Il punto sulla revocabilità dell’atto di scissione societaria

Marco Terenghi
11 Settembre 2017

Deve ritenersi assoggettabile a revocatoria (ordinaria o fallimentare) la scissione societaria, poiché la struttura di tale operazione consente la declaratoria di inefficacia del trasferimento patrimoniale che ne scaturisce, senza incidere sugli aspetti soggettivi e organizzativi delle società interessate. L'opposizione dei creditori alla deliberazione di scissione (artt. 2504-quater, 2506-ter, ultimo comma, c.c.) non costituisce norma di diritto speciale societario elidente l'applicabilità della norma generale di cui all'art. 2901 c.c.
Massima

Alla scissione è strutturalmente connaturata l'oggettiva riduzione del patrimonio della società che resta direttamente debitrice, con la conseguenza per cui la diminuzione della garanzia non è una mera eventualità, ma un effetto naturale dell'operazione. La scissione, quindi, è per sua natura un atto in grado di incidere sulla consistenza della garanzia rappresentata dal patrimonio del debitore, e conseguentemente di arrecare pregiudizio ai creditori di quest'ultimo.

Deve ritenersi assoggettabile a revocatoria (ordinaria o fallimentare) la scissione societaria, poiché la struttura di tale operazione consente la declaratoria di inefficacia del trasferimento patrimoniale che ne scaturisce, senza incidere sugli aspetti soggettivi e organizzativi delle società interessate. Attraverso la revocatoria, infatti, non si mira a ricostituire l'assetto societario preesistente all'atto di scissione, ma a reintegrare la garanzia patrimoniale del debitore incisa da quest'ultimo, mediante la declaratoria di inefficacia dei trasferimenti patrimoniali scaturiti dalla stessa.

L'opposizione dei creditori alla deliberazione di scissione (artt. 2504-quater, 2506-ter, ultimo comma, c.c.) non costituisce norma di diritto speciale societario elidente l'applicabilità della norma generale di cui all'art. 2901 c.c.

Il compimento di un atto di disposizione del proprio patrimonio da parte di un condebitore solidale, comportante diminuzione della garanzia di cui all'art. 2740 c.c., facoltizza il creditore ad esercitare l'azione revocatoria, a nulla rilevando che i patrimoni degli altri coobbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l'adempimento, poiché la solidarietà dal lato passivo per l'adempimento di obbligazione pecuniaria determina una pluralità di rapporti giuridici di credito-debito tra loro distinti ed autonomi tra il creditore ed ogni singolo debitore solidale ed aventi in comune solo l'oggetto della prestazione, tanto che il creditore ha la facoltà di scegliere il condebitore solidale cui chiedere l'integrale adempimento, con la conseguenza che la garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740 c.c. grava sul patrimonio di ciascun coobbligato, separatamente e per l'intero credito.

L'eventus damni rilevante ai fini della revocatoria ordinaria non é limitato alla sola riduzione quantitativa della garanzia patrimoniale, ma può consistere anche nella maggiore difficoltà o incertezza della riscossione del credito, di modo che possa costituire pregiudizio alle ragioni del creditore rilevante agli effetti della domanda di revoca anche la sottoposizione delle sue ragioni all'eventuale beneficium excussionis riconosciuto dalla legge.

Il caso

Una società a responsabilità limitata, gravata da numerosi ed ingenti debiti scaduti, delibera ed attua un'operazione di scissione parziale, attraverso la quale una cospicua parte del suo patrimonio immobiliare, perlopiù già ipotecato a beneficio di alcuni istituti bancari, viene assegnata ad un'altra s.r.l. di nuova costituzione, partecipata dai medesimi soci della società scissa ed avente lo stesso amministratore di quest'ultima, nonché identica sede sociale. A distanza di oltre un anno dall'esecuzione della scissione la società scissa viene dichiarata fallita, ed il curatore fallimentare promuove contro la beneficiaria un'azione revocatoria ordinaria, chiedendo la revoca dell'atto e la condanna della convenuta alla restituzione, in favore della massa, dei beni trasferiti, o comunque del loro controvalore; in subordine, la curatela chiede la condanna della controparte al pagamento dei debiti della società fallita, nei limiti e con le modalità di cui all'art. 2506-quater, comma 3, c.c.. La convenuta, nella sostanza, non contesta gli elementi di fatto prospettati dal curatore, pur sostenendone l'inidoneità a concretare gli elementi costitutivi della revocatoria (eventus damni, consilium fraudis, scientia fraudis), ma incentra la propria difesa sull'inammissibilità del rimedio dell'azione revocatoria avverso l'atto di scissione societaria, rispetto al quale, a suo dire, sarebbero unicamente configurabili gli strumenti sanzionatori tipizzati dagli artt. 2506 e seguenti c.c., ed in particolare la responsabilità solidale delle società coinvolte nella scissione (art. 2506-quater, ultimo comma, c.c.) e l'azione risarcitoria accordata ai soci ed ai terzi danneggiati dall'operazione (art. 2504-quater c.c., richiamato dall'art. 2506-ter, ultimo comma, c.c.). Nel merito, la società scissa contesta poi la sussistenza di un danno effettivo per i propri creditori, in quanto la porzione di patrimonio trasferita aveva ad oggetto immobili gravati da ipoteche per importo pari al loro valore, come tali già “sottratti” alle aspettative della massa dei creditori e destinati unicamente a soddisfare gli istituti bancari beneficiari delle garanzie ipotecarie presenti sui beni.

