Quando la cronaca si incrocia con il diritto
01 Dicembre 2015
Premessa
Prosegue con intensità che non esitiamo a definire drammatica, perché continuamente immersa in vicende concrete regolate con urgenza dal legislatore, il percorso del recepimento nell'ordinamento nazionale della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 in materia di risanamento e risoluzione degli enti creditizi. Si tratta della c.d. Bank Recovery and Resolution Directive, che diffusamente viene per brevità denominata BRRD. Lo faremo anche noi in appresso. Dopo la legge di delegazione europea 2014 del 9/7/2015 n. 114, di cui abbiamo dato un sintetico quadro nel precedente contributo in materia (all'art. 8, che conteneva una specifica delega) con i decreti legislativi n. 180 e n. 181, pubblicati nella G.U. del 16 novembre scorso dopo essere stati sottoposti ad esame delle competenti commissioni parlamentari sembrava si fosse dato un quadro definitivo, almeno di partenza, all'assetto normativo nazionale in tema di regolazione nazionale del sistema bancario.
Purtroppo, neppure questi strumenti legislativi sono stati sufficienti, tanto che in un'emergenziale seduta domenicale del 22 novembre il Consiglio del Ministri è stato costretto, per regolare la crisi di Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A, Banca delle Marche S.p.A, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio - Società cooperativa e Cassa di risparmio della Provincia di Chieti S.p.A. ad emanare un nuovo decreto-legge con la dichiarata e limitata finalità, tenendo conto del nuovo quadro normativo e della deliberazione della Banca d'Italia in data 21 novembre 2015, della necessità di adeguati urgenti interventi (decreto legge 183 del 22/11/2015). I provvedimenti di avvio della risoluzione, invero assai tardivi, atteso che la crisi dei citati istituti bancari o almeno di alcuni di essi è risalente, erano stati approvati appena in precedenza dal Ministro dell'economia e delle Finanze a seguito dell'ok della Commissione europea sui programmi di risoluzione.
L'autorità europea, nel contempo, aveva escluso la possibilità di un intervento apparentemente meno invasivo sistemicamente da parte del Fondo di Garanzia interbancario, ipotizzandone una natura almeno indiretta di aiuto di stato. Di qui, secondo il legislatore, la necessità non solo di un intervento di alta amministrazione dell'Autorità bancaria, ma anche di un atto normativo che consentisse di costituire tempestivamente le nuove banche (banche enti-ponte) contemplate dai provvedimenti di avvio della risoluzione delle banche in questione, di costituire la bad bank destinata ad accogliere le sofferenze degli istituti, di “definire un quadro normativo certo sulle modalità con cui saranno raccolti i contributi da parte del settore bancario al Fondo di risoluzione nazionale successivamente all'integrale avvio del Meccanismo di risoluzione unico” (sono parole ufficiali del comunicato di Palazzo Chigi) e di definire le modalità per l'applicazione alle nuove banche della disciplina fiscale in materia di imposte differite attive già in vigore per tutti gli istituti di credito. Pur usando lo strumento nuovo della risoluzione, il decreto-legge non prevede un intervento pubblico, ma solo l'utilizzazione del Fondo di risoluzione (anche se in forma in parte cospicua di anticipo di somme future, essendo il capitale disponibile inizialmente di soli 500 milioni) e non applica il bail-in in senso tecnico, la cui entrata in vigore rimane rinviata al D.Lgs. 180/2015 all'1 gennaio 2016.
L'apparente digressione cronachistica ci è parsa necessaria non solo per inserire la sommaria trattazione informativa nel contesto emergenziale in cui essa deve essere inquadrata, ma per comprendere che mai forse come in questa vicenda le ragioni e le esigenze della politica economica e di quella bancaria si sono intrecciate con una evoluzione del sistema normativo in materia che definire poco virtuosa è benevolo.
Rifuggendo dalla tentazione, di cui le notizie giornalistiche forniscono quotidianamente ampio alimento, di inserire il tema nella fragilità delle politiche bancarie nazionali, rese ancor più incerte dal dogma - privo di riscontro reale - della solidità del sistema nazionale (che è stato in realtà contraddistinto solo dalla debole capacità di attingere per sostenersi ai capitali pubblici internazionali ed europei) riteniamo ora di dover passare all'esame del primo dei due provvedimenti, con l'avvertenza che si tratta di disposizioni di elevata complessità tecnica, molto legate al sistema giuridico europeo e di cui una piena cognizione abbisogna di uno studio assai più accurato di quello iniziale e d'occasione informativa che qui compiamo.
Dedicheremo al decreto legislativo 181 un nuovo successivo contributo. Il legislatore delegato ha ritenuto di interpretare la finalità della direttiva di evitare liquidazioni non controllate, che rischiano di aggravare gli effetti delle crisi bancarie. Lo strumento tipico di intervento diviene la risoluzione, che dovrebbe consentire interventi adeguati e tempestivi finalizzati a non creare, oltre al dissesto dell'istituto da risolvere, danni più generali all'economia ed all'intero sistema finanziario. Secondo consolidati principi europei, è residuale e limitatissima la possibilità di salvataggi pubblici.
