L’applicabilità dell’azione revocatoria all’atto di scissione

Bianca Caruso
22 Agosto 2016

Eseguite le formalità pubblicitarie di cui all'art. 2504-quater c.c., a tutela dell'interesse di carattere generale alla certezza dei traffici economici, gli effetti della scissione diventano irregredibili e la tutela dei creditori anteriori della società scissa si concretizza nei rimedi specificatamente previsti, individuati nel diritto al risarcimento del danno ex art. 2504-quater, comma 2, c.c. e nella solidarietà di cui all'art. 2506-quater, ultimo comma.
Massima

Eseguite le formalità pubblicitarie di cui all'art. 2504-quater c.c., a tutela dell'interesse di carattere generale alla certezza dei traffici economici, gli effetti della scissione diventano irregredibili e la tutela dei creditori anteriori della società scissa si concretizza nei rimedi specificatamente previsti, individuati nel diritto al risarcimento del danno ex art. 2504-quater, comma 2, c.c. e nella solidarietà di cui all'art. 2506-quater, ultimo comma.

Il caso

Il Fallimento di una s.r.l. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Bologna la società costituita a seguito di una operazione di scissione parziale e beneficiaria, tra l'altro, dell'intero patrimonio immobiliare della scissa (ormai fallita). L'attore – dopo aver rilevato che il progetto di scissione era stato redatto sulla base di un bilancio che non riportava la reale situazione contabile della società – chiedeva la declaratoria di inefficacia, ai sensi degli artt. 2901 c.c. e 66 l. fall., delle assegnazioni poste in essere nell'ambito dell'operazione di scissione, nonché il risarcimento del danno a carico della beneficiaria in quanto uno degli immobili oggetto di assegnazione era medio tempore uscito dal patrimonio sociale della stessa. La società convenuta resisteva asserendo l'inammissibilità dell'actio pauliana avente ad oggetto un'operazione straordinaria quale la scissione, rilevando come lo stesso legislatore con gli articoli 2503 e 2506-ter c.c. avesse previsto una specifica disciplina a tutela dei creditori anteriori alla stessa scissione. Ancora, sosteneva che l'atto di disposizione del patrimonio immobiliare non potesse configurarsi come trasferimento, ma come un'assegnazione nell'ambito di una complessa e più ampia riorganizzazione societaria.

Le questioni giuridiche

Alla base del provvedimento in commento, con cui viene rigettata la domanda attorea, si pone una questione oggetto di ormai risalente dibattito giurisprudenziale: si tratta dell'applicabilità o meno ad una operazione di scissione dell'azione revocatoria di cui agli artt. 2901 c.c. e 66 l. fall. Al fine di una migliore comprensione del ragionamento svolto dal Tribunale di Bologna pare opportuno muovere da una breve analisi degli istituti coinvolti e dei due orientamenti giurisprudenziali che si sono sviluppati sul punto.

Un'operazione di scissione si sostanzia in una fattispecie a formazione progressiva che consente a una società di assegnare tutto o parte del proprio patrimonio ad altra società preesistente o di nuova costituzione: questa, dunque, muovendo dalla deliberazione di approvazione del relativo progetto, culmina nell'atto di scissione e nel deposito dello stesso al Registro delle imprese, realizzando così una modificazione dello statuto delle società coinvolte. È importante sottolineare, ai fini che qui interessano, che non vi è in dottrina visione univoca circa la natura – traslativa o meno – dell'operazione di scissione.

