Bancarotta documentale fraudolenta e semplice: somiglianze e (spesso trascurate) differenze

Ciro Santoriello
02 Febbraio 2017

Analogamente a quanto previsto con riferimento all'ipotesi di bancarotta patrimoniale anche per la bancarotta documentale il Legislatore differenzia il trattamento sanzionatorio da riservare a variegate forme di inidonea tenuta delle scritture contabili da parte dell'imprenditore. Se infatti l'art. 216, comma 1 n. 2, r.d. 267 del 1942 punisce con la reclusione da tre a dieci anni chi sottrae, distrugge o falsifica, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o ...
Abstract

Analogamente a quanto previsto con riferimento all'ipotesi di bancarotta patrimoniale – in cui accanto a fattispecie riferite a condotte assai gravi, caratterizzate da una volontà predatoria del patrimonio sociale (il riferimento chiaramente è ai comportamenti di distrazione, occultamento, dissimulazione, distruzione e dissipazione di cui all'art. 216, comma 1, n. 1 r.d. 267 del 1942), sono presenti figure criminose connotate da una sorta di “disattenzione” e “negligenza” dell'imprenditore in ordine ad un'adeguata gestione e conservazione del patrimonio dell'impresa (dando così luogo alle diverse ipotesi di cui ai nn. 1 - 3 del primo comma dell'art. 217 l. fall.) – anche per la bancarotta documentale il Legislatore differenzia il trattamento sanzionatorio da riservare a variegate forme di inidonea tenuta delle scritture contabili da parte dell'imprenditore.

Se infatti l'art. 216, comma 1 n. 2, r.d. 267 del 1942 punisce con la reclusione da tre a dieci anni chi sottrae, distrugge o falsifica, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li tiene in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, il successivo art. 217 della medesima legge fallimentare, al comma 2, punisce in maniera decisamente meno severa – con la reclusione da sei mesi a due anni – chi, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.

La contestuale presenza, nel diritto penale fallimentare, di due ipotesi sanzionatorie di condotte di “censurabile” tenuta, da parte dell'imprenditore fallito, delle scritture contabili della sua impresa rende indispensabile rinvenire una distinzione fra tali fattispecie. La ragione della necessità di tale differenziazione è evidente: a prescindere dalla significativa diversità di trattamento sanzionatorio, è già dalla fase delle indagini che è decisivo comprendere se ci si trova davanti ad una ipotesi di bancarotta documentale semplice o fraudolenta, posto che – ad esempio – solo nel secondo caso è possibile l'utilizzo di determinati strumenti istruttori (come le intercettazioni) o l'adozione di provvedimenti cautelari personali, così come definire se ci si trova innanzi all'una o all'altra fattispecie è valutazione che incide sulla procedura da seguire in caso di esercizio dell'azione penale – posto che solo laddove si proceda per bancarotta fraudolenta documentale dovrà tenersi l'udienza preliminare e, in caso di dibattimento, sarà competente il tribunale in composizione collegiale.

Tuttavia, nonostante la rilevanza di tale distinguo, definire quando si sia in presenza dell'una o dell'altra ipotesi è tutt'altro che agevole e tale difficoltà, come vedremo, si riscontra tanto nell'ipotesi in cui, dopo la dichiarazione di fallimento, si rinvenga nella disponibilità dell'impresa una contabilità tenuta in maniera non conforme alle prescrizioni di legge (nel qual caso è la gravità delle irregolarità riscontrate a indurre a qualificare i fatti in termini di bancarotta documentale fraudolenta o semplice), quanto nel caso in cui il curatore ed in suoi ausiliari non trovino alcuna traccia della documentazione contabile (dovendosi allora definire se tale contabilità non è stata mai tenuta o è stata in qualche modo occultata alla curatela fallimentare).

Per l'analisi di tali problemi può essere utile premettere alcune brevi annotazioni circa i reati di bancarotta documentale nelle due forme, fraudolenta e semplice.

La bancarotta fraudolenta documentale

Nell'ipotesi più grave di cattiva gestione della contabilità, la legge fallimentare ricomprende due ipotesi, da un lato le condotte – equivalenti sotto il profilo della lesione che apportano al bene giuridico protetto – di sottrazione, distruzione e falsificazione dei libri o le altre scritture contabili e dall'altro l'ipotesi, cosiddetta di carattere generale, di pessima tenuta di tale documentazione. In ogni caso, trattandosi, al pari degli altri reati di bancarotta, di un reato di pericolo, non occorre che tali modalità di conduzione della contabilità abbiano cagionato un danno per l'impresa.