Il legislatore delegato con un provvedimento ha apportato modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico bancario – T.U.B.) e al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico della finanza – T.U.F.), introducendo la disciplina dei piani di risanamento, del sostegno finanziario infragruppo, delle misure di intervento precoce.
L'amministrazione straordinaria è stata allineata alla disciplina europea e modificata la liquidazione coatta amministrativa per adeguarla al nuovo quadro normativo previsto dalla Direttiva e apportare alcune innovazioni alla luce delle prassi applicative.
Assai più importante, vero e proprio nuovo pilastro del sistema, è il secondo decreto legislativo – su cui qui ci concentreremo, rinviando come detto ad un successivo intervento la disamina degli aggiornamenti ai testi unici già vigenti ed alla procedura di L.C.A. - che disciplina i piani di risoluzione, il loro avvio e la loro chiusura, il procedimento e le cause per l'adozione delle misure di risoluzione, la gestione della crisi di gruppi cross-border, individua i poteri e le funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e la disciplina del fondo di risoluzione nazionale. Le attività connesse con la risoluzione spettano all'autorità di risoluzione, le cui funzioni sono state attribuite alla Banca d'Italia. L'applicazione del salvataggio interno (l'ormai notissimo bail-in che prevede l'intervento del capitale endogeno anche sotto forma di obbligazioni e depositi non protetti e non più sostegni esterni) è rinviato al 1° gennaio 2016 (che è ormai tuttavia dietro l'angolo, tanto che sono state necessarie per sfuggirvi le acrobazie normative di cui abbiamo sopra narrato).
Di rilievo il rinvio al 2019 dell'applicazione delle norme dell'estensione della c.d. depositor preference ai depositi diversi da quelli protetti dal sistema di garanzia dei depositi e di quelli delle persone fisiche e delle piccole e medie imprese. Il decreto legislativo 180 del 16/11/2015
Come abbiamo già detto, il D.Lgs. 180 del 16/11/2015 è il vero e proprio architrave del nuovo sistema normativo.
Dopo un incipit di definizioni (art. 1) utile anche per l'intersezione con quelle europee e la delimitazione sostanzialmente al sistema bancario emerge incontestata ed incontrastata la Signoria (definizione più consona di quella di Autorità) della Banca d'Italia appena mitigata da blandi poteri di controllo (art. 4) del MEF. Il tutto suggellato dall'uso certo non morigerato del segreto d'ufficio (art. 5) come strumento assai forte di protezione dell'azione amministrativa ed operativa, essendo sostanzialmente posto a carico di tutti coloro che operano e per tutto il materiale informativo; la violazione della relativa disposizione, a rafforzarne l'efficacia, è punita come violazione del segreto professionale ai sensi dell'art. 622 c.p., evocato dall'art. 101 del decreto legislativo, ma in tale caso speciale la punibilità è d'ufficio. Non siamo sicuri che tale parossistica protezione della privatezza e del riserbo sia in linea con i principi generali sulla trasparenza dell'azione pubblica, che deve ricomprendere anche quella in materia economico-finanziaria.
La norma prevede una fase di pianificazione progettuale (artt. 7 e seguenti) che può essere riferita ad una sola banca o ad un gruppo, con i connessi doveri di collaborazione ed informazione con le altre autorità competenti. La norma (art. 11) consente piani di risoluzione anche in forma semplificata.
Punto centrale nella formazione dei piani di risoluzione è la valutazione della risolvibilità, orribile neologismo normativo che significa in parole semplici il giudizio – sulla base di parametri assai discrezionali, destinati ad essere valutati da Bankitalia – sulla sottoposizione a L.C.A. o alla nuova “risoluzione”. Il giudizio può essere per singoli soggetti o di gruppo ed il potere in merito di Bankitalia è talmente pervasivo che essa può, se si frappongono impedimenti alla risolvibilità, assumere misure cogenti finalizzate a rimuoverli.
Una volta compiuta quella che possiamo definire fase istruttoria e pianificatoria, l'Autorità avvia il procedimento accertando che ne sussistano i presupposti (art. 19 – 20) e che non vi sia la possibilità (del tutto eccezionale) di un intervento pubblico straordinario (art. 18).
La procedura di risoluzione è a sua volta valutata (art. 20) in alternativa alla conversione o riduzione di azioni ed altri strumenti di capitale della banca e alla valutazione se è o meno più utile per gli obbiettivi di intervento rispetto alla tradizionale procedura di liquidazione coatta amministrativa di cui all'art. 80 del T.U. Bancario, che rimane nell'ordinamento come ipotesi per così dire finale, quando ogni altro rimedio non è utilmente praticabile. La valutazione, affidata ad un esperto indipendente (art. 23) può essere anticipata in via d'urgenza da Bankitalia (art. 25) ed è formulata sulla base di criteri legali alquanto generici (art. 24).