Secondo un primo orientamento dottrinale – basato sull'introduzione del termine “assegnazione” nella disposizione con la riforma societaria del 2003 in luogo del termine “trasferimento” – il legislatore avrebbe inteso chiarire che la scissione non determina alcun trasferimento dei beni dalla scissa alla beneficiaria; è stato infatti affermato che risolvendosi la scissione in vicende meramente evolutive e modificative dello stesso soggetto, che conserva la propria identità con un nuovo assetto organizzativo, non è mai possibile individuare nella fattispecie un soggetto alienante ed uno acquirente: ciò comporterebbe, quindi, l'inapplicabilità delle regole peculiari dei trasferimenti dei singoli beni (in tal senso, tra gli altri, Comitato Triveneto dei Notai, Massima L.A.15; Ferro-Luzzi, La nozione di scissione, in Giur. comm., 1991, I, 1065; Magliulo, La scissione delle società, Milano, 2012; anche nel testo della Relazione al D. Lgs. n. 6/2003 può leggersi che nell'ipotesi di scissione“non si applicano le regole peculiari dei trasferimenti di singoli beni […]”).

Secondo altra ricostruzione dell'istituto – che affondava in passato le sue radici nella formulazione della norma ante riforma e che è rimasta immutata nonostante l'intervenuta modifica legislativa – non può negarsi che la scissione costituisca fenomeno di carattere successorio e le relative assegnazioni di beni quali atti di natura traslativa (in tal senso, Cass. 27 aprile 2001 n. 6143; cfr. in materia di fusione Cass. 22 marzo 2010, n. 6845; Cass. S.U. 28 dicembre 2007, n. 27183; Cass. 29 ottobre 2006, n. 22489, che qualificano tali operazioni in termini di successione universale; in dottrina, riconducono la scissione ad una fattispecie di successione a titolo universale, Oppo, Fusione e scissione delle società secondo il d. leg. 1991 n. 22: profili generali, in Riv. dir. civ., 1991, II, 505 ss. e Scognamiglio, Le scissioni, in Colombo – Portale(diretto da), Trattato delle società per azioni, 7**, 2, Torino, 2004, 203 ss., mentre Centonze, Assegnazione patrimoniale e disciplina dell'azienda nella scissione di società, Milano, 2013, 52 ss. qualifica tale fattispecie come successione a titolo particolare; infine, non manca chi sposa una soluzione che tenga conto della specificità delle diverse varianti della scissione: così Belviso, La fattispecie della scissione, in Patroni Griffi (a cura di), Fusioni e scissioni di società, Milano, 1995, 52 ss.; Magrì, Natura ed effetti delle scissioni societarie: profili civilistici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, 36 ss.).

Secondo tale impostazione, innanzitutto, il mutato linguaggio legislativo non sarebbe dirimente: il termine “assegnazione” non sarebbe indicativo della volontà del legislatore di smentire la natura dispositiva dell'operazione di scissione e anzi, in diversi contesti, tale termine rimanderebbe a fenomeni traslativi; in secondo luogo, il riferimento al trasferimento rimane immutato in altri ordinamenti, oltre che a livello comunitario; in terzo luogo, vi sarebbero tutti gli elementi costitutivi della fattispecie; infine, riconoscere la natura traslativa della scissione, non significherebbe negare che il trasferimento avvenga nell'ambito di una modifica del contratto sociale (in tal senso, ante riforma, Oppo, cit., 505 ss.; Picciau, Scissione di società e trasferimento d'azienda, in Riv soc., 1995, 1190 ss.; Palmieri, Scissione di società e circolazione dell'azienda, Torino, 1999, 121 ss.; post riforma, Rescio, Commento all'art. 2506, in Abbadessa – Portale (diretto da), Le società per azioni, 2016, 3438 ss.; Scognamiglio, cit., 121 ss.; Picciau, Art. 2506, in Bianchi (a cura di), Trasformazione – Fusione – Scissione, in Marchetti – Bianchi – Ghezzi – Notari (diretto da), Commentario alla riforma delle società, Milano, 2006, 1032 ss.; Centonze, cit., 14 ss. e 45 ss.).

Ove così declinata, la questione atterrebbe più che altro alla compatibilità dei principi e delle regole generali sui trasferimenti con i principi e le regole speciali della scissione.