Il Tribunale di Pescara disattende le prospettazioni della convenuta, sia in tema di inammissibilità che di infondatezza dell'azione, e nell'accogliere parzialmente la domanda del Fallimento attore prende in esame i contrapposti orientamenti finora consolidatisi in tema di revocabilità dell'atto di scissione, passando minuziosamente in rassegna le ragioni solitamente addotte dalla tesi contraria e procedendo ad una loro puntuale confutazione, secondo un iter argomentativo ampiamente condivisibile.

Le questioni giuridiche e le relative soluzioni

La complessità e la specificità degli argomenti trattati dalla pronuncia in commento richiedono una loro breve esposizione per singoli punti.

La scissione: profili generali.

Attraverso la scissione, come noto, una società assegna tutto o parte del proprio patrimonio ad una o più società preesistenti (c.d. scissione “aggregativa”) o di nuova costituzione, le cui quote o azioni vengono contestualmente attribuite ai soci della società scissa (G. Cabras, La scissione delle società, in Foro it. 1992, V, 270 e segg.; G. Scognamiglio, Le scissioni, in Trattato delle società per azioni diretto da G.E. Colombo e da G.B. Portale, Torino, 2004; F. Magliulo, La scissione delle società, Milano, 2012; R. Dini, Scissioni – strutture, forme e funzioni, Torino, 2008). Si ha scissione “propria” o “totalitaria” quando l'ente scindendo da luogo a plurime nuove società, mentre viene definita “scissione mediante incorporazione” il fenomeno inverso, dove la realtà societaria interessata viene assorbita da più società preesistenti (in un rapporto speculare rispetto alla fusione c.d. “propria” ed a quella mediante incorporazione). In entrambi i casi si tende tradizionalmente a configurare una vera e propria estinzione della società scindenda (U. Belviso, La fattispecie della scissione, in Studi in onore di Gastone Cottino, Padova, 1997, 1438 e segg.; G. Oppo, Fusione e scissione delle società secondo il d. leg. 1991 n. 22: profili generali, in Riv. dir. civ. 1991, II, 505), anche se il tenore testuale dell'art. 2506, comma 3, c.c., accredita in realtà il verificarsi di uno “scioglimento senza liquidazione”. Laddove, invece, la società oggetto di scissione assegni solo una parte del suo patrimonio (ad una o più società vuoi preesistenti, vuoi di nuova costituzione), si parla di scissione “parziale” o “impropria”, caratterizzata dalla continuazione dell'attività, seppur in forma ridotta o comunque diversa, in capo all'ente scisso.

Al di là delle varie forme in cui può concretamente articolarsi, la scissione risulta dunque caratterizzata in via prioritaria, anche in forza della sua definizione normativa (cfr. art. 2506 c.c.), dalla dislocazione del patrimonio della società scindenda, totalmente o parzialmente, presso una o più società diverse, preesistenti o neo costituite: la sua connotazione più evidente, quindi, è quella della disgregazione patrimoniale dell'ente interessato a beneficio di altri soggetti societari, a fronte della quale i soci del primo ottengono una partecipazione in questi ultimi. Lo smembramento del patrimonio della società interessata dalla scissione non trova quindi una sorta di contropartita, o di “controprestazione” in senso lato, nell'acquisizione di una partecipazione diretta da parte della società stessa in quelle beneficiarie, che si ponga in un rapporto tendenzialmente sinallagmatico con il trasferimento patrimoniale: laddove ciò accada non si parla infatti di scissione vera e propria, bensì di “scorporo”, istituto ad oggi privo di una disciplina tipica, la cui ammissibilità nell'ordinamento societario risulta ancora oggetto di marcati contrasti a livello interpretativo (a favore M. Maugeri, L'introduzione della scissione di società nell'ordinamento italiano, in Giur. Comm. 1991, I, 749 e segg.; P. Lucarelli, La scissione di società, Torino, 1999, 311 e segg.; E. Timpano, La trasformazione, in Riv. Not. 2013, 124; contra A. Serra, in A. Serra-M.S. Spolidoro, Fusioni e scissioni di società, Torino, 1994, 199).

Se le premesse di cui sopra sono vere, appare dunque inevitabile concludere che il tratto saliente della scissione va ravvisato nella “oggettiva riduzione del patrimonio della società che resta direttamente debitrice” (così F. Fimmanò, Scissione e responsabilità “sussidiaria” per i debito sociali non soddisfatti, in Soc. 2002, 1379; S. Marzo, La revocabilità della scissione societaria, in questo portale), tale per cui la diminuzione della garanzia di cui all'art. 2740 c.c. non rappresenta una semplice eventualità, bensì l'effetto naturale dell'operazione.

