Azione ex art. 2394 c.c.: caratteri generali e termini di prescrizione

Andrea Paganini
09 Maggio 2016

In tema di decorrenza del termine di prescrizione, l'azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. può essere proposta dai creditori sociali – e per essi dal curatore del fallimento – dal momento in cui l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti risulti da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto, non richiedendosi a tal fine che essa risulti da un bilancio patrimoniale approvato dall'assemblea.
Le massime

In tema di decorrenza del termine di prescrizione, l'azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. può essere proposta dai creditori sociali – e per essi dal curatore del fallimento – dal momento in cui l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti risulti da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto, anche senza verifica diretta della contabilità della società, non richiedendosi a tal fine che essa risulti da un bilancio patrimoniale approvato dall'assemblea dei soci.

L'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci di una società di capitali, spettante, ex artt. 2394 e 2407 c.c., ai creditori sociali, ed altresì esercitabile dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall., è soggetta a prescrizione quinquennale decorrente dal momento in cui l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti risulti da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto, non richiedendosi, a tal fine, che essa emerga da un bilancio approvato dall'assemblea.

Ne consegue che, ove ai sindaci sia stata contestata l'omessa vigilanza sull'illegittima riduzione per esuberanza del capitale sociale, che detta insufficienza abbia cagionato, quel termine comincia a decorrere con la relativa delibera assembleare, la quale, in ragione della sua iscrizione presso il Registro delle imprese e della contestuale esecuzione da parte degli amministratori, mediante il rimborso ai soci, costituisce il fatto complessivamente idoneo a rendere noto ai terzi lo squilibrio patrimoniale della società.

Il caso

La vicenda riguarda un'azione di responsabilità promossa da una curatela fallimentare nei confronti dei sindaci di una s.r.l. dichiarata fallita.

Fonte della responsabilità era l'omesso controllo da parte dei sindaci sull'operato degli amministratori con particolare riferimento a una delibera di riduzione del capitale sociale con restituzione ai soci della differenza nonostante le passività sociali e i limiti temporali previsti dall'art. 2445 c.c.

L'azione era qualificata come azione dei creditori sociali ex art. 24072394 c.c., ma la condanna disposta dai giudici di merito viene “sovvertita” dalla Cassazione che ritiene fondata l'eccezione di prescrizione sollevata dai sindaci ricorrenti.

Il caso deciso dalla Corte offre lo spunto per un breve riepilogo delle principali questioni giuridiche discusse in dottrina e in giurisprudenza.

Le questioni giuridiche

L'azione di responsabilità dei creditori sociali. Aspetti generali

L'art. 2394 c.c. - dettato specificamente per le società per azioni - prevede: “gli amministratori (di s.p.a. – n.d.r.) rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti”.

L'azione in esame è legata a due condizioni.

La prima è la presenza di perdite ai danni della società conseguenti alla violazione dei doveri di sorveglianza, di attività e di revisione in capo agli amministratori inerenti alla conservazione del patrimonio sociale.

La seconda è che il patrimonio stesso non sia garanzia sufficiente per i creditori di veder soddisfatte le proprie pretese (secondo alcuni la norma prevedrebbe quindi una sorta di beneficium excussionis in favore degli amministratori tale per cui l'azione potrà essere utilmente perseguita nei loro riguardi solo dopo l'insoddisfacente aggressione del patrimonio sociale - in tal senso G. Cottino, Diritto societario, Padova, 2011, 430).

Analoghe considerazioni valgono per i sindaci.

Per loro in particolare la norma di riferimento è l'art. 2407 c.c. che, al comma 3, stabilisce: “l'azione di responsabilità contro i sindaci è regolata dalle disposizioni degli artt. 2393 e 2394 c.c”.

L'articolo in questione è contenuto nell'ambito della disciplina delle s.p.a., ma è applicabile anche alle s.r.l. in virtù del richiamo espresso operato dall'attuale art. 2477, comma 4, c.c. (prima della riforma del 2004 il rinvio era comunque previsto dall'art. 2488 c.c.).

Nello specifico i sindaci devono adempiere i propri doveri secondo la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico (secondo l'attuale formulazione dell'art. 2407 c.c.) da commisurare anche alla situazione economica concreta della società e alle condizioni della stessa (dimensioni, composizione della compagine sociale, tipologia dell'organo amministrativo). In caso di violazione dei doveri d'ufficio, scatta la responsabilità diretta dei sindaci inadempienti (art. 2407, comma 1, c.c.).

