vengano nominati tre protectors essi agiranno a maggioranza. Nel caso in cui il protector in carica venga per qualsiasi motivo a mancare, o comunque sia inattivo o risulti che non svolge il proprio incarico con la dovuta diligenza, il Trustee dovrà rendersi parte attiva, rivolgendosi senza indugio al Giudice Delegato...e chiedere che si provveda alla sua sostituzione”. Il Tribunale di Ravenna provvedeva ad esercitare fin da subito detta facoltà, nominando già in sede di apertura della procedura il nuovoProtectornella figura del Commissario Giudiziale.
Tale avvicendamento ha avuto il pregio di consentire al Commissario Giudiziale il più pieno esercizio delle proprie funzioni di vigilanza le quali, in mancanza, avrebbero potuto essere esercitate in via diretta unicamente con riferimento ai beni già presenti nel patrimonio della società debitrice e, solo in via mediata, con riferimento ai beni vincolati dal terzo.
In tal modo, il Protector è divenuto l'unico punto di riferimento per tutti i creditori sociali i quali, dal canto loro, potranno allo stesso rivolgersi nel caso in cui il liquidatore della società (per i beni sociali) o il trustee (per i beni dati a garanzia) non osservino, con la diligenza professionale richiesta, il perseguimento degli scopi che sono rispettivamente chiamati ad assolvere.
In generale, nella Trust Jersey Law la figura del Protector riveste una tale importanza che, all'art. 14, è previsto che le sue eventuali dimissioni abbiano effetto solo dall'avvenuta notifica al Trustee, in modo da consentire al medesimo di attivare il meccanismo della sua tempestiva sostituzione, che, comunque, può essere sempre richiesta al Magistrato da chiunque vi abbia interesse, qualora il Protector sia inattivo o non persegua con la dovuta diligenza l'incarico affidatogli.
Dal punto di vista operativo, detta sostituzione, peraltro, non comporta particolari adempimenti essendo opportuna la sola indicazione nel “libro degli eventi del Trust”, senza procedere all'iscrizione di alcuna formalità presso la Conservatoria dei RR.II.
Il controllo del giudice circa la legittimità del trust realizzato con apporto di beni esterni alla società ricorrente
Tra le tipologie di trust di scopo liquidatori, quella in esame si differenzia per aver previsto la segregazione non del patrimonio sociale, bensì dei beni del terzo, così evitando quella censura che buona parte della giurisprudenza muove ai trust liquidatori effettuati unicamente con il patrimonio dell'impresa insolvente e privi di clausole di salvaguardia, ritenuti nulli ab origine, in quanto il disponente, ormai privo di mezzi propri, dovrebbe optare per il fallimento in proprio, anziché porre in essere un negozio sostanzialmente diretto a sottrarre agli organi della procedura la liquidazione delle risorse residue.
Il Tribunale di Ravenna, nel decreto di ammissione alla procedura concordataria, ha analizzato compiutamente l'aspetto afferente l'interazione tra il modello contrattuale di trust prescelto e le disposizioni imperative che l'ordinamento detta in materia concorsuale, analisi iscrivibile a quel meccanismo di controllo che la Cassazione, nella ormai nota sentenza del 23.1.2013, definisce di “fattibilità giuridica”.
Manifestando, infatti, la propria adesione all'indirizzo che vede nei poteri dell'organo giurisdizionale quello di verificare il “possesso sostanziale dei requisiti di ammissione, fra cui la fattibilità del piano quale in concreto percorribile e certificata nella relazione del professionista” (fermo restando che la valutazione di convenienza pratico-economica della proposta è riservata ai creditori) il Collegio ravennate ha ravvisato la compatibilità del trust in esame con quanto espressamente consentito dall'art. 15 della Convenzione dell'Aja del 1° luglio 1985. Tale norma sancisce che la Convenzione non ostacola l'applicazione di norme statali inderogabili per volontà delle parti nelle materie ivi elencate, prevedendo alla lett.
e) la “protezione dei creditori in casi di insolvibilità”.
Ciò osservato, il Tribunale di Ravenna ha ritenuto legittimo il trust in esame, osservando come lo stesso non impedisca il dispiegarsi degli effetti di alcuna norma dell'ordinamento nazionale e come l'apporto di beni esterni al patrimonio della ricorrente, “la cui liquidazione è destinata a rendere fattibile il piano ed a garantire l'ottenimento delle percentuali di soddisfazione prospettate”, traduca la compatibilità del trust proposto con le norme imperative dettate in materia concorsuale.
L'apporto dei beni del terzo costituisce, infatti, per i creditori concordatari, una garanzia accessoria e residuale rispetto a quella fornita dal patrimonio sociale ai sensi dell'art. 2740 c.c.
La tenuta di detta garanzia risulta, peraltro, meglio apprestata rispetto a quella raggiungibile attraverso il rilascio di garanzie, reali o personali, che il terzo intendesse offrire nell'ambito di un concordato preventivo, attesa l'estensione dell'effetto inibitorio di cui all'art. 168 l. fall. anche ai beni offerti a garanzia della realizzazione del piano.
Inoltre, il trust realizza un immediato effetto segregativo del patrimonio messo a disposizione dal terzo, grazie al trasferimento della proprietà, in favore del trustee, dei beni sui quali è impresso il vincolo di destinazione, così da renderli insensibili alle vicende personali e patrimoniali del trustee medesimo e con l'automatico rientro nella disponibilità del terzo, delle eventuali risorse residue, una volta adempiuta l'obbligazione fiduciaria.