Suscita perciò qualche perplessa preoccupazione la limitata impugnabilità (e quindi la debolezza del controllo giurisdizionale) delle procedure di valutazione (art. 26) ed il conseguente ampio potere discrezionale dell'autorità bancaria, che del resto provvede non solo alla nomina dei commissari straordinari e dei comitati di sorveglianza, ma anche alla determinazione, senza alcun parametro legale, delle loro indennità. Norme bancarie e tutela dei diritti
Cogliamo qui l'occasione per formulare qualche rilievo, meritevole di maggiori approfondimenti, sull'impianto generale del provvedimento quanto a tutela giurisdizionale e funzioni di controllo ed indirizzo. Dopo la crisi mondiale dei sistemi bancari, causa prevalente o almeno concausa rilevante della crisi economica globale e la pessima prova data non solo dalle imprese che esercitano il credito, ma anche dalle autorità tutorie, ci si sarebbe aspettati dai legislatori un'orgogliosa e non inutile rivendicazione dell'espansione dei poteri di controllo anche e soprattutto esterno e fra essi quello elettivamente più efficace, la giurisdizione.
Assistiamo invece all'approvazione di strumenti normativi che si possono definire generici e a maglie larghe, quanto a doveri e persino tempi di esercizio dei medesimi da parte dell'autorità di vigilanza bancaria ed alla mancata sottoposizione degli stessi a significativi controlli esterni. E si badi che oltre ad un fondamento economico–sociale di carattere generale ed ai principi costituzionali, almeno nel caso nazionale, di valore sociale anche dell'attività d'impresa e del risparmio, v'è da discutere dei diritti di azionisti, obbligazionisti e correntisti e di tutti coloro che vantano qualificate posizioni verso il capitale dell'impresa bancaria e del risparmio, che realisticamente escono pressoché privi di adeguata protezione da questo pacchetto di innovazioni legislative; un tema qui solo affacciato, ma certamente da riprendere ed approfondire alla luce anche di considerazioni accessorie ma non secondarie.
Infatti, l'avvio delle procedure di risoluzione paralizza la possibilità di proporre azioni revocatorie per gli atti posti in essere durante la risoluzione, che non sono soggetti ad azioni revocatorie (art. 35, comma 2) e, caducati gli organi ordinari, spetta agli organi della risoluzione (o in subordine alla Banca d'Italia), l'avvio delle azioni di responsabilità verso coloro che hanno dato causa al dissesto (art. 35, comma 3), elemento questo essenziale nel patto associativo da cui scaturisce l'impresa bancaria.
A ciò si aggiungano le limitate garanzie di tutela offerte dagli artt. da 87 a 95 del decreto legislativo, con tanto di presunzione legale di interesse pubblico a non veder sospesi i provvedimenti assunti in materia da Bankitalia o dal MEF (art. 95, comma 2) e di facoltà di sospensione praticamente ad libitum (per un periodo congruo ed a richiesta di Bankitalia, recita l'art. 95 u.c.) dei giudizi in cui sia parte un ente sottoposto a risoluzione.
Un quadro di tutele che non esitiamo a definire desolante ed inefficace, giustificato dall'esigenza di garantire quell'equilibrio al sistema economico finanziario che in più punti le norme mettono in significativa evidenza, ma il cui errato ed opaco perseguimento forse è stato proprio uno dei limiti, dei difetti e delle ragioni di crisi anche dell'attuale sistema bancario. Possiamo definire la riduzione o conversione delle azioni e degli altri strumenti di capitale l'entry level delle misure di risoluzione, di cui non fanno espressamente parte ma che vi si coordinano. L'istituto è previsto dall'art. 27 del Decreto legislativo 180, che ne chiarisce la natura autonoma, ma talora collegata, alla procedura di risoluzione, di cui può far parte se il piano di risoluzione previsto dall'art. 32 ne fa menzione. Anche le determinazioni e gli effetti della riduzione o conversione di capitale, i cui strumenti sono indicati nell'art. 28, sono disposti dalla Banca d'Italia, con i limiti e secondo i criteri di cui all'art. 29. La norma facoltizza (ma non obbliga) ad attribuire ai titolari degli strumenti soggetti a conversione azioni computabili nel capitale primario di classe 1 emesse, oltre che dalla società nei cui confronti e' stata disposta la riduzione o la conversione, anche da altre componenti del gruppo, inclusa la società posta al vertice del gruppo. Se queste hanno sede legale in un altro Stato membro, l'attribuzione degli strumenti è disposta previo accordo con l'autorità di risoluzione dello Stato membro interessato. Seguendo l'impostazione rigorosamente privatistica delle nuove misure, dopo che sia intervenuto con fondi propri lo Stato o società di Stato non è possibile l'assegnazione a privati di strumenti di capitale primario di classe 1. La risoluzione
Il vero cuore delle nuove procedure di intervento nelle crisi bancarie è l'istituto, finora sconosciuto al nostro diritto, della c.d. risoluzione, che comprende, ai sensi dell'art. 39, comma 1, un possibile complesso articolato di misure, anche variamente combinate, che possono essere la cessione di beni e rapporti giuridici a un soggetto terzo, la cessione di beni e rapporti giuridici a un ente-ponte, la cessione di beni e rapporti giuridici a una società veicolo per la gestione delle attività ed infine il bail-in.
La cessione di beni e rapporti giuridici a una società veicolo per la gestione delle attività è disposta solo congiuntamente ad una delle altre misure, e ciò si spiega con la natura dell'operazione, finalizzata a reimmettere sul mercato la banca dopo averla depurata dalle passività insostenibili.