Tuttavia su di essi grava anche una responsabilità concorrente con gli amministratori – come avvenuto nella fattispecie in commento – per i fatti o le omissioni di questi nel caso in cui i sindaci siano venuti meno ai doveri di vigilanza. È necessario inoltre che tra la mancanza e il danno prodotto sussista un nesso di causalità diretta tale per cui se i sindaci avessero correttamente vigilato il danno non si sarebbe prodotto (art. 2407, comma 2, c.c.).

In questo secondo caso i sindaci vengono meno alla funzione generale di controllo sull'amministrazione della società globalmente intesa al fine di assicurare che l'attività sociale venga svolta nel rispetto della legge, dello statuto e dei principi di corretta amministrazione (così riassume Campobasso, Manuale di diritto commerciale, Milano, 2015, 276-279).

Si tratta dunque di una responsabilità non solo concorrente con quella dell'organo gestorio, ma anche solidale, sia nei rapporti con gli amministratori, sia nei rapporti tra i sindaci (così Cass. n. 5444/1991).

La natura dell'azione

Discussa è la natura dell'azione in esame.

Secondo alcuni si tratterebbe di un'azione contrattuale fondata sul generale dovere di protezione dei terzi gravante sugli amministratori ex art. 1173 c.c.

La fattispecie si collocherebbe dunque in quella “zona grigia” di confluenza tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale nella quale, pure in mancanza di un rapporto di natura obbligatoria, trova applicazione in ordine al grado di diligenza richiesto, al riparto degli oneri probatori e alla sussistenza degli elementi soggettivi – il regime proprio della responsabilità contrattuale (in questi termini spiega Meoli, Prescrizione dell'azione di responsabilità dei creditori sociali, in IlFallimento, 2009, 7, 833; si veda anche Di Majo, La tutela civile dei diritti, Milano, 2001, 199).

Per altri sarebbe invece un'azione extracontrattuale ex art. 2043 c.c. in cui la condotta illecita assume il paradigma della “tutela aquiliana del credito”. In questo senso l'azione sarebbe simile a quella prevista dall'art. 2395 c.c. (e, parallelamente, art. 2476, comma 6 per le s.r.l.) con un'importante differenza.

L'art. 2395 c.c. presuppone infatti un'iniziativa individuale del singolo socio o terzo direttamente “leso” (come il 2476, comma 6 c.c. nelle s.r.l.), mentre l'art. 2394 c.c. allude ad un'azione “collettiva” mirata a reintegrare il patrimonio sociale nei limiti della misura dei crediti insoddisfatti (si rimanda per una rapida ricostruzione dell'azione in esame e in generale per le azioni di responsabilità Appunti in tema di responsabilità degli amministratori di s.p.a. e di s.r.l. – orientamenti della sez. VIII civile del Tribunale di Milano, a cura di Dal Moro e Mambriani).

In altre parole la prima servirebbe per risarcire il c.d. “danno diretto” patito nella sfera patrimoniale del singolo (senza che la condotta lesiva abbia inciso sul patrimonio sociale), mentre la seconda risarcirebbe il “danno riflesso” che il creditore sociale indirettamente patisce a causa del depauperamento del patrimonio sociale con conseguente insufficienza dello stesso a garantire l'adempimento dei debiti gravanti sulla società.

I rapporti con l'azione sociale

Ulteriore tema di discussione è se l'azione dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. sia autonoma o meramente surrogatoria dell'azione sociale ex art. 2394 c.c.

Chi sostiene la tesi surrogatoria evidenzia i tratti comuni delle due azioni, cioè la sussistenza di atti di cattiva gestione e le conseguenti ripercussioni sul patrimonio sociale (per tale indirizzo si rimanda a Minervini, Gli amministratori di società per azioni, Milano, 1956, 229; Borgioli, I direttori generali della società, Milano, 1974, 338; Pescatore, Impresa societaria a base capitalistica. Amministrazione e controllo, in Manuale di diritto commerciale, a cura di Buonocore, Torino, V ed., 2004, 264).