Riflessi della classificazione operata nel ceto creditorio ai fini del raggiungimento della maggioranza nell'omologazione del concordato
La ricorrente ha adottato un modello di trust con apporto dei beni del terzo fideiussore per assicurare la soddisfazione integrale delle banche chirografarie munite di detta garanzia del terzo-disponente, costituite in un'autonoma e distinta classe di creditori rispetto agli altri chirografari.
Tale struttura del piano concordatario ha portato il Collegio ravennate a porre, in sede di omologa, la questione circa l'esistenza o meno del diritto di voto in capo ai creditori di detta classe.
Il Commissario Giudiziale aveva, infatti, escluso dal voto le banche sopra indicate, sul presupposto che, avendo loro riconosciuto integrale soddisfazione del credito, ivi compresi gli interessi legali fino al saldo, diveniva per essi indifferente l'esito del concordato.
Il Collegio giudicava legittima tale decisione, richiamando l'art. 177, comma 2 e 3, l. fall., norma che, in tema di maggioranze, prevede espressamente che i creditori privilegiati “non hanno diritto al voto se non rinunciano in tutto o in parte al diritto di prelazione” e che “per la parte del credito non coperta dalla garanzia sono equiparati ai creditori chirografari”. Del pari, i creditori privilegiati di cui si propone un pagamento non integrale “sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito”.
Da tale disposizione il Tribunale di Ravenna ha argomentato l'equiparazione dei creditori chirografari integralmente soddisfatti (per capitale ed interessi, ancorché quantificabili solo all'esito dell'attività liquidatoria) ai creditori privilegiati che non abbiano rinunciato al proprio diritto di prelazione, ricavandone conseguentemente l'esclusione dal voto, poiché “nessun dato normativo specifico autorizza a derogare tale principio nel caso in cui il soddisfacimento integrale sia differito”.
Il concordato veniva, pertanto, omologato con il voto favorevole del 91,39% dei crediti ammessi al voto, tra i quali venivano ricompresi unicamente i chirografari con previsione di soddisfo nella percentuale del 15%.
Aspetti fiscali della tipologia di trust in esame
Dal punto di vista fiscale, la segregazione di beni immobili in trust sconta incertezze generate più da un'incoerente interpretazione delle norme esistenti, che da una effettiva carenza del dato normativo.
L'Amministrazione Finanziaria si è espressa in tema di trust con due circolari: la n. 48 del 2007 e la n. 3 del 2008, che paiono però tradire il dato normativo.
L'art. 2, comma 47, D.L. n. 262 del 2006 ha istituito l'imposta sulle successioni e donazioni estendendo l'ambito applicativo della stessa alla costituzione di vincoli di destinazione.
La C.M. n. 3/2008, punto 5.4.2, ha chiarito che la costituzione di beni in trust rileva in ogni caso ai fini dell'applicazione dell'imposta sulle successioni e donazioni indipendentemente dal tipo di trust.
Ne deriverebbe che qualsiasi atto di dotazione di un immobile in trust sconterebbe l'imposta sulle donazioni e successioni nella misura dell'8%, oltre alle imposte ipotecarie e catastali complessivamente in misura del 3%.
Tale tesi non può essere condivisa.
Nel caso di trust di scopo non vi è il presupposto di applicazione dell'imposta dovuta per atti di liberalità, ossia l'animus donandi in capo al disponente, né l'atto di conferimento di beni in trust può essere assimilato alla costituzione di un vincolo di destinazione attuato mediante atti trascrivibili ai sensi dell'art. 2645 ter c.c., che, per molti commentatori, sono meritevoli di tutela laddove realizzino finalità di utilità sociale.
Ne deriva come al trust di scopo utilizzato in campo concorsuale sia più coerente l'applicazione dell'imposizione in misura fissa.
Numerosi ed autorevoli contributi militano in tal senso.
In primis, il Consiglio Nazionale del Notariato, con lo Studio n. 58/2010, nonché diverse pronunce delle Commissioni Tributarie.
Per le società che intendono accedere a procedure concorsuali, ove la liquidità rappresenta la più scarsa delle risorse, l'incertezza sull'imposizione rappresenta un serio ostacolo.
Non vi è dubbio che assoggettare l'atto ad imposizione indiretta dell'8%, per poi avanzare istanza di rimborso, rappresenta una soluzione “di sicurezza”, ma allo stesso tempo si rivela una strada poco attuabile, tenuto conto sia del fatto che la procedura comporta già di per sé rilevanti esborsi, sia del fatto che, al probabile silenzio-rifiuto del Fisco, il contribuente dovrà opporre impugnazione, da coltivarsi in diversi gradi di giudizio, con costi e tempi non accettabili per un'impresa in crisi.
Nel caso di specie, è stato consegnato al Notaio, il giorno della stipula, un assegno a garanzia dell'importo delle imposte indirette calcolate in misura proporzionale, trattenuto per il termine di decadenza della solidarietà nel pagamento dell'imposta di registro, ai sensi degli articoli 10, comma 1, lett. b) e 57 DPR n. 131/1996. Indi l'atto è stato registrato con modalità telematica assoggettandolo ad imposte indirette nella misura fissa.
Di fronte all'eventuale azione accertatrice del Fisco entro il termine più lungo di tre anni, il disponente potrà opporre impugnazione avverso l'avviso di accertamento con buone possibilità di vittoria innanzi alla giustizia tributaria, attese le numerose pronunce sopra citate.
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.
Sommario
Il controllo del giudice circa la legittimità del trust realizzato con apporto di beni esterni alla società ricorrente
Riflessi della classificazione operata nel ceto creditorio ai fini del raggiungimento della maggioranza nell'omologazione del concordato