La risoluzione è avviata (art. 32) con un provvedimento di Bankitalia previa approvazione del Ministero dell'Economia e Finanze (in mancanza di specificazioni della norma, deve intendersi approvazione data con decreto) che contiene soprattutto il programma di risoluzione, per i cui elementi costitutivi rinviamo al medesimo art. 32. Non stupisce, ma in verità neppure rincuora, che (ultimo comma) il procedimento sia dichiarato espressamente fuori dell'applicazione della L. 241/1990 in tema di trasparenza dell'attività della P.A.
I principi della risoluzione sono individuati dall'art. 22. Di particolare rilievo la disposizione che l'alta dirigenza della banca o del gruppo sottoposto a risoluzione può conservare la carica solo se ciò è funzionale al buon risultato della risoluzione: norma che invero, di regola - dovendosi ritenere difficile un dissesto totalmente incolpevole - sembrerebbe destinata più alla previsione formale che ad una concreta utilizzazione. A determinate condizioni e soprattutto se una società, ancorché non bancaria, controlla una banca, essa stessa può essere sottoposta a risoluzione (art. 33).
L'attuazione del programma di risoluzione è improntata a forme libere, potendosi ricorrere all'opera di commissari speciali, ma anche ad atti che tengano luogo di quelli dei competenti organi sociali, degli azionisti e dei titolari di altre partecipazioni (in pratica, statuizioni o infine provvedimenti di carattere particolare sempre di Bankitalia, anche rivolti agli organi dell'ente sottoposto a risoluzione). Al l'atto dell'apertura della risoluzione sono sospesi i diritti di voto in assemblea e gli altri diritti derivanti da partecipazioni che consentono di influire sull'ente sottoposto a risoluzione e decadono gli organi di amministrazione e di controllo e l'alta dirigenza dell'ente sottoposto a risoluzione, salvo che sia diversamente disposto dal provvedimento di avvio della risoluzione. Come già dicemmo, appare difficile ipotizzare che sopravvivano gli organi di amministrazione e controllo e l'alta dirigenza, se la situazione della banca o del gruppo ha reso necessaria la pur sempre devastante misura della risoluzione.
Elementi che rafforzano la convinzione che l'intera procedura di risoluzione sia di natura eminentemente pubblicistica e dirigistica, gli atti posti in essere nel corso della risoluzione non sono soggetti ad azioni revocatorie, (art. 35, comma 2) mentre l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità e di quella dei creditori sociali contro i membri degli organi amministrativi e di controllo e il direttore generale, dell'azione contro il soggetto incaricato della revisione legale dei conti, nonché dell'azione del creditore sociale contro la società o l'ente che esercita l'attività' di direzione e coordinamento spettano ai commissari speciali sentito il comitato di sorveglianza, previa autorizzazione della Banca d'Italia. In mancanza di loro nomina, l'esercizio dell'azione spetta al soggetto a tal fine designato dalla Banca d'Italia. Ipotesi di sostituzione legale nell'esercizio dell'azione di responsabilità che non facoltizza in via alternativa o sussidiaria, ma trasferisce l'azione dai soggetti che ne avrebbero diritto agli organi della risoluzione o alla stessa Bankitalia, come par di capire dal tenore letterale della norma (spettano, comma 3 dell'art. 35).
Gli organi della liquidazione sono commissari speciali (art. 38) che agiscono totalmente sotto il controllo – che meglio definiremmo imperio – della Banca d'Italia, che è pure competente a dichiarare la chiusura del procedimento quando si sono realizzati gli obbiettivi della risoluzione o quando non è possibile fare altro che quanto portato a compimento.
Dopo la risoluzione, è possibile per espressa previsione normativa una fase di liquidazione coatta amministrativa, per provvedere alla definitiva liquidazione di attività e passività che fossero rimaste nel patrimonio del soggetto sottoposto a risoluzione dopo la sua chiusura. Cessione di beni e rapporti giuridici
Il decreto legislativo, una sorta di mini-codice della crisi bancaria, enumera, descrive e regolamenta con molta puntigliosità le varie misure che fanno capo al percorso della risoluzione.
Uno degli strumenti tipici della risoluzione è la cessione, che può articolarsi in cessione a terzi (art. 40), cessione ad un ente-ponte, strumento di diritto pubblico dotato di statuto (art. 42) o ad una società veicolo, organismo di diritto privato costituito in forma societaria (art. 45).
Diverse le caratteristiche della cessione a terzi, di natura liquidatoria e dismissiva diretta, rispetto a quelle mediante ente-ponte o società-veicolo, per loro natura, ma con differenti modalità e presupposti, finalizzate a detenere con poteri gestori le attività dell'ente sottoposto a risoluzione fino a quando le condizioni di mercato siano al meglio possibile per consentire il successivo trasferimento ad un nuovo soggetto terzo, che prosegua in regime di mercato l'attività bancaria. L'art. 47 disciplina gli effetti dei vari tipi di cessione applicabili ai rapporti giuridici fra cedente, cessionario e terzi. Il bail-in
La terza sezione del provvedimento, articoli da 48 a 59, disciplina quello che è comunemente evocato come il fulcro dei nuovi provvedimenti, il bail-in e che, in realtà, non è stato compiutamente applicato alle procedure di risoluzione poste in essere con il decreto legge 183/2015 sopra citato e con i provvedimenti amministrativi precedenti e successivi connessi con tale procedura di risoluzione che potremmo definire plurima, avendo riguardato più soggetti bancari uniti da una serie omologa e coordinata di misure di risoluzione. Impossibile esaminare partitamente un istituto giuridico finora sconosciuto al nostro diritto positivo, su cui si dovrà, anche sulla base della prassi, molto studiare in futuro anche alla luce della sua inevitabile applicabilità alla risoluzione delle crisi bancarie a partire dal 2016.