Un'ulteriore conferma di tale conclusione si rinviene nelle tutele che l'ordinamento appresta in favore dei creditori delle società coinvolte nella scissione, i quali da un lato possono opporsi preventivamente all'operazione (art. 2506-ter, ultimo comma, c.c., che richiama l'omologo art. 2503 c.c. in tema di fusione), e dall'altro sono titolari (insieme ai soci ed ai terzi in generale) di un'azione risarcitoria per equivalente con riferimento ai danni patiti a seguito della scissione (art. 2504-quater c.c., sempre richiamato dall'art. 2506-ter c.c.); a ciò si aggiunge la responsabilità solidale prevista dall'art. 2506-quater, ultimo comma, c.c., che vincola ciascuna società coinvolta nell'operazione, entro i limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, per i debiti della società scissa non soddisfatti dal soggetto cui gli stessi fanno carico. Esiste, quindi, un apparato di garanzie modulato secondo le cadenze di una fattispecie a formazione progressiva quale la scissione, dove al ceto creditorio viene riconosciuta una pluralità di iniziative tendenzialmente correlate ad ogni singola fase del procedimento, ed attivabili in modo autonomo l'una rispetto all'altra (ad esempio, la mancata opposizione all'operazione da parte di un creditore non gli preclude la possibilità di rivalersi nei confronti di ciascuna delle società partecipanti, entro i limiti del valore effettivo del patrimonio netto loro attribuito: si vedano Trib. Milano 23 aprile 2015, in Giur. it. 2015, 7, 1650; Trib. Milano 19 dicembre 2012, ivi, 2013, 6, 1327).

L'esistenza di una tutela diffusa e “progressiva” nella dinamica strutturale della scissione si spiega con il principio introdotto dall'art. 2506-ter, comma 5, c.c. attraverso il richiamo all'art. 2504-quater, comma 1, che sancisce l'effetto preclusivo proprio dell'iscrizione dell'atto di fusione (o scissione), in forza del quale l'invalidità dell'atto non può più essere pronunciata dopo l'esecuzione della formalità in questione. Si parla comunemente, al riguardo, di “irregredibilità degli effetti della scissione”, intesa come espressione dell'esigenza di preservare la stabilità dell'organizzazione societaria risultante dall'attuazione dell'operazione (così Marzo, La revocabilità, cit., 5), che non è suscettibile di venire posta in discussione dopo la stipulazione e l'iscrizione del relativo atto.

Il riferimento all'aspetto “organizzativo” sotteso alla progettazione ed all'esecuzione di una scissione vale peraltro ad introdurre una possibile forma di ricostruzione dell'istituto diversa da quella eminentemente “traslativa” accennata in precedenza, che potremmo definire “strutturalista”. Sulla falsariga di quanto elaborato a proposito della fusione, infatti, una nutrita serie di interpreti ravvisa nella scissione una mera modificazione dell'atto costitutivo, diretta a determinare la continuazione dell'attività ad opera delle compagini sociali che hanno deliberato l'operazione e la prosecuzione dell'originario rapporto di partecipazione sociale (A. Serra, in Serra-Spolidoro, Fusioni e scissioni, cit., 204; P. Ferro Luzzi, La nozione di scissione, in Giur. comm. 1991, I, 1065; M. Lamandini, Riflessioni in materia di scissione “parziale” di società, in Giur. Comm. 1992, I, 512; E. Paolini, La scissione delle società, in Trattato Schiano Di Pepe, Milano, 1999, 295 e segg.; G. Bavetta, La scissione nel sistema delle modificazioni societarie, in Giur. Comm. 1994, I, 357; P. Lucarelli, La scissione, cit., 155). In quest'ottica, la scissione opera essenzialmente a livello dell'organizzazione societaria, riallocando le strutture produttive dei soggetti coinvolti sia attraverso la loro frammentazione, sia mediante la loro aggregazione, senza determinare fenomeni estintivi o costitutivi (i quali rappresentano semplici mezzi formali per consentire le modifiche al contratto sociale originario) e senza necessariamente presentarsi quale mezzo di trasferimento degli assets aziendali (non a caso, secondo i fautori di questa tesi, la riforma del D. Lgs. n. 6/2003 ha espunto dalla formulazione della norma i concetti di “trasferimento” e “società trasferente”, sostituendoli con quello più anodino di “assegnazione”: AA.VV., in Riv. Not. 2012, 137, nota a Cass. 11/19595, Cass. 11/15301). Attraverso tale impostazione, in definitiva, viene sminuito l'aspetto più propriamente traslativo del fenomeno scissorio (sul quale, invece, insistono U. Belviso, La fattispecie della scissione, in Giur. Comm. 1993, I, 538 ed in Studi Cottino, cit., 1434 e segg.; A. Picciau, Scissione di società e trasferimento di azienda, in Riv. Soc. 1995, 1201 e Commento all'art. 2506 c.c., in Commentario alla riforma delle società, diretto da P.G., Milano, 2006, 1040 e segg.; A. Magrì, Natura ed effetti delle scissioni societarie: profili civilistici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, 12. In giurisprudenza, tra le più recenti, si veda Cass. Civ., Sez. I, 13 aprile 2012, n. 5874), che viene ad assumere un significato quasi “neutro” all'interno dei contorni dell'operazione, poiché nella visione “riorganizzativa” gli assets aziendali rimangono pur sempre nella disponibilità delle società interessate all'operazione, ancorché diversamente riallocati e ridistribuiti dall'una all'altra. Una conferma di tale “neutralità”, secondo i suoi sostenitori, deriverebbe dal fatto per cui ogni soggetto interessato alla scissione è solidalmente responsabile per i debiti della società scissa entro la quota di patrimonio netto assegnatagli, così da acquisire non solo elementi patrimoniali attivi, ma anche passivi, tali da elidersi gli uni con gli altri. Come avremo modo di vedere nel prosieguo, peraltro, il rischio concettuale sotteso ad un simile schema interpretativo è quello di sottovalutare, se non addirittura marginalizzare, la deminutio patrimoniale che la società scindenda oggettivamente subisce con l'attuazione dell'operazione, con la conseguenza per cui non sarebbe concepibile alcun effettivo “atto dispositivo” né alcun reale eventus damni nell'ottica di un'eventuale revocatoria esperita contro un atto di scissione.