Secondo tale impostazione l'art. 2394 c.c. “presuppone non già una responsabilità diretta verso i creditori sociali, bensì una responsabilità verso la società (quale quella nascente dalla violazione del divieto di nuove operazioni posto dall'art. 2449 c.c.), nonché l'inerzia di quest'ultima nel senso considerato dalla legge ai fini della proposizione di un'azione surrogatoria (così Cass. n. 6431/1982).

In realtà l'opinione oggi prevalente tende a sottolineare l'autonomia e indipendenza delle due azioni (in tal senso Cass. n. 13765/2007).

I presupposti fattuali in effetti sembrano simili, ma, mentre l'azione dei creditori è consentita solo se le perdite determinano l'insufficienza patrimoniale, l'azione sociale può essere esperita dalla società nei riguardi dei propri amministratori in presenza di una semplice riduzione del valore del patrimonio (anche non tale da renderlo negativo), ovvero dal suo mancato accrescimento (così spiega Meoli, Prescrizione dell'azione di responsabilità dei creditori sociali, in IlFallimento, 2009, 7, 833).

Gli amministratori pertanto non potranno opporre ai creditori le eccezioni opponibili alla società e quanto corrisposto a titolo di risarcimento danni non spetterà alla società, bensì direttamente ai creditori (in tal senso Campobasso, Manuale di diritto commerciale, Milano, 2015, 271).

Se però, per effetto di un'azione sociale, il patrimonio è stato reintegrato, i creditori non potranno esperire l'azione ex art. 2394 c.c. difettando il requisito dell'insufficienza.

L'esperibilità dell'azione dei creditori sociali nei confronti di amministratori di s.r.l.: la tesi contraria

In tema di società a responsabilità limitata la disciplina delle azioni nei confronti degli amministratori è contenuta oggi nell'art. 2476, comma 1 – post riforma del 2003 – a mente del quale “Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso”. La norma prosegue poi spiegando che la legittimazione attiva spetta a ciascun socio della s.r.l. L'odierno art. 2476 c.c. (a differenza del “vecchio” art. 2487 c.c.) non fa quindi più riferimento al citato art. 2394 c.c.

Tale “mancanza” ha generato ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza.

Secondo alcuni non è più possibile (dopo la riforma del 2003) esperire l'azione dei creditori sociali avverso gli amministratori di s.r.l. (in giurisprudenza si segnalano i precedenti di Trib. S. Angelo dei Lombardi 3 novembre 2009; App. Napoli 28 giugno 2009; Trib. Milano 25 gennaio 2006; Trib. Torino 8 giugno 2011; Trib. Novara 12 gennaio 2010; Trib. S.M. Capua Vetere 18 marzo 2005; in dottrina ex multis Buonocore, La società a responsabilità limitata, in La riforma del diritto societario, a cura di Buonocore, Torino, 2003, 165 ss.; Di Amato, in Aa.Vv. Società a responsabilità limitata, in La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, Milano, 2003, 206).

L'omissione del legislatore sarebbe stata in altre parole una precisa scelta (secondo il noto brocardo ubi lex voluit dixit, ubi nolui tacuit) con la quale si è deciso di espungere l'azione ex art. 2394 c.c. dal novero dei rimedi a difesa dai danni provocati dagli amministratori (a conferma di come l'omissione non sia casuale sarebbe il fatto che la riforma del 2003 ha portato anche all'eliminazione del procedimento ex art. 2409 c.c. da parte dei sindaci di s.r.l. – così osserva G.A. Policaro, Il controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. non si applica alle s.r.l., Il nuovo diritto delle società, 2010, 20, 53 ss.).

Secondo questa impostazione, i creditori di s.r.l. sarebbero già abbondantemente tutelati dal sistema complessivo delineato dall'art. 2476 c.c. e dai principi generali dell'ordinamento senza necessità di invocare norme previste per le s.p.a.

In particolare il terzo comma dell'art. 2476 c.c. legittima l'esperimento dell'azione sociale di responsabilità da parte di ogni singolo socio, senza limiti di partecipazione nella persona giuridica.

Sotto altro profilo il sesto comma dell'art. 2476 c.c. accorda un'azione risarcitoria per i danni provocati dagli amministratori direttamente ai singoli soci o terzi riproducendo le disposizioni di cui all'art. 2395 c.c. per le s.p.a.

Insomma, dal quadro complessivo si potrebbe ritenere che le istanze di tutela dei creditori sociali potrebbero essere “raccolte” di volta in volta in una delle azioni sopra ricordate.