Il bail-in è disposto (art. 48) per ripristinare il patrimonio nella misura necessaria al rispetto dei requisiti prudenziali e idonea a ristabilire la fiducia del mercato, se l'applicazione del bail-in, anche unitamente alle misure di riorganizzazione aziendale, è sufficiente a prospettarne il risanamento o, in caso di cessione, per ridurre il valore nominale delle passività cedute, inclusi i titoli di debito, o per convertire queste passività in capitale. Nei confronti del soggetto al quale viene applicato il bail-in può essere disposta la trasformazione della forma giuridica, anche successivamente alla chiusura della risoluzione. Non si applicano (comma 2) gli articoli 2437, 2497-quater, 2545-undecies, nè le disposizioni della Sezione I del Capo X del Titolo V del Libro V del codice civile, ad eccezione degli articoli 2498 e 2500, che si applicano in quanto compatibili.
Sono esclusi dal bail-in: a) i depositi protetti; b) le passività garantite, incluse le obbligazioni bancarie garantite, le passività derivanti da contratti derivati di copertura dei rischi dei crediti e dei titoli ceduti a garanzia delle obbligazioni, nel limite del valore delle attività poste a garanzia delle stesse, nonché le passività nei confronti dell'amministrazione tributaria ed enti previdenziali, se i relativi crediti sono assistiti da privilegio o altra causa legittima di prelazione; c) qualsiasi obbligo derivante dalla detenzione da parte dell'ente sottoposto a risoluzione di disponibilità dei clienti, inclusa la disponibilità detenuta nella prestazione di servizi e attività di investimento e accessori ovvero da o per conto di organismi d'investimento collettivo o fondi di investimento alternativi, a condizione che questi clienti siano protetti nelle procedure concorsuali applicabili; d) qualsiasi obbligo sorto per effetto di un rapporto fiduciario tra l'ente sottoposto a risoluzione e un terzo, in qualità di beneficiario, a condizione che quest'ultimo sia protetto nelle procedure concorsuali applicabili; e) passività con durata originaria inferiore a sette giorni nei confronti di banche o SIM non facenti parte del gruppo dell'ente sottoposto a risoluzione; f) passività con durata residua inferiore a sette giorni nei confronti di un sistema di pagamento o di regolamento titoli o di una controparte centrale, nonché dei suoi gestori o partecipanti, purché le passività derivino dalla partecipazione dell'ente sottoposto a risoluzione ai sistemi; g) passività nei confronti dei: 1) dipendenti, limitatamente alle passività riguardanti la retribuzione fissa, i benefici pensionistici o altra componente fissa della remunerazione. Il bail-in e' applicato alla componente variabile della remunerazione, salvo che essa sia stabilita da contratti collettivi. In ogni caso, esso e' applicato alla componente variabile della remunerazione del personale più rilevante identificato ai sensi del Regolamento (UE) n. 604/2014; 2) fornitori di beni o servizi necessari per il normale funzionamento dell'ente sottoposto a risoluzione; 3) sistemi di garanzia dei depositanti, limitatamente ai contributi dovuti dall'ente sottoposto a risoluzione per l'adesione ai sistemi.
Come si vede una sorta di “chiamata alle armi” assai ampia, con poche e ben circoscritte eccezioni, estendendosi persino ai dipendenti per le componenti variabili della retribuzione e, a contrario, persino a fornitori di beni e servizi che non fossero ritenuti necessari al normale funzionamento del soggetto sottoposto a risoluzione.
Attraverso un complesso meccanismo di esenzione previsto dal comma 2 dell'art. 49, e per stringenti motivazioni di ordine generale, possono eccezionalmente essere escluse, del tutto o in parte, dall'applicazione del bail-in anche altre poste. Il procedimento di esenzione prevede la previa notifica da parte della Banca d'Italia alla Commissione Europea. Nel caso di ammissione dell'esclusione gli effetti sono trasferiti ai titolari delle altre passività soggette a bail-in mediante la loro riduzione o conversione in capitale o, congiuntamente o alternativamente, al fondo di risoluzione. Il fondo di risoluzione è uno degli strumenti essenziali alle procedure di risoluzione e la sua misura è necessaria per tutte le operazioni finanziarie necessarie all'attuazione della procedura. Esso è finanziato da contributi ordinari e può disporre (come del resto ha statuito il D.L. 183/2015 per le quattro banche già sottoposte a procedimento di risoluzione) anche dei contributi che potrà riscuotere nel triennio successivo.