Gli indubbi elementi di verità contenuti tanto nella teoria “traslativa” quanto in quella “strutturalista” hanno recentemente indotto gli interpreti a ricercare una mediazione tra i due piani, nell'intento di evitare una sterile contrapposizione dogmatica e di valorizzare nel contempo la peculiarità dell'istituto della scissione, innegabilmente caratterizzato al tempo stesso sia da una volontà di riordino delle componenti aziendali attraverso la modifica dell'originario atto costitutivo, sia da una serie di momenti dislocativi/traslativi/modificativi del patrimonio delle varie società coinvolte, che singolarmente considerati non possono non rivestire importanza sotto il profilo dell'alterazione della garanzia prevista in via generale dall'art. 2740 c.c. (così A. Bertolotti, Scissione delle società, in Commentario del codice civile e codici collegati Scialoja-Branca-Galgano, Bologna, 2015, 95; M. Sarale, Le scissioni, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, vol. 5, t. 2, Le operazioni societarie straordinarie, Padova, 2011, 669). La stessa Corte di Cassazione, d'altra parte, ha ripetutamente evidenziato che nella scissione coesistono effetti traslativi accanto a profili di modificazione statutaria ispirati ad intenti di riorganizzazione aziendale, per quanto le conseguenze pratiche determinate dai primi finiscano per avere normalmente una rilevanza maggiore nell'ambito giudiziale rispetto ai secondi (si vedano in particolare Cass. Civ., Sez. I, 13 aprile 2012, n. 5874 e Cass. Civ. Sez. Lav., 6 ottobre 1998, n. 9897, la prima delle quali relativa ad un'ipotesi di scissione parziale).

Scissione ed azione revocatoria.

Alla luce di simili premesse, non stupisce che l'assoggettabilità della scissione all'azione revocatoria (ordinaria e fallimentare) rappresenti ad oggi una questione ancora aperta, anche perché in assenza di riferimenti normativi puntuali e di precedenti specifici della Suprema Corte (perlomeno in materia civile, posto che le Sezioni Penali hanno ripetutamente ravvisato il delitto di bancarotta fraudolenta distruttiva nel caso in cui gli amministratori trasferiscano tutti gli elementi attivi della società scissa a favore della beneficiaria ed in pregiudizio dei creditori della prima: Cass. Pen. n. 13522/2015; Cass. Pen. n. 42272/2014), i giudici di merito hanno finito per consolidare due orientamenti tra loro antitetici circa la sua ammissibilità.

Come la pronuncia in commento puntualmente osserva, l'opinione che nega la revocabilità dell'atto di scissione (sostenuta in particolare, nelle decisioni più recenti, da Trib. Bologna 1 aprile 2016; Trib. Forlì 4 febbraio 2016; Trib. Modena 22 gennaio 2016; Trib. Roma 19 ottobre 2015; Trib. Napoli 18 febbraio 2013, in Giur. comm. 2014, 6, II, 1040, con nota di L. Rivieccio, Tutela dei creditori sociali tra azione revocatoria e scissione societaria; Trib. Modena 22 gennaio 2010; più risalente Trib. Roma 11 gennaio 2001) si fonda essenzialmente su tre argomenti, sintetizzabili come segue:

a) la scissione non determina, a carico della società scissa, una riduzione del patrimonio, e non può quindi venire ricompresa tra gli atti di disposizione cui si riferisce l'art. 2901 c.c.; essa, per contro, si risolve in una mera operazione di riordino degli assets aziendali e di modificazione degli atti costitutivi iniziali delle varie società partecipanti (così, in particolare, Trib. Roma 19 ottobre 2015, cit., e Trib. Bologna 1 aprile 2016, cit.);

b) l'art. 2506-ter, comma 5, c.c., nel richiamare l'art. 2504-quater, comma 1, c.c. in materia di scissione, stabilisce che una volta iscritto l'atto di scissione nel registro delle imprese, la sua invalidità non può più essere pronunciata; tale principio, introdotto per garantire la definitiva stabilità degli effetti della scissione e dell'assetto societario da questa risultante, esclude quindi che questi ultimi possano venire riconsiderati all'esito di una sentenza di revoca ai sensi degli artt. 2901 segg. c.c., 66 l.fall. (Trib. Bologna 1 aprile 2016, cit.; Trib. Napoli 18 febbraio 2013, cit. In dottrina, F. Magliulo, L'inammissibilità dell'esercizio dell'azione revocatoria nei confronti della scissione, in Nuovo dir. soc., 2014; L. Rivieccio, Tutela dei creditori sociali tra azione revocatoria e scissione societaria, cit.; D. Davigo, Brevi spunti su alcune questioni relative alla ammissibilità dell'azione revocatoria fallimentare dell'atto di scissione, in Giur. Comm. 2007, II, 266);