Di fatto, anche in assenza di una previsione legislativa specifica, i creditori sociali potrebbero accertare le responsabilità degli amministratori per atti che hanno intaccato l'integrità del patrimonio sociale agendo in surrogatoria rispetto all'azione di responsabilità spettante alla società stessa, oppure instaurando un'azione di risarcimento ex art. 2043 c.c. per i danni cagionati dagli amministratori in conseguenza della violazione dei loro doveri (così riepiloga Cagnasso, La responsabilità degli amministratori di s.r.l. in La responsabilità di amministratori, sindaci e revisori contabili, a cura di Ambrosini, Milano, 2007, 239).

Alcuni hanno anche osservato che ammettendo l'azione surrogatoria addirittura si accorderebbe ai creditori sociali una tutela ancora più ampia di quella prevista dall'art. 2394 c.c.

Infatti per l'esercizio dell'azione surrogatoria è sufficiente l'inerzia della società e la violazione dei obblighi gestori da parte degli amministratori che abbiano cagionato un danno.

Non sarebbero quindi richieste le condizioni sopra ricordate dell'art. 2394 c.c. e cioè la commissione di atti lesivi dell'integrità del patrimonio sociale e l'insufficienza dello stesso a soddisfare le ragioni creditorie (così osserva Raffaele, La responsabilità degli amministratori verso i creditori nelle s.r.l., in Diritto e Pratica delle Società, 2011, 7/8, 23).

Infine gli oppositori dell'estensione dell'art. 2394 c.c. alle s.r.l. ricordano quanto avviene per le società di persone: anche per queste il legislatore non ha elaborato un'azione sul modello dell'art. 2394 e il rimedio a tutela dei creditori sociali non viene “mutuato” analogicamente dalla disciplina delle società per azioni.

Così dovrebbe avvenire anche per le società a responsabilità limitata.

La tesi favorevole

Secondo altri invece sussistono valide ragioni per ammettere l'azione ex art. 2394 c.c. anche nelle s.r.l.

In primo luogo si è osservato che il paragone sopra richiamato con le società di persone non sarebbe completamente condivisibile.

Tali società infatti non hanno autonomia patrimoniale perfetta (a differenza delle società di capitali) pertanto, in ultima analisi, anche senza l'istituzione di un'azione dei creditori sociali, la tutela di questi ultimi sarebbe comunque garantita dalla responsabilità illimitata dei soci.

Nelle s.p.a. e nelle s.r.l. invece un simile “paracadute” non esiste, stante l'assoluta insensibilità dei patrimoni dei singoli soci rispetto alle vicende societarie.

Di conseguenza, se non si introducesse un rimedio come quello di cui all'art. 2394 c.c. vi sarebbe il rischio di lasciare privi di tutela i creditori di fronte agli atti di mala gestio che hanno eroso e compromesso il patrimonio sociale (così ricorda Raffaele, La responsabilità degli amministratori verso i creditori nelle s.r.l., in Diritto e Pratica delle Società, 2011, 7/8, 23).

Non mancano inoltre dubbi anche sull'applicazione dei rimedi generali dell'azione surrogatoria e dell'azione ex art. 2043 c.c.

Circa la prima per il fatto che una qualsiasi decisione dell'assemblea dei soci potrebbe portare ad votazione di rinuncia all'azione bloccando sul nascere così le aspettative dei creditori.

Quanto alla seconda, le perplessità sono legate al sistema nel suo complesso.

La tutela aquiliana può essere infatti prevista solo quale extrema ratio in assenza di qualsiasi altra possibilità prevista dall'ordinamento.

Inoltre i modelli di “danno” e di “risarcimento” delineati dall'art. 2043 c.c. paiono difficilmente ricollocabili nell'ambito dei rapporti amministratori – creditori sociali di s.r.l.

I fautori dell'applicazione analogica dell'art. 2394 c.c. alle s.r.l. invocano anche ragioni di logicità e coerenza del sistema della responsabilità degli amministratori delle società di capitali.

Non avrebbe infatti alcuna giustificazione distinguere il regime previsto per le s.p.a. da quello delle s.r.l.; non avrebbe senso, in altre parole, limitare gli strumenti di tutela per i creditori di s.r.l., pena il rischio di illegittimità costituzionale (ex art. 3 e 24 Cost.) per ingiustificata disparità di trattamento.