Il provvedimento si occupa anche (art. 50) di determinare il requisito minimo a regime delle passività per essere soggette a bail-in. In poche parole, ogni banca dovrà poter assicurare prognosticamente, nel caso fosse sottoposta a procedura di risoluzione, di poter conseguire i risultati previsti dalla norma e che, in caso di applicazione del bail-in, vi siano passività sufficienti per assorbire le perdite e per assicurare il rispetto del requisito di capitale primario di classe 1 previsto per l'autorizzazione all'esercizio dell'attività' bancaria, nonché per ingenerare nel mercato una fiducia sufficiente in essa.
La materia è tutta disciplinata, sentita quando occorre la BCE, da provvedimenti individuali o generali della Banca d'Italia. Anche l'importo del bail-in è determinato nel quadro del piano di risoluzione essendo finalizzato a consentire all'ente, o all'ente ponte, di rispettare almeno per un anno i requisiti prudenziali di esercizio del credito tenuto conto del contributo del fondo di risoluzione e di ogni altro strumento finanziario applicabile. Se in sede di valutazione definitiva il bail-in risultasse inferiore a quello originariamente previsto, sarà possibile il ripristino del capitale per la differenza.
Si ritiene opportuno riportare pressoché integralmente il contenuto dell'art. 52 del decreto, in quanto si tratta di un ordine di graduazione che rende chiaro come deve essere applicato il bail-in alle varie categorie di soggetti tenuti a parteciparvi.
Sono ridotti, fino alla concorrenza delle perdite quantificate dalla valutazione provvisoria e poi definitiva della procedura di risoluzione: 1) le riserve e il capitale rappresentato da azioni, anche non computate nel capitale regolamentare, nonché dagli altri strumenti finanziari computabili nel capitale primario di classe 1, con conseguente estinzione dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali; 2) il valore nominale degli strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1, anche per la parte non computata nel capitale regolamentare; 3) il valore nominale degli elementi di classe 2, anche per la parte non computata nel capitale regolamentare; 4) il valore nominale dei debiti subordinati diversi dagli strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 o dagli elementi di classe 2; 5) il valore nominale delle restanti passività ammissibili. Una volta assorbite le perdite, o in assenza di perdite, gli strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 sono convertiti, in tutto o in parte, in azioni computabili nel capitale primario di classe 1. Se le misure precedenti non sono sufficienti, gli elementi di classe 2 sono convertiti, in tutto o in parte, in azioni computabili nel capitale primario di classe 1. Se le misure precedenti non sono sufficienti, i debiti subordinati diversi dagli strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 o dagli elementi di classe 2 sono convertiti in azioni computabili nel capitale primario di classe 1. Se le misure precedenti non sono sufficienti, le restanti passività ammissibili sono convertite in azioni computabili nel capitale primario di classe 1. Le misure sono disposte: a) in modo uniforme nei confronti di tutti gli azionisti e i creditori dell'ente appartenenti alla stessa categoria, proporzionalmente al valore nominale dei rispettivi strumenti finanziari o crediti, secondo la gerarchia applicabile in sede concorsuale e tenuto conto delle clausole di subordinazione, salvo quanto previsto dall'articolo 49, commi 1 e 2; b) in misura tale da assicurare che nessun titolare degli strumenti, degli elementi o delle passività ammissibili di cui al comma 1 riceva un trattamento peggiore rispetto a quello che riceverebbe se l'ente sottoposto a risoluzione fosse stato liquidato nel momento in cui e' stata accertata la sussistenza dei presupposti per l'avvio della risoluzione, secondo la liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal Testo Unico Bancario o altra analoga procedura concorsuale applicabile; c) tenendo conto del valore nominale degli strumenti finanziari o dei crediti, al netto dell'eventuale compensazione tra crediti e debiti, purché' i relativi effetti siano stati fatti valere da una delle parti prima dell'avvio della risoluzione; resta ferma l'applicazione degli articoli 54 e 91; d) in caso di passività contestate, sull'ammontare riconosciuto dall'ente sottoposto a risoluzione; definita la contestazione, il bail-in e' esteso sull'eventuale eccedenza e il valore delle passività nei confronti delle quali e' stato attuato il bail-in e' ripristinato per la differenza. Le misure di cui al comma 1 sono adottate anche nei confronti dei titolari di azioni o di altre partecipazioni, emesse o attribuite: a) in virtù della conversione di titoli di debito in azioni o altre partecipazioni, a norma delle condizioni contrattuali dei medesimi titoli di debito, al verificarsi di un evento precedente o simultaneo al provvedimento di avvio della risoluzione; b) in virtù della conversione degli strumenti di capitale in azioni computabili nel capitale primario di classe 1 a norma del Capo II. Prima di applicare la riduzione di cui al comma 1, lettera a), punto v), o la conversione di cui al comma 1, lettera e), e' ridotto o convertito, secondo l'ordine indicato nel comma 1, il valore nominale di tutti gli altri strumenti che contengono clausole - non ancora attivate - in base alle quali il loro valore nominale è ridotto o convertito in strumenti di capitale primario di classe 1 al verificarsi di eventi relativi alla situazione finanziaria, alla solvibilità o al livello dei fondi propri dell'ente sottoposto a risoluzione. Se il valore nominale di uno strumento e' stato ridotto, ma non azzerato, per effetto di una clausola di cui al presente comma, l'ammontare residuo e' soggetto all'applicazione del bail-in. La riduzione di cui al comma 1, lettera a), ha effetto definitivo e ha luogo senza che sia dovuto alcun indennizzo, fatto salvo quanto stabilito dagli articoli 51, comma 2, e 89, comma 1. Gli azionisti e i creditori perdono ogni diritto, fatta eccezione per quelli già maturati e per l'eventuale diritto al risarcimento del danno in caso di esercizio illegittimo dei poteri di risoluzione. In caso di conversione, il numero di azioni da attribuire ai titolari di strumenti di capitale e' determinato secondo quanto previsto dall'articolo 55. Salvo patto contrario, in caso di passività oggetto di bail-in, il bail-in non pregiudica il diritto del creditore nei confronti dei condebitori in solido, dei fideiussori o di altri terzi a qualunque titolo tenuti a rispondere dell'adempimento della passività oggetto di riduzione. L'eventuale azione di regresso nei confronti dell'ente sottoposto a risoluzione o di una componente del gruppo di cui esso fa parte e' ammessa nei limiti di quanto dovuto da questi ultimi a seguito del bail-in.