c) la disciplina della scissione deve considerarsi “autosufficiente” e “non eterointegrabile” attraverso richiami a strumenti generali di tutela lato sensu reale del ceto creditorio quale l'azione revocatoria, poiché declina al suo interno una serie di iniziative attraverso le quali i creditori possono adeguatamente intervenire nella dinamica dell'operazione al fine di proteggere i propri interessi: il potere di opposizione alla delibera di scissione di cui all'art. 2503 c.c., richiamato dall'art. 2506-ter c.c.; il regime di responsabilità solidale di ciascuna delle società partecipanti alla fusione per i debiti della società scissa, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto assegnato o rimasto, sancito dall'art. 2506-quater, ultimo comma, c.c.; il diritto dei soci e dei terzi pregiudicati dalla scissione ad ottenere il risarcimento dei danni subiti, garantito dall'art. 2504-quater, comma 2, c.c., richiamato dall'ultimo comma dell'art. 2506-ter c.c. (Trib. Roma 19 ottobre 2015, cit. In dottrina A. Picchione, L'incompatibilità dell'azione revocatoria con la scissione di società, in Gazz. For. 2014, 18; L. Rivieccio, Tutela dei creditori sociali, cit., 1050).

A dire il vero, però, nessuno degli argomenti addotti per negare la revocabilità della scissione può considerarsi realmente inoppugnabile, come il contrapposto orientamento di merito, cui il Tribunale di Pescare aderisce, ha avuto modo di puntualizzare (si vedano Trib. Roma (cautelare ante causam) 16 agosto 2016; Trib. Venezia 5 febbraio 2016; Trib. Benevento 17 settembre 2012; Trib. Palermo 25 maggio 2012; Trib. Catania 9 maggio 2012; Trib. Livorno 2 settembre 2003, in Il Fall., 2004, 1138, con nota critica di F. Montaldo, Scissione societaria e revocatoria fallimentare; Trib. Palermo (ord.) 24 gennaio 2004).

a) Appare francamente insostenibile, anzitutto, affermare che la scissione non comporterebbe il trasferimento a terzi di assets della società scissa, ed una conseguente deminutio patrimoniale di quest'ultima non “compensata” da controattribuzioni a carattere sinallagmatico (cosa che avverrebbe, invece, laddove le azioni o quote delle società beneficiarie venissero direttamente attribuite al soggetto scisso anziché ai soci di quest'ultimo). E' pur vero che l'operazione potrebbe avere ad oggetto, ad esempio, beni immobili gravati da ipoteche per importo pari al loro valore (come accaduto nel caso di specie), così da far ipotizzare una sorta di “sterilizzazione” dell'effetto ablativo dei cespiti trasferiti; è altrettanto innegabile, peraltro, che nell'ottica della revocatoria l'eventus damni va delibato in termini di potenzialità lesiva, vale a dire di proiezione verso il futuro dell'idoneità a risultare pregiudizievole per il disponente (cfr. Cass. civ., n. 11892/2016), in quanto il debito correlato alla garanzia reale potrebbe comunque ridursi prima dell'azione espropriativa del creditore, o addirittura estinguersi anche per l'intervento di terzi, causando così un danno effettivo al ceto creditorio del tradens.

Sotto un distinto profilo, la riduzione del patrimonio derivante dalla scissione non può venire completamente spiegata (e quindi legittimata) attraverso il ricorso alle teorie “strutturaliste” viste in precedenza, che ravvisano nell'istituto un mero strumento per la riallocazione degli assets aziendali e per la modifica dei contratti sociali inizialmente stipulati, poiché la finalità riorganizzativa non è incompatibile con l'effetto traslativo dei cespiti riallocati, come le citate pronunce della Corte di Cassazione hanno avuto modo di chiarire in modo assai esplicito (Cass. 5874/2012, cit.; Cass. Civ., Sez. Lavoro, n. 9897/1998). Pertanto, invocare la “neutralità” della scissione sulla falsariga della tesi che la relega ad un semplice mezzo di riordino della struttura di uno o più enti societari non può avere l'effetto di sterilizzarne la componente evidentemente ablativa della parte di patrimonio (o dell'intero, in caso di scissione “totale”) destinata alle società beneficiarie (S. Marzo, cit., 8 e segg.).

b) Maggiore spessore presenta l'argomento comunemente identificato con la c.d. “irregredibilità” degli effetti della scissione, per il quale l'avvenuta iscrizione dell'atto di scissione ne preclude successivamente ogni possibile declaratoria di invalidità (art. 2504-quater c.c. richiamato dall'art. 2506-ter c.c.), in ossequio al principio della stabilità dell'assetto societario riveniente dall'operazione e, in ultima analisi, della certezza delle situazioni giuridiche alla stessa conseguenti (in dottrina G. Scognamiglio, Le scissioni, in Trattato delle società per azioni, diretto da E. Colombo e G. Portale, Torino, 2004, vol. 7, t. 2, II, 294). Non appare risolutiva, al riguardo, l'obiezione per cui la norma (dal carattere evidentemente eccezionale, come tale insuscettibile di estensione analogica) si esprime in termini di “invalidità”, e non di “inefficacia”, in tal modo consentendo l'esperimento della revocatoria, che come noto non opera a livello di validità dell'atto impugnato (presupponendola anzi espressamente: si vedano T. Di Marcello, La revoca ordinaria e fallimentare della scissione di società, in Dir. fall. 2006, I, 68; S. D'Ercole, L'azione revocatoria, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Torino, 1998, vol. 20, t. 2, 173) bensì unicamente di sua efficacia nei confronti del creditore attore e/o intervenuto (così Trib. Palermo (ord.), 24 gennaio 2004). La portata della “chiusura” introdotta dall'art. 2504-quater c.c. ha infatti vocazione evidentemente universalistica rispetto ad ogni possibile strumento giudiziale che sia diretto a “smontare” l'operazione scissoria, ragion per cui non avrebbe senso consentire un'iniziativa (la revocatoria) che pone comunque in discussione i presupposti e gli effetti della scissione, negandone invece una diversa (l'azione di invalidità) comunque destinata a farne dichiarare l'illegittimità e, di riflesso, l'inefficacia.