Ribadito che secondo la giurisprudenza le condotte di mancata consegna ovvero di sottrazione, di distruzione, sono tra loro equivalenti, con la conseguenza che non è necessario accertare quale di queste ipotesi si sia in concreto verificata se è comunque certa la sussistenza di una di esse (Cass. pen., Sez. V, 22 settembre 2016, n. 39681. Di contro, stante la diversità dell'elemento soggettivo richiesto per la sussistenza dell'una o dell'altra ipotesi, in caso di contestazione di una fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, occorre specificare se si intende procedere per l'ipotesi di sottrazione o distruzione della contabilità o di intenzionale irregolare tenuta della stessa, Cass. pen., Sez. V, 8 novembre 2016, n. 46692), quanto alle condotte descritte dal citato comma 2 dell'art. 216 l. fall. può dirsi che:

a) per sottrazione si intende il comportamento diretto ad impedire che le scritture contabili cadano nella disponibilità degli organi della procedura;

b) la distruzione è l'annientamento fisico (totale o parziale) del documento (es. incendio) ovvero del suo contenuto (mediante cancellature, abrasioni, ecc.), tale da impedire la sua finalità probatoria;

c) la falsificazione infine consiste nell'alterazione materiale o ideologica della scrittura o nella consegna alla curatela di documentazione non genuina;

d)quanto alla tenuta delle scritture in guisa da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari con tale formula il legislatore ha inteso fare riferimento alla redazione delle scritture incompleta, disorganica e frammentaria, tale da non consentire una ricostruzione del patrimonio e dei fatti di gestione di impresa.

Tutte le condotte descritte dall'art. 216, comma 1, n. 2, r.d. 267 del 1942, devono avere ad oggetti essenzialmente i documenti di cui all'art. 2214 c.c., nonché le scritture primarie (lettere, telegrammi, fatture, ricevute e copia della corrispondenza spedita e pervenuta: per cui, ad esempio, i fissati bollati rappresentativi di contratti mai stipulati, in quanto inidonei a costituire ostacolo alla ricostruzione del movimento degli affari della società non costituiscono oggetto materiale del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, cfr. Cass. pen., Sez. V, 16 aprile 2009, n. 36595; del pari irrilevante è l'invio da parte dell'amministratore di una società finanziaria ai clienti di rendiconti trimestrali contraffatti – in quanto rappresentativi di operazioni inesistenti – al fine di non evidenziare le perdite dagli stessi subite, non utilizzati per la contabilità ufficiale e non inviati successivamente al curatore fallimentare, Cass. pen., Sez. V, 16 aprile 2009, n. 36595); sono, quindi, esclusi dal novero dei documenti rilevanti per la sussistenza del reato in parola i libri sociali poiché l'oggetto della protezione è la portata "contabile" della documentazione (in senso contrario, con riferimento al libro soci per le S.R.L., relativamente al periodo antecede la riforma introdotta con il d.l. 185/2008 che ha escluso l'obbligo di tenuta di tale documentazione, Cass. pen., Sez. V, 23 giugno 2015, n. 26458).

Di particolare rilievo pratico è la distinzione fra la presente fattispecie di reato ed il delitto di falso in bilancio. La giurisprudenza ha più volte ribadito la non piena sovrapposizione fra la falsità dei dati di bilancio rilevante ai sensi dell'art. 2621 c.c. e la falsità delle scritture oggetto della bancarotta documentale, per cui ad esempio non integra quest'ultima fattispecie delittuosa la mera inosservanza dei criteri civilistici di redazione del bilancio quand'anche dall'inosservanza degli stessi derivi la falsità di tale comunicazione contabile e va comunque esclusa la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale in relazione ad annotazioni mendaci contenute nel bilancio: in questo caso, infatti, ricorre la sola ipotesi di falso in bilancio di cui all'art. 2621 c.c. (Cass. pen., Sez. V, 8 novembre 2016, n. 46689).

Quanto all'elemento soggettivo, lo stesso – ferma la necessità della rappresentazione dell'azione anti-doverosa – si atteggia diversamente a seconda dell'ipotesi comportamentale presa in considerazione. Nel caso di sottrazione, distruzione e falsificazione della contabilità è necessario un dolo specifico, individuato, in via alternativa, nello scopo di recare a sé o ad altri ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori; di contro per il comportamento proteso a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari è sufficiente la consapevolezza dell'agente che la confusa tenuta della contabilità può concretare l'evento del reato (Cass. pen., Sez. V, 4 agosto 2016, n. 34423; Cass. pen., Sez. V, 30 aprile 2015, n. 18143. In dottrina, nel senso che il dolo specifico è invece necessario per tutte le condotte, perché solo in questo modo si eviterebbe di ricondurre alla bancarotta fraudolenta documentale condotte che esulano dall'oggettività giuridica della norma, come nel caso in cui l'imprenditore abbia falsificato le scritture contabili non per recare pregiudizio ai creditori, ma solo per sottrarsi agli esiti di una verifica tributaria, DESTITO; CAPPITELLI).