Come si vede, scientemente abbiamo riportato pressoché integralmente le regole per l'imputazione del bail-in alle varie categorie, al fine di farne comprendere l'intrinseca complessità e la pressoché totale mancanza di strumenti di controllo esogeni rispetto alle attività di conduzione della procedura di risoluzione da parte di Bankitalia e degli organi della procedura da lei nominati.
Particolarmente rilevanti sono le disposizioni di cui all'art. 53, che determinano nel complesso la validità degli effetti “automatici” del bail-in in deroga alle disposizioni in materia di autorizzazioni e comunicazioni ordinariamente necessarie in caso di acquisti o incrementi di partecipazioni qualificate e a quelle degli artt. 2527 e 2528 c.c., degli artt. 106, comma 1 e 109, comma 1 del T.U.F. e a quelle limitative di possesso di titoli e di contiguità territoriale compresi quelli di cui agli artt. 30 e 34 T.U.B. Poiché ciò può frequentemente capitare nei casi di banche popolari e banche di credito cooperativo, la Banca d'Italia stabilisce un termine temporale per la ricostituzione dei limiti e dei requisiti. Decorso inutilmente, si procede alla trasformazione in ordinaria società per azioni.
Anche i derivati (art. 54) sono sottoposti al bail-in, ma solo al momento del close-out del derivato o successivamente ad esso.
E' immancabilmente la Banca d'Italia a stabilire il valore della passività derivanti da derivati, come del resto in generale (art. 55) il tasso di conversione del debito in capitale che compensi adeguatamente il creditore per le perdite subite a seguito della riduzione o conversione. E' ammissibile l'applicazione di tassi di conversione diversi a categorie aventi posizione diversa nell'ordine di priorità applicabile alle passività in sede concorsuale. Un elemento di più per assimilare la procedura di risoluzione ad una procedura concorsuale meramente amministrativa e priva di controllo giurisdizionale.
Quando il bail-in è applicato per ricapitalizzare un ente sottoposto a risoluzione è redatto e attuato un piano di riorganizzazione aziendale.
Rinviamo all'art. 56 per la descrizione, invero persino minuziosa e di dettaglio, delle procedure di formazione di tale piano, redatto da commissari speciali e alla cui formazione è prevista la partecipazione anche della BCE, dell'ABE e di altre eventuali autorità di risoluzione se si tratta di una risoluzione di gruppo con più soggetti anche esteri. Colpisce l'assoluta mancanza se non di un concerto almeno di una previsione informativa verso tutti i soggetti interessati e di strumenti di controllo esogeno che la complessità e consistenza di tali procedure renderebbe fisiologici.
Gli effetti del bail-in si possono definire sostanzialmente “automatici”, tanto che decorrono dal momento dell'apertura della procedura di risoluzione (art. 57, con altre disposizioni in tema di effetti sui relativi titoli e negozi giuridici).
Riteniamo di dover e poter solo rinviare, nella brevità di un'esposizione sommaria, alle disposizioni del Decreto legislativo quanto alla rimozione occorrendo forzosa degli ostacoli giuridici al bail-in (art. 58) e al riconoscimento contrattuale del bail-in (art. 59). Poteri della risoluzione
Mai parola fu usata più appropriatamente di “poteri” in riferimento a quanto ricade nella sfera giuridica attiva della Banca d'Italia nell'attività di risoluzione. Gli art. 60 (poteri generali) e 61 (poteri accessori) conferiscono a Bankitalia signoria pressoché illimitata nel condurre il procedimento di risoluzione.