In realtà, il punto debole della tesi dell'irretrattabilità risiede nella non corretta valutazione, da parte dei suoi sostenitori, degli effetti della revoca dell'atto di scissione. Questi ultimi, infatti, hanno contenuto esclusivamente patrimoniale ed attengono alla sola componente traslativa dell'operazione, in forza della quale la società scissa destina in tutto o in parte il proprio patrimonio a terzi soggetti, ripristinando così l'integrità iniziale della garanzia ex art. 2740 c.c.. Per contro, la pronuncia di inefficacia ex art. 2901 c.c. non va ad impattare sul nuovo assetto societario ed aziendale susseguente alla scissione, né tantomeno a ripristinare lo status quo ante, lasciando quindi inalterata la situazione risultante dall'attuazione dell'iniziativa scissoria: il carattere relativo della revoca consente infatti al creditore (o alla massa dei creditori) anteriore all'operazione di soddisfarsi esecutivamente sui cespiti trasferiti, senza compromettere la stabilità societaria e l'aspetto organizzativo dell'iniziativa (si veda Trib. Palermo, 25 maggio 2012; T. Marcello, La revoca ordinaria e fallimentare, cit., 68; M. Pasquini, Commento all'art. 2504-quater c.c., in Commentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, Torino, 2015, Delle società, dell'azienda, della concorrenza, artt. 2452-2510).

c) Infine, nemmeno l'ultimo degli argomenti addotti per negare la revocabilità della scissione, vale a dire l'esistenza di un sistema di tutela “endosocietario” autosufficiente ed a carattere obbligatorio, apprestato per i creditori anteriori all'operazione, risulta dirimente all'esito di un'analisi di tipo sistematico, e rivela anzi più di un'aporia.

Anzitutto, mentre l'azione revocatoria (in particolare quella fallimentare) è strutturalmente concepita a garanzia di tutti i creditori, sia con titolo anteriore all'atto dispositivo, sia successivo a quest'ultimo, almeno due dei rimedi tipici della scissione (l'opposizione alla delibera e la responsabilità solidale delle società partecipanti) vengono espressamente riservati ai soli creditori anteriori, lasciando così sguarniti di tutela quelli posteriori, i quali possono contare esclusivamente sull'azione risarcitoria di cui all'art. 2506-ter c.c. (si vedano Trib. Venezia 5 febbraio 2016, cit.; Trib. Catania 9 maggio 2012; P.D. Beltrami, La legittimazione attiva dei creditori all'azione risarcitoria ex artt. 2504-quater c.c., in Riv. Soc. 2002, 1123; S. Marzo, La revocabilità, cit.. Secondo Trib. Bologna 13 febbraio 2015, in Il Fallimento,2016, 120, tuttavia, il curatore del fallimento della società scissa non sarebbe legittimato all'azione in oggetto, in quanto portatore degli interessi della massa dei creditori della società stessa, e come tale soggetto diverso rispetto alla categoria dei soci o dei terzi danneggiati dall'operazione). Va poi soggiunto che l'opposizione alla delibera rappresenta uno strumento di attivazione difficile ed onerosa (D. Galletti, Scissione negativa e valutazione dell'insolvenza, in IlFallimentatrista. A.I. Baratta-G. Sancetta, La revocabilità dell'atto di scissione societaria, in IlFallimentarista, poiché presuppone che il creditore della scindenda eserciti una costante attività di controllo sulla propria debitrice attraverso periodiche consultazioni del Registro delle Imprese, compia un'analisi degli elementi attivi e passivi destinati dal progetto di scissione alle beneficiarie, ed infine promuova un giudizio dal contenuto tecnicamente complesso e dall'esito oltremodo incerto anche sotto il profilo cautelare, oltreché costoso (la necessità di una consulenza tecnica d'ufficio è infatti pressoché ineludibile, considerata la materia).

L'azione risarcitoria, poi, appare decisamente meno efficace rispetto ad uno strumento di tutela “reale” come la revocatoria, poiché quest'ultima non trova limitazioni quantitative di sorta, mentre la prima viene normativamente contenuta entro il valore del patrimonio netto assegnato o rimasto a ciascun soggetto coinvolto (si veda Trib. Benevento, 17 settembre 2012), e soprattutto in quanto costringe i creditori della società scissa a concorrere con quelli della beneficiaria, sempre fino a concorrenza del patrimonio netto ad essa trasferito (si vedano C. Angelici, La revocatoria della scissione nella giurisprudenza, in Riv. dir. comm. 2014, II, 130; S. Marzo, La revocabilità, cit.); attraverso la revoca, invece, il creditore attore può soddisfarsi direttamente sui beni oggetto dell'atto dispositivo dichiarato inefficace, con preferenza rispetto ai creditori di colui che ha acquistato.