Sempre in quest'ottica, la non applicazione analogica dell'art. 2394 c.c. cozzerebbe con gli artt. 2477, 2485 e 2486 c.c.

Infatti l'art. 2477 c.c. rimanda, proprio per il collegio sindacale delle s.r.l., all'applicazione delle “disposizioni in tema di società per azioni” e, tra queste, anche l'art. 2407, comma 3 c.c. che stabilisce che all'azione di responsabilità verso i sindaci di s.r.l. si applicano gli articoli 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395 c.c.

In pratica, se non ci fosse l'applicazione analogica, avremmo un sistema in cui è possibile l'azione di responsabilità dei creditori sociali verso i sindaci di s.r.l., ma non verso gli amministratori di s.r.l.

Ulteriori incongruenze sarebbero determinate dalle disposizioni dettate dagli artt. 2485 e 2486 in tema di responsabilità degli amministratori durante la fase di scioglimento delle società di capitali (anche s.r.l.).

Tali articoli dispongono che gli amministratori sono “personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi” 1) per non aver accertato tempestivamente la causa di scioglimento e adottato gli opportuni provvedimenti; 2) per non aver gestito la società successivamente al verificarsi di una causa di scioglimento “ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale”.

Ecco dunque riproposti i medesimi “paletti” sopra ricordati per l'azione ex art. 2934 c.c., cioè la violazione degli obblighi di legge gravanti sugli amministratori per garantire la conservazione e l'integrità del patrimonio della società.

Anche in questo caso, come per l'art. 2477 c.c., sarebbe irragionevole una responsabilità verso i creditori gravante sugli amministratori ex art. 2486 c.c. solamente nella fase di scioglimento della società e non durante la vita normale della stessa.

L'opinione esposta ammette quindi l'applicazione analogica dell'art. 2394 c.c. anche alle s.r.l., di fatto, colmando un vuoto normativo frutto di un errore di coordinamento e non di una deliberata scelta legislativa (di cui peraltro non vi sarebbe traccia nella legge delega che ha portato alla riforma del diritto societario del 2003).

Il caso in esame in effetti riguarda un'azione ex art. 2394 c.c. esperita nell'ambito di una s.r.l. (poi trasformata in società di persone), ma la decisione in commento non pare comunque “decisiva” per dirimere la controversia dal momento che il giudizio originario era relativo a fattispecie ante riforma 2003 del diritto societario e l'azione era rivolta verso i sindaci per i quali, come detto, opera il richiamo agli artt. 2393 – 2394 c.c. tramite il rinvio dell'art. 2477, comma 4 c.c. all'art. 2407 c.c.

La legittimazione del curatore della s.r.l. fallita

Riassunti i termini della questione, occorre comunque verificare cosa può fare il curatore fallimentare in tali situazioni.

Anche nel caso in cui si ritenesse di ammetterla nelle s.r.l., è bene ricordare che l'azione di responsabilità da parte dei creditori non appartiene al patrimonio del fallito e, quindi, non è prevista “automaticamente” la legittimazione del curatore ex art. 42 e 43 l. fall.

Al contrario è necessaria una norma che preveda esplicitamente tale possibilità in ossequio alle regole generali di cui all'art. 81 c.p.c.

L'“ancora” normativa esiste per le s.p.a., cioè l'art. 2394-bis c.c. (introdotto nel 2003): “in caso di fallimento […] le azioni di responsabilità previste dai precedenti articoli (tra cui quindi anche l'art. 2394 c.c. – n.d.r.) spettano al curatore del fallimento […]”.

Analoga disposizione però (ancora una volta) non esiste per le s.r.l.

Occorre allora rifarsi all'art. 146 l. fall., comma 2 che stabilisce in generale per il curatore fallimentare (qualunque sia la società fallita) la legittimazione attiva per “le azioni di responsabilità contro gli amministratori, gli organi di controllo, i direttori generali, i liquidatori”.

È vero che l'odierno art. 146 non richiama più gli articoli 2393 e 2394 c.c. (come era invece nel sistema ante riforma), ma l'assenza di specificazione sul punto (non potendosi ritenere che il “nuovo” art. 2394-bis abbia abrogato l'art. 146, comma 2, l. fall. rimasto in vigore e modificato a seguito delle riforme della legge fallimentare degli anni 2000) pare potersi intendere come attribuzione all'organo della procedura di tutte le azioni di responsabilità previste dal Codice Civile.

