Dispersione del magazzino e responsabilità dell'amministratore

La Redazione
11 Agosto 2016

La Suprema Corte, con sentenza n. 16952/2016, depositata il 10 agosto 2016, stabilisce che, in materia di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell'occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione - da parte dell'amministratore - della destinazione di tali beni. Viene richiamata al riguardo la costante giurisprudenza della Cassazione penale secondo cui, provata la disponibilità di determinate merci da parte dell'imprenditore in epoca anteriore e prossima al fallimento ed accertata la loro ingiustificata mancanza, deve presumersi che il fallito le abbia dolosamente distratte.

La Suprema Corte, con sentenza n. 16952/2016, depositata il 10 agosto 2016, stabilisce che, in materia di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell'occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione - da parte dell'amministratore - della destinazione di tali beni. Viene richiamata al riguardo la costante giurisprudenza della Cassazione penale secondo cui, provata la disponibilità di determinate merci da parte dell'imprenditore in epoca anteriore e prossima al fallimento ed accertata la loro ingiustificata mancanza, deve presumersi che il fallito le abbia dolosamente distratte. E ancora,

la Corte afferma che - stante la natura contrattuale della responsabilità dell'amministratore - alla società che agisce per il risarcimento del danno (o al Curatore, in caso di fallimento) è sufficiente allegare l'inadempimento, quanto alle giacenze di magazzino, mentre incombe

sul convenuto l'onere di

dimostrare

l'

utilizzo

delle

merci

nell'

esercizio

dell'attività di im

presa

.

La vicenda. L'amministratore di una s.r.l. era stato condannato al risarcimento del danno in favore del Fallimento della medesima società dove ricopriva tale carica, a seguito dell'accoglimento dell'azione promossa ai sensi dell'art. 146 l. fall. La Corte di appello aveva confermato quanto era stato accertato in primo grado, ritenendo che il convenuto responsabile per aver disperso una determinata somma del magazzino. L'amministratore proponeva ricorso per cassazione lamentando, con il primo motivo, che i Giudici di merito avevano utilizzato le dichiarazioni rese dai sindaci nonostante la loro incapacità a testimoniare e che, inoltre, avesse distorto quanto afferamato da questi ultimi. In aggiuta l'accusato contestava l'erroneo uso di presunzioni nel valutare quanto fosse presente nel magazzino, in quando in sede di bilancio tali stime devono essere analitiche mentre nel corso del fallimento erano state sintetiche.

La risposta della Corte. I Giudici di legittimità ritengono i motivi infondati, affermando che la Corte d'Appello ha correttamente applicato la giurisprudenza costante della Cassazione penale secondo cui, provata la disponibilità di determinate merci da parte dell'imprenditore in epoca anteriore e prossima al fallimento ed accertata la loro ingiustificata mancanza, deve presumersi che il fallito le abbia dolosamente distratte. E, a prova della dolosa distrazione, in tema di bancarotta fraudolenta, è sufficiente la mancata dimostrazione, ad opera dell'amministratore, della destinazione dei beni suddetti.

Inoltre, con riferimento all'uso di presunzioni da parte dei giudici d'appello, si precvisa che nell'ordinamento italiano non esiste un principio di gerarchia che ponga le presunzioni in una posizione inferiore rispetto alle altre tipologie di prove; è, dunque, da ritenersi legittimo esercizio del potere discrezionale riconosciuto al giudice di merito fondare il proprio convincimento, se correttamente motivato, anche sulla base in via esclusiva di presunzioni, laddove gravi, precise e concordanti, individuando quali fonti di prova, tra quelle sottoposte al suo esame, porre a fondamento della sua decisione, controllandone l'attendibilità.

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