Non va dimenticato, infine, che la segmentazione degli assets della società scissa tra una pluralità di enti, pur tra loro solidalmente responsabili, pone il creditore nella necessità di aggredirne più di uno laddove la quota di patrimonio netto assegnata al singolo non risulti sufficiente a soddisfarne pienamente le ragioni. Ciò costituisce, per giurisprudenza costante, una delle possibili estrinsecazioni dell'eventus damni in ambito revocatorio, il quale ricorre anche laddove l'atto dispositivo determini, a carico del creditore, una “maggiore incertezza o difficoltà nella soddisfazione del credito” o un aggravamento dell'insufficienza dei beni del debitore a costituire un'idonea garanzia patrimoniale (si vedano, tra le molte, Cass., Sez. II, 3 febbraio 2015, n. 1902; Cass., Sez. I, 4 settembre 2009, n. 19234).

In definitiva, nessuno degli argomenti addotti per sostenere l'irrevocabilità dell'atto di scissione sembra reggere ad un'analisi critica, con la conseguenza per cui l'astratta predicabilità della revocatoria (ordinaria e fallimentare) non può ritenersi fondatamente oppugnabile, anche perché non esiste comunque nessun indice normativo che ne esclude espressamente l'esperibilità (anzi, come già visto, è semmai il contrario, in quanto il tenore testuale dell'art. 2504-quater c.c., richiamato dall'art. 2506-ter, ultimo comma, c.c., preclude una pronuncia di invalidità dell'atto di scissione, ma non anche di inefficacia). L'elemento ricostruttivo più convincente, al riguardo, è quello che valorizza la natura esclusivamente patrimoniale degli effetti derivanti dalla revoca della scissione a carico delle società coinvolte, sterilizzandone al contempo i riflessi sul piano organizzativo e statutario proprio di queste ultime: la sentenza che accoglie la domanda revocatoria consentirà infatti al creditore (o al curatore) di soddisfarsi sui beni trasferiti alla società beneficiaria come se essi non fossero mai fuoriusciti dalla sfera patrimoniale di quella scissa (c.d. inefficacia relativa), e quindi oltre il limite del patrimonio netto attribuito, ma non avrà l'effetto di ripristinare lo status quo ante a livello, per esempio, di inesistenza delle entità societarie venutesi a creare con l'attuazione della scissione (F. Denozza, La scissione di società, in Impresa e società. Nuove tecniche comunitarie, Milano, 1992, 87 e segg.; A. Serra in A.Serra-M.S. Spolidoro, cit., 230; contra A. Bertolotti, Scissione delle società,cit., 96; Scognamiglio, Le scissioni, cit., 293).

Potrebbe istintivamente sollevarsi qualche dubbio di ammissibilità, su questo versante, per l'ipotesi di scissione “propria” o “totalitaria”, dove la società scissa va incontro ad uno scioglimento senza liquidazione che dalla maggioranza degli interpreti viene ricondotto, quoad effectum, ad una vera e propria estinzione. Il verificarsi di quest'ultima, a giudizio di taluni, determinerebbe infatti il venir meno del soggetto debitore e disponente (il cui patrimonio la revocatoria ha l'obiettivo di ricostituire), e renderebbe quindi impossibile il radicamento del contraddittorio nei suoi confronti in ambito processuale, adombrando così profili di inammissibilità dell'azione (così G. Rago, Manuale della revocatoria fallimentare. Profili sistematici di dottrina e giurisprudenza, Padova, 2006, 217). Si tratta peraltro di un rilievo superabile in chiave sistematica, poiché nessuno giungerebbe, ad esempio, a sostenere l'improponibilità della revocatoria in relazione ad un atto dispositivo posto in essere da una persona fisica, per il solo fatto che quest'ultima sia nel frattempo defunta, potendo ovviamente essere convenuti in suo luogo i suoi successori; nel caso della scissione totalitaria, quindi, legittimati passivi rispetto ala domanda del creditore (o della massa) ben possono venire considerate le società coinvolte nella scissione, oltre ovviamente a quella direttamente avvantaggiata dal trasferimento patrimoniale posto in essere dal quella scissa e venuta meno.

Vi è poi un'ulteriore osservazione di carattere soprattutto pratico, che rafforza la convinzione per cui la tutela di natura essenzialmente obbligatoria, apprestata dal “microsistema” di norme endogeno rispetto alla disciplina della scissione, lascia scoperti alcuni profili di intervento particolarmente importanti nell'interesse dei creditori, soprattutto di quelli anteriori all'operazione. Gli strumenti di matrice esclusivamente societaria (opposizione alla delibera, responsabilità solidale, azione risarcitoria), infatti, sembrano presupporre una dimensione sostanzialmente “fisiologica” della materia scissoria, e si pongono quale modalità di reazione eminentemente “tecnica” rispetto ad un'iniziativa sì difforme nei suoi contenuti dal modello legale, ma quantomeno conforme alla causa economico-sociale tipica dell'istituto, ravvisabile nella necessità di riorganizzazione aziendale finalizzata al miglioramento della gestione economica o della situazione finanziaria (cfr. A.I. Baratta-G. Sancetta, La revocabilità, cit.). Senonché, l'osservazione della realtà giudiziale dimostra che molto spesso il ricorso alla scissione non è correlato ad uno degli obiettivi sopra tratteggiati, ma nelle intenzioni dei suoi ideatori costituisce unicamente il modo per eludere in via indiretta il principio della responsabilità patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c., attraverso schemi operativi dove alle beneficiarie vengono trasferiti gli assets economicamente più appetibili, mentre alla scissa rimangono cespiti di scarso valore, soprattutto in ottica prospettica (si pensi al caso dell'attribuzione alle newco di immobili ed attrezzature, e della ritenzione in capo alla “società-madre” di beni immateriali quali marchi e segni distintivi, destinati ad un rapido deprezzamento: T. Di Marcello, La revocatoria ordinaria e fallimentare, cit., 63). Una simile deviazione dalla causa concreta propria dell'istituto, che determina in ultima analisi un suo utilizzo in chiave sostanzialmente abusiva a danno della massa dei creditori, non può trovare un'adeguata sanzione nei rimedi di natura essenzialmente obbligatoria previsti dalla disciplina propria della scissione, ma richiede una tutela lato sensu “reale” quale quella apprestata dalla revocatoria, la quale, ferma restando la nuova struttura societaria ed aziendale derivante dall'attuazione dell'operazione, inertizza gli effetti patrimoniali di quest'ultima consentendo al creditore attore di espropriare i beni pervenuti alla beneficiaria come se questi ultimi non fossero mai fuoriusciti dalla sfera patrimoniale della scissa.