Così si sono espressi ancora recentemente i giudici di merito (quali Trib. Milano 18 gennaio 2011, Trib. Lecce 9 dicembre 2011 e Trib. Napoli 16 aprile 2004) nonché di legittimità (vedi Cass. Civ. n. 17121/2010).

Ancora una volta l'interpretazione - prima analogica, ora estensiva - ricostituirebbe quella compiutezza e coerenza che il sistema originario aveva (prima delle riforme del diritto societario del 2003 e del diritto fallimentare del 2006-2007) e scongiurerebbe il rischio dell'illegittimità costituzionale ipotizzabile per omessa previsione nelle s.r.l. di norme (cioè gli artt. 2394 e 2394-bis c.c.) che consentano, anche in caso di fallimento, al curatore di agire anche a nome dei creditori contro gli amministratori (così si sottolinea in Appunti in tema di responsabilità degli amministratori di s.p.a. e di s.r.l.” – orientamenti della sezione VIII civile del Tribunale di Milano, a cura di Dal Moro e Mambriani).

Le caratteristiche dell'azione esperita dal curatore

A questo punto ci si è domandati se l'art. 146 l. fall. attribuisce un'azione di massa, unitaria e nuova che riassume in un unicum tutte le azioni di cui agli artt. 2392, 2393, 2394 e 2476 c.c. finalizzata alla reintegrazione del patrimonio sociale “confondendo” e coniugando in sé tutti i presupposti e condizioni delle singole azioni.

In realtà secondo l'opinione prevalente l'art. 146 l. fall. attribuisce semplicemente al curatore la legittimazione all'esercizio unitario delle singole azioni che però non sorgono ex novo dal fallimento e conservano le rispettive caratteristiche e peculiarità (ad esempio in ordine agli oneri probatori, ai danni risarcibili, ai termini di prescrizione) come da disciplina del Codice Civile (si vedano in tal senso Cass. n. 5241/1981; Cass. n. 3755/1981; Cass. n. 10488/1998; Trib. Milano 19 settembre 2003; Trib. Milano 29 novembre 2003).

In altre parole si è osservato che, quando “il curatore ex art. 146 L.F. esercita contemporaneamente e cumulativamente le due azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c., tali azioni non sorgono ex novo ed a titolo originario in capo al curatore, né danno origine ad una nuova e autonoma azione; esse non sono nient'altro che le stesse azioni che prima del fallimento spettavano alla società e ai creditori sociali, e mantengono, anche quando vengono esercitate dal curatore le rispettive discipline di cui agli artt. 2393 e 2394” (così F. Bonelli, Art. 146 L.F., comma 2 L.F.: l'azione di responsabilità del curatore contro gli amministratori di S.p.A. fallite, in Giur. Comm., 1982, II, 794).

I termini di prescrizione

Con riferimento alla decisione in commento, in ordine alla decorrenza dei termini di prescrizione, la “scelta” di una delle due strade comporta conseguenze differenti.

Se infatti si opta per la prima soluzione, inevitabilmente il dies a quoda cui calcolare la prescrizione sarà unico e scatterà verosimilmente dalla cessazione formale della carica dell'amministratore, come risulta dal combinato disposto dell'art. 2393, comma 3, c.c. e art. 2941, n. 7, c.c. che prevede la sospensione di qualsiasi termine di prescrizione tra le persone giuridiche e i loro amministratori, finché sono in carica, per le azioni di responsabilità contro di essi.

Analoga causa di sospensione invero non opererebbe comunque nei riguardi dei sindaci stante la diversità del loro ruolo rispetto agli amministratori e il carattere tassativo delle ipotesi di sospensione previste per legge con impossibilità di interpretazioni estensive e analogiche (in tal senso Cass. n. 13765/2007 e Cass. n. 19051/2011; contra Tribunale di Milano, 19 settembre 2003; in argomento si rimanda a De Campo, Prescrizione delle azioni di responsabilità esercitate dal curatore, in Le Società, 2012, 141).

Se invece consideriamo la tesi maggiormente condivisa, il dies a quo va valutato in base alla disciplina specifica prevista dal codice civile in relazione a ogni differente azione di responsabilità.

Nel caso in esame per individuare il dies a quo non bisogna allora fare riferimento alla cessazione della carica, bensì all'insufficienza patrimoniale della società prevista dall'art. 2394, comma 2, c.c.