A tal ultimo proposito, ai sensi dell'art. 2506-ter, ultimo comma, che richiama l'art. 2503 c.c., ai creditori anteriori all'iscrizione della relativa delibera di scissione è consentito proporre opposizione nel termine di sessanta giorni dall'ultima di tali iscrizioni. Lo strumento dell'opposizione risponde all'esigenza di salvaguardare la realizzazione del credito che potrebbe risultare compromessa a seguito dell'operazione di scissione. Decorsi i termini di legge senza che i creditori abbiano fatto opposizione, la scissione può essere attuata mediante stipula dell'atto di scissione.

Solo una volta iscritto l'atto di scissione al Registro delle imprese sorgono gli effetti propri della scissione e, ai sensi dell'art 2504-quater c.c., richiamato dall'art. 2506-ter, comma 5, c.c., non può più essere fatta valere l'invalidità dell'atto, restando comunque salvo il diritto al risarcimento del danno spettante a soci o terzi pregiudicati dalla scissione. Ai sensi dell'art. 2506-quater, comma 3, viene, inoltre, sancita la responsabilità solidale di ciascuna società partecipante alla scissione, nei limiti del patrimonio netto alla stessa assegnato o rimasto, per i debiti della società scissa non soddisfatti.

La tutela dei soggetti eventualmente danneggiati, dunque, una volta intervenuto l'atto di scissione, si sposta dal piano reale a quello obbligatorio. Ciò risponde a un necessario contemperamento degli interessi in gioco – quello sociale al buon esito dell'operazione e più generale alla certezza dei traffici economici, da un lato, e quello creditorio a non veder diminuite le proprie garanzie e al fine di garantire stabilità agli effetti degli atti societari – che il legislatore ha sapientemente operato: prima dell'atto di scissione (e dunque della cristallizzazione della situazione giuridica che ne discende), i creditori hanno a disposizione lo strumento dell'opposizione, con potere di bloccare la procedura di scissione; dopo l'iscrizione, con effetti costitutivi, dell'atto di scissione e l'intervenuto mutamento della situazione giuridica de qua il legislatore garantisce, in ogni caso, specifici strumenti di tutela a favore dei creditori, quali il risarcimento del danno e il regime di solidarietà previsto dall'art. 2506-quater, ultimo comma, c.c.

Proprio sulla base di tale ricostruzione, secondo la dottrina maggioritaria e parte della giurisprudenza l'azione pauliana sarebbe incompatibile con la specifica disciplina dettata per la scissione societaria. Ma vi è di più. Secondo il presente orientamento, i creditori anteriori risultano già sufficientemente tutelati dagli specifici rimedi sopra menzionati (in tal senso Trib. Napoli 18 febbraio 2013; Trib. Modena 22 gennaio 2010; Trib. Roma 11 gennaio 2001). A opinione della citata giurisprudenza, infatti, se la finalità dell'azione revocatoria è consentire il soddisfacimento coattivo del creditore sui beni del debitore come se non fossero mai usciti dal suo patrimonio, la disciplina legale dell'operazione societaria in considerazione, e in particolare il regime di solidarietà previsto dall'art. 2506-quater, comma 3, già consentirebbe un simile risultato.

Non sono mancate, tuttavia, pronunce di segno opposto, che ritengono ammissibile l'actio pauliana sulla base di un ragionamento che si fonda, in primis, sull'assenza di una norma che impedisce l'esperimento della stessa e, ancora, sulla considerazione che l'art. 2504-quater c.c. esclude solo la possibilità, iscritto l'atto nel Registro delle Imprese, di far valere l'invalidità della scissione, mentre non preclude la revocatoria in quanto l'effetto che ne deriva è l'inefficacia relativa dell'atto verso il creditore, senza minare la stabilità dell'assetto societario. Si aggiunge, poi, che con la norma citata il legislatore certamente ha in animo di evitare che la declaratoria di invalidità dell'atto societario possa comportare la riattribuzione alla società scissa di elementi patrimoniali assegnati alla beneficiaria, ma non impedisce ai terzi che abbiano subito un pregiudizio diretto dalla scissione l'accesso ai rimedi generali apportati dall'ordinamento (Trib. Benevento 12 settembre 2012; Trib. Palermo 25 maggio 2012; Trib. Catania 9 maggio 2012).