Rimane da segnalare, nell'ottica della disciplina specifica della revocatoria e dei presupposti di sua ammissibilità, che la scissione si pone quale atto a titolo oneroso ogniqualvolta la frazione di patrimonio attribuita alle società beneficiarie contenga sia elementi attivi (beni, crediti), sia elementi passivi (le correlative passività o i corrispettivi debiti), in una sorta di “bilanciamento” intrinseco del valore complessivo della quota trasferita (nel caso affrontato dalla pronuncia in commento, ad esempio, gli immobili fuoriusciti dalla sfera patrimoniale della scissa risultavano gravati da ipoteche, che si erano ovviamente trasferite con essi). Ciò, va precisato, pur nel rilievo di fondo per cui non esiste un sinallagma negoziale che possa connettere l'ablazione di una parte del patrimonio della scindenda ad una controprestazione ricevuta da quest'ultima, in quanto, come più volte notato, le azioni o quote delle beneficiarie vengono assegnate ai soci della scissa, e non direttamente a quest'ultima: in tal senso, quindi, la scissione non è mai, almeno in linea di principio, un negozio a titolo oneroso strettamente inteso. Laddove, invece, la porzione di patrimonio oggetto dell'atto dispositivo sia caratterizzata dalla netta prevalenza di elementi attivi rispetto a quelli passivi (come accade, di norma, quando l'operazione viene compiuta per fini estranei alla sua causa negoziale tipica, segnatamente in pregiudizio dei creditori della scissa), la scissione potrà venire considerata, ai fini della revocatoria, un atto a titolo gratuito, con tutte le relative conseguenze in ordine all'atteggiarsi dei requisiti dell'azione, se del caso anche nella sua particolare declinazione ex art. 64 l.fall.. Un completo rovesciamento di scenario si avrebbe infine nell'ipotesi, francamente di scuola, in cui la beneficiaria preesistente ricevesse unicamente elementi patrimoniali negativi, poiché in tal caso interessati e legittimati alla revoca sarebbero i creditori di quest'ultima, e non della scissa, in quanto evidentemente pregiudicati dall'assegnazione di mere passività e dal conseguente necessario concorso con il ceto creditorio della società originariamente debitrice.

Conclusioni

Nel suo allinearsi, dunque, a quell'orientamento giurisprudenziale che ammette la revocatoria (ordinaria e fallimentare) dell'atto di scissione, la pronuncia in commento non può non essere valutata positivamente, poiché da un lato confuta con dovizia di argomentazioni logicamente inoppugnabili tutti gli argomenti normalmente addotti dalla contrapposta tesi negatoria, e dall'altro compie una disamina altrettanto impeccabile in ordine alla sussistenza, nel caso di specie, dei requisiti dell'azione prevista dagli artt. 2901 e segg. c.c., conformandosi pienamente agli insegnamenti più recenti e consolidati espressi al riguardo dalla Suprema Corte.

Va aggiunto, per doverosa completezza, che la fattispecie sottoposta al Tribunale di Pescara aveva ad oggetto una scissione concepita ed attuata in modo evidentemente strumentale, all'unico scopo di porre al riparo dalle iniziative dei creditori i cespiti di maggior valore della società scissa, senza che dietro all'operazione fosse rintracciabile un plausibile programma di ristrutturazione aziendale destinato all'effettivo salvataggio dell'iniziativa imprenditoriale ed al suo rilancio all'insegna di strutture e forme differenti. In questo caso, dunque, dopo avere rigettato le eccezioni preliminari tecnicamente più impegnative (quale, appunto, quella di inammissibilità della revocatoria per i motivi ampiamente esaminati in precedenza), il giudice di merito ha avuto buon gioco nell'accertare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della revocatoria promossa dalla curatela fallimentare della società scissa, dichiarando l'inefficacia relativa dei soli effetti patrimoniali dell'atto di scissione, e non cadendo quindi nell'errore di estendere la pronuncia anche agli aspetti riorganizzativi e statutari dell'operazione, rispetto ai quali può ragionevolmente predicarsi, invece, quella “irretrattabilità” degli effetti cui sono state in parte dedicate le pagine precedenti.