Tale requisito si differenzia dall'insolvenza consistendo questa nella generale incapacità del debitore di fare fronte regolarmente alle proprie obbligazioni.

Al contrario l'insufficienza (secondo l'opinione maggiormente diffusa in dottrina) implica una situazione di deficit, cioè di sbilancio fra attivo e passivo che porta a un saldo patrimoniale negativo.

I due concetti sono quindi differenti e possono verificarsi in momenti distinti pertanto, solo nel caso in cui fosse impossibile determinare a quando risale l'insufficienza patrimoniale, essa si suppone coincidente con il giorno della dichiarazione di fallimento (così App. Milano 21 gennaio 1994; Meoli, Prescrizione dell'azione di responsabilità dei creditori sociali, in Il Fallimento, 2009, 7, 831 ss.).

Si tratta però di una presunzione iuris tantum, pertanto è il soggetto interessato ad eccepire la prescrizione che ha l'onere di dimostrare la data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (così Cass. n. 13778/2014, come avvenuto nel caso in esame).

Fondamentale è dunque verificare il momento effettivo a partire dal quale calcolare la prescrizione.

Secondo una prima interpretazione il tenore letterale dell'art. 2394 c.c. individuerebbe il dies a quo nel momento in cui l'insufficienza patrimoniale si è effettivamente verificata (in conseguenza della condotta degli amministratori).

Da questo punto di vista infatti il termine «risultare” significa “derivare come conseguenza di un fatto o di un ragionamento, come effetto di una causa e soltanto in un senso più generale rispetto al suo significato proprio vuol dire “dimostrarsi, essere» (così spiega Meloncelli, Azione di responsabilità spettante ai creditori sociali e prescrizione, in Giur. Comm., 2006, II, 691 ss.).

Alla luce di tali considerazioni il termine quinquennale decorrerebbe sin dal momento in cui il presupposto dell'insufficienza si produce, indipendentemente dalla conoscenza o conoscibilità da parte dei creditori.

Di contrario avviso la tesi secondo la quale l'art. 2394 c.c. non detterebbe alcuna norma in tema di prescrizione essendo necessario al riguardo considerare i principi generali dell'ordinamento in materia (così osserva Meoli, Prescrizione dell'azione di responsabilità dei creditori sociali, Il Fallimento, 2009, 7, 836).

Sovvengono in argomento l'art. 2947 c.c. (che stabilisce la regola generale per cui il termine di prescrizione del diritto risarcitorio decorre dal giorno in cui si è verificato il fatto) e l'art. 2935 c.c. (per il quale la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere).

Le due norme sono interpretate nel senso che il diritto inizia a prescriversi dal momento in cui le conseguenze dannose derivanti dal fatto illecito si sono effettivamente manifestate al soggetto danneggiato.

Da ciò discende che solo quando il presupposto di cui all'art. 2394 c.c., cioè l'insufficienza patrimoniale, si è esteriorizzato – divenendo quindi oggettivamente conoscibile per i creditori – decorre il termine di prescrizione dell'azione (in tal senso recentemente Cass. n. 17121/2010; Cass. n. 21131/2008; Trib. Milano 29 novembre 2003, in dottrina Bonelli, Art. 146, comma 2 L.F.: l'azione di responsabilità del curatore contro gli amministratori di s.p.a. fallite, in Giur. Comm., 1982, II, 794).

Segnali di tale oggettiva esteriorizzazione anteriori alla dichiarazione di fallimento sono stati ritenuti: il bilancio di esercizio in forte passivo (Cass. n. 20476/2008; App. Torino, 23 gennaio 2003; Trib. Milano 14 novembre 2001; Trib. Salerno 25 maggio 2010), il bilancio finale di liquidazione (Trib. Milano 21 aprile 1986), il deposito di una proposta di concordato preventivo (Trib. Milano 25 settembre 1995), la chiusura della sede della società (Cass. n. 8516/2009).

Secondo alcuni però tali indici non potrebbero avere una valenza oggettiva per qualsiasi tipo di creditore.

In altre parole i bilanci (ad esempio) potrebbero avere significato solo per creditori-qualificati (quali ad esempio le banche) dotati di conoscenze, mezzi e strumenti per saperli valutare, mentre per un creditore “debole”, “comune” sarebbe eccessivamente gravoso imporre l'onere di verificare le scritture contabili dei propri debitori (così distingue Iozzo, Sulla decorrenza del termine di prescrizione dell'azione ex artt. 2394 c.c. – 146 L.F., in Giur. Comm., 2004, II, 149 ss.).