Tale seconda ricostruzione non persuade, tuttavia, il Tribunale di Bologna che, sulla base delle considerazioni sopra espresse, aderisce alla prima impostazione. Secondo il giudice, infatti, i rimedi specificamente previsti nell'ambito della disciplina legale della scissione consentirebbero ai creditori di ottenere un rimedio analogo a quello loro concesso con la revocatoria e, allo stesso di tempo, a tutela del pubblico affidamento, di preservare gli effetti prodotti dalla scissione sancendone l'irregredibilità. Il legislatore ha sapientemente voluto evitare le conseguenze che avrebbe, anche a distanza temporale, una pronuncia di invalidità della scissione, cui conseguirebbe l'obbligo di ripristinare gli effetti che derivano dall'operazione (separazione patrimoniale e della compagine sociale); il tutto senza considerare ipotesi, come quella del caso in esame, di scissione parziale in senso stretto da cui deriva la costituzione di un nuovo soggetto di diritto che verrebbe eliminato per effetto della declaratoria di nullità. Tale principio, chiaramente riferito dal legislatore alla categoria dell'invalidità, può applicarsi certamente anche all'inefficacia e quindi alle pretese creditorie relative ai patrimoni coinvolti (Trib. Milano 5 marzo 2009).

Inoltre, abbracciando la tesi che riconduce la scissione, da un punto di vista strutturale e degli effetti, ad un evento meramente modificativo degli statuti sociali, senza che possa conseguirne alcun atto traslativo del patrimonio, il Tribunale afferma l'inapplicabilità della revocatoria. Come noto, infatti, il rimedio della revocatoria è volto a ottenere la declaratoria di inefficacia relativa di un atto di disposizione patrimoniale lesivo della garanzia generica del credito ex art. 2470 c.c. L'azione è, in sostanza, finalizzata ad assicurare la realizzazione in via esecutiva delle ragioni creditorie sui beni che altrimenti non sarebbero più aggredibili in quanto usciti dal patrimonio del debitore. Presupposto per l'applicazione di tale rimedio sarebbe, quindi, l'esistenza di un atto con effetto traslativo, effetto che – a detta del giudice bolognese – non sarebbe ormai più riconducibile alle operazioni di scissione.

Conclusioni

Ci si chiede se le conclusioni del Tribunale di Bologna sarebbero rimaste immutate qualora lo stesso avesse aderito all'impostazione che riconosce la natura dispositiva della scissione.

La questione si sarebbe spostata sul piano della compatibilità del regime generale degli atti traslativi con la speciale regolamentazione prevista dal legislatore per le operazioni straordinarie: la conclusione, tuttavia, sarebbe probabilmente rimasta immutata. È lo stesso giudice bolognese, infatti, che afferma che la tutela del creditore sociale non va ricercata negli strumenti generali offerti dal legislatore, ma nella speciale disciplina prevista per le operazioni societarie straordinarie. Il riferimento non è al solo diritto di opposizione (art. 2503 c.c.), ma anche al risarcimento del danno che spetta ai soci o ai terzi direttamente danneggiati dalla scissione, come previsto dall'art. 2504-quater, comma 2, c.c. nonché alla responsabilità solidale di cui all'art. 2506-quater, ultimo comma, c.c., che forniscono rimedi analoghi a quelli propri della revocatoria, evitando al contempo di mettere in discussione l'efficacia costitutiva dell'iscrizione dell'atto di scissione con evidenti impatti sul principio di certezza del diritto, oltre che dei traffici giuridici ed economici, che il nostro sistema giuridico è volto a preservare.