Come più volte da noi segnalato anche in riferimento ad altre parti del procedimento, è espressamente consentito a Bankitalia di agire senza acquisire il consenso di alcun ente pubblico e privato e senza preventivamente dar corso ad alcuna procedura informativa (comma 2, lettere a e b dell'art. 60). Un dispiegamento potestativo che francamente inquieta e che non trova alcuna giustificazione nel sistema di tutela dei diritti costituzionalmente garantiti e su cui il legislatore, sia delegante sia delegato, avrebbe dovuto gettare uno sguardo meno benevolo e transigente, essendo evidente che non conviene neppure all'effettiva stabilità e certezza del sistema che esso sia sostanzialmente affidato alla potestatività incontrastata del regolatore Bankitalia, che trarrebbe da strumenti di controllo e verifica anche lo stimolo ad agire con maggiore trasparenza ed efficacia di quanto richiedano norme del tutto prive di ogni previsione di controllo.
Numerose altre disposizioni conferiscono alla Banca d'Italia anche il potere di disporre in tema di contratti di fornitura di servizi, che possono essere trasmessi al cessionario (art. 62) alla esclusione di talune disposizioni contrattuale (art. 65) alla sospensione di obblighi di pagamento e consegna (art. 66) alla limitazione dell'escussione di garanzie (art. 67) ed alla sospensione temporanea dei c.d. meccanismi terminativi (art. 68). Un imponente armamentario di strumenti derogatori agli ordinari istituti del diritto civile, sempre in mano a Bankitalia, da utilizzare per il buon andamento della procedura di risoluzione.
Le norme del decreto (art. 63 e 64, artt. da 70 a 77) si occupano anche delle ipotesi di risoluzioni multinazionali, per essere oggetto di risoluzioni di gruppo con sedi territorialmente diffuse o con enti bancari operanti in varie forme giuridiche su più territori nazionali. Le disposizioni, improntate alla cooperazione e, in via solo subordinata e residuale, alla tutela dell'interesse nazionale e del sistema finanziario del paese, si incentrano sui collegi di risoluzione, organismi nazionali o internazionali di cui fanno parte le autorità interessate dei vari stati, compresa Bankitalia ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze per l'Italia, organi di compensazione degli interessi contrapposti che comprensibilmente possono registrarsi fra diversi sistemi economici e giuridici nazionali. I fondi di risoluzione
Terminiamo questa breve esposizione degli elementi della risoluzione con il richiamo, come elemento fondamentale della procedura, dei fondi di risoluzione, costituiti e regolati secondo gli artt. 78 e seguenti del decreto. Il Fondo o i Fondi, perché la norma consente di costituirne più d'uno, sono patrimoni di destinazione costituiti presso la Banca d'Italia o presso altri soggetti dalla medesima designati, con l'unico scopo vincolato di concorrere all'attuazione delle procedure di risoluzione e sottratti ex lege ad ogni altro vincolo, compresi eventuali creditori della Banca d'Italia.
L'art 79 individua le finalità ammissibili di destinazione delle somme di cui il o i fondi dispongono. Stupisce che sebbene la norma (art. 78, comma 3) facoltizzi espressamente la Banca d'Italia ad utilizzare per delega i sistemi di garanzia dei depositanti riconosciuti ai sensi dell'art. 96 del Testo Unico Bancario attribuendo loro le funzioni del Fondo, la UE abbia ritenuto che l'intervento del Fondo di Garanzia fosse qualificabile come aiuto di Stato nelle procedure di risoluzione avviate e di cui al D.L. 183 del 22/11/2015. Interessante notare che entro il 31/12/2024 (termine prorogabile da Bankitalia) la dotazione complessiva dei fondi dovrà essere almeno pari all'1 % dei depositi protetti (art. 81, comma 1).
I Fondi vengono alimentati con contributi ordinari e straordinari del sistema bancario e sono ammesse operazioni finanziarie e mutualizzazioni; interessante che almeno in parte interverranno ad alimentarli in caso di risoluzione anche i sistemi di garanzia, limitatamente a quanto avrebbero dovuto corrispondere per i depositi protetti se fossero stati soggetti a bail-in o, in caso di cessione, alle perdite che i medesimi avrebbero dovuto subire se fossero stati obbligati a bail-in. Non si tratta di aiuti di stato, in quanto si tratta di interventi pur sempre derivanti da capitale non pubblico, ma se tale procedura è corretta ed ammissibile ex lege sono fragili le motivazioni che hanno già qualificato a quanto si sa come vietato – forse perché diretto – l'intervento dei sistemi di garanzia nei procedimenti di risoluzione ora in corso.
Delle salvaguardie e delle tutele giurisdizionali (art. 87 – 95) abbiamo già in parte detto, ed è necessario che si avvii un più corposo dibattito onde valutare se e quali strumenti di tutela abbiano in concreto a disposizione i soggetti che a vario titolo sono già e saranno interessati e come agiranno, così come al momento non si può che segnalare che è stato anche previsto un apparato di nuove sanzioni amministrative (art. 96 – 98) e una serie di norme finali e transitorie in verità poco efficaci, tanto che poi è stata già necessaria al fine di provvedere all'attuazione di procedure di risoluzione all'emanazione di un nuovo seppur limitato strumento normativo primario.
Considerati i dati a disposizione, desumibili anche e soprautto in via ufficiale dalla relazione della Banca d'Italia per il 2014 sulle procedure di L.C.A. in corso e sulle criticità di numerosi istituti di credito, si apre un cantiere assai complesso e difficile da gestire di riordino dell'intero sistema creditizio italiano, con nuove e più stringenti regole di condotta. |