La soluzione

La sentenza in commento affronta solo alcuni dei temi sopra brevemente riepilogati.

Come anticipato infatti la vicenda giudiziaria ha avuto origine in epoca ante riforma del 2003 e ha visto coinvolti come convenuti i sindaci di una s.r.l., pertanto non è possibile apprezzare la reale portata della decisione in esame in ordine al tema dell'esperibilità dell'azione ex art. 2394 c.c. anche nei confronti di amministratori di s.r.l. Per altri aspetti invece la sentenza conferma gli orientamenti maggiormente diffusi sopra brevemente ricordati.

In particolare gli Ermellini ritengono che l'azione risarcitoria introdotta dal curatore fallimentare non rappresenta uno strumento “nuovo” e diverso dalle azioni previste dal Codice Civile.

Prova ne è che i Supremi Giudici hanno ritenuto presupposto fondamentale per l'esercizio dell'azione “l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti”.

Di conseguenza hanno verificato il decorso dei termini di prescrizione applicando la disciplina specifica prevista dall'art. 2394 c.c. per tale tipo di azione giudiziale.

In ordine a tale aspetto la sentenza ribadisce la distinzione tra insufficienza patrimoniale (“deficit patrimoniale”) e insolvenza dichiarata con la sentenza di fallimento, ricordando cioè che le due fattispecie, proprio perché differenti, possono ben verificarsi in momenti distinti.

Conformemente ai precedenti giurisprudenziali citati, il provvedimento in esame specifica quindi che il dies a quo della prescrizione dell'azione ex art. 2394 c.c. coincide con il “momento in cui l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti risulti da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto” e se tale circostanza si è verificata prima della dichiarazione di fallimento, è onere dell'amministratore o del sindaco che eccepisce la prescrizione fornirne la prova relativa. Proprio su questo punto l'indagine degli Ermellini è scrupolosa.

È stata infatti considerata “sintomo” di insufficienza patrimoniale oggettivamente percepibile dai creditori – prima ancora dell'approvazione del bilancio – la delibera straordinaria di riduzione del capitale sociale esuberante con immediata restituzione ai soci del supero.

Ciò per due ordini di ragioni.

In primo luogo perché la delibera relativa deve essere iscritta nel Registro delle imprese divenendo così “conoscibile” per tutti.

Sotto altro profilo i Giudici hanno osservato che, poiché l'art. 2445 c.c. accorda ai creditori un termine di 90 giorni per opporsi, non si vede come diverso dies a quo possa essere previsto per l'esercizio dell'azione risarcitoria ex art. 2394 c.c. “volta ad affermare la responsabilità depauperativa dei soggetti autori di quella scelta amministrativa, ovvero, come nella specie, di coloro che, contravvenendo a uno statuto di controllo, non hanno agito ex art. 2407, comma 2, c.c. per evitare che quella decisione fosse assunta o eseguita o portata a conseguenze di pregiudizio permanente”

Di conseguenza dalla delibera “incriminata” e dal conseguente omesso controllo dei sindaci ex art. 2497, comma 2, c.c. occorre calcolare i termini di prescrizione, senza necessità di attendere la successiva approvazione del bilancio relativo che potrebbe, in ipotesi, anche mancare.

Dal punto di vista processuale infine, i Giudici del Palazzaccio, ricordando il precedente di Cassazione n. 1281/1977, precisano che la responsabilità solidale dei sindaci prevista dall'art. 2407, comma 2 c.c. non implica una forma di litisconsorzio necessario tra gli stessi.

Infatti, in coerenza con le plurime facoltà di azione concesse al danneggiato ex art. 2055 c.c., l'iniziativa giudiziaria può essere promossa anche contro uno solo o alcuni dei responsabili in solido, senza necessità di integrare il contraddittorio con tutti i coobbligati in solido.

Ciò vale, aggiunge la Corte nella sentenza in commento, anche per la posizione degli amministratori.

Non è quindi necessario che il giudizio sia esteso anche nei loro confronti, potendo le responsabilità dell'organo gestorio e i relativi illeciti essere accertati anche in via incidentale nel giudizio promosso nei confronti dei sindaci.

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