La bancarotta semplice documentale

Decisamente meno complessa è la condotta di bancarotta semplice documentale di cui all'art. 217, comma 2, legge fallimentare, in cui viene ad essere punita l'omessa o irregolare o incompleta tenuta della contabilità – senza che ne derivi non essendo necessario, la sussistenza di un pregiudizio effettivo in capo alla procedura fallimentare o ai creditori (Cass. pen., Sez. V, 18 maggio 2016, n. 20965, inedita, secondo cui il reato di bancarotta semplice documentale è reato di pericolo presunto e mira ad evitare che vi siano ostacoli all'attività di ricostruzione del patrimonio e dei movimenti di affari della società da parte degli organi fallimentari, con possibile pregiudizio degli interessi dei creditori: la finalità ultima della norma è, quindi, quella di consentire ai creditori l'esatta conoscenza della consistenza del patrimonio del fallito sul quale potersi soddisfare). La condotta deve collocarsi entro il triennio antecedente al fallimento, con la precisazione che la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili non deve protrarsi per l'intero triennio precedente alla dichiarazione di fallimento, sussistendo il reato anche se tale condotta venga tenuta, durante il periodo di tempo indicato, per un arco temporale inferiore ai tre anni (si ricorda che la cessazione dell'attività non esclude l'obbligo della tenuta della regolare contabilità, anche se manchino passività insolute, se non formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese: soltanto con questo adempimento si può dire esaurito l'obbligo di tenere le scritture contabili (Cass. pen., Sez. V, 19 aprile 2011, n. 20911).

Quanto all'oggetto materiale della condotta in parola, il Legislatore intende riferirsi alle sole scritture prescritte dalla legge, ossia ogni scrittura obbligatoria ex art. 2214 c.c., corredo che non può essere sostituito da eventuali scritture facoltative (come quelle con finalità fiscale, contributiva).

La condotta descritta dal citato art. 217 l. fall. può essere sorretta tanto da dolo che colpa – nonostante tale atteggiamento soggettivo non sia espressamente richiamato dalla disposizione (Cass. pen., Sez. V, 18 maggio 2016, n. 20695) – salvo che sia provata una specifica intenzionalità ad impedire la ricostruzione del movimento degli affari, caso in cui ricorre la fattispecie dell'art. 216, n. 2, l. fall. Quanto alla rilevanza dell'errore sugli obblighi contabili dettati dalla normativa civilistica, la dottrina maggioritaria qualifica lo stesso come errore su legge extrapenale integrativa del precetto penale, ai sensi dell'art. 5 c.p., con conseguente irrilevanza dello stesso ai fini dell'esclusione del fatto punibile (CARRERI), anche se non mancano autori che fanno riferimento all'errore sul fatto ai sensi dell'art. 47 c.p., nel senso che essendo l'individuazione delle scritture obbligatorie connessa alla natura ed alla dimensione dell'impresa, potrebbe ammettersi un errore di valutazione in ordine a tali parametri ed alla conseguente necessità della tenuta delle scritture (SANTORIELLO).

La distinzione fra le ipotesi di bancarotta documentale fraudolenta e semplice. La cattiva ed incompleta tenuta della contabilità

L'analisi, per quanto sintetica, dei reati di bancarotta documentale nelle due forme di bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice dà evidentemente conto delle sovrapposizioni fra queste due figure delittuose e della conseguente difficoltà che può derivarne in ordine alla sussunzione di una determinata vicenda nell'una o nell'altra fattispecie criminosa. In effetti, in un'unica ipotesi è agevole rinvenire una chiara distinzione fra i due reati ovvero quando la condotta delittuosa abbia ad oggetto scritture contabili e documenti la cui conservazione e tenuta non sia obbligatoria per l'imprenditore: come accennato in precedenza, la fattispecie di cui all'art. 217, comma 2, r.d. 267 del 1942 rileva solo se il comportamento ivi descritto ricada su scritture prescritte dalla legge per cui quando la sottrazione, distruzione, cattiva tenuta ecc. riguardi le scritture facoltative si sarà necessariamente in presenza di una fattispecie di bancarotta documentale fraudolenta – sempre che ne ricorrano le altre condizioni ed in specie l'atteggiamento psicologico rappresentato dal dolo di profitto o di danno per i creditori e che si sia determinata un'impossibilità di ricostruire il patrimonio o il movimento degli affari della società.

Indici significativi ed efficaci di differenziazione mancano invece quando, in presenza di una tenuta della contabilità non conforme alle prescrizioni di legge, si discuta se si sia in presenza di una ipotesi di irregolare o incompleta compilazione di tale documentazione di cui al comma 2 dell'art. 217 r.d. 267 del 1942 o se invece le criticità ivi riscontrate impediscano di ricostruire il patrimonio o il movimento degli affari della società fallita, con conseguente sussistenza del ben più grave reato di bancarotta fraudolenta documentale.

Poco aiuta il richiamo – spesso operato dalla giurisprudenza – al diverso elemento soggettivo, nel senso che ai fini dell'integrazione della bancarotta semplice, l'elemento soggettivo può indifferentemente essere costituito dal dolo o dalla colpa, che sono ravvisabili quando l'agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale prevista dall'art. 216, comma primo, n. 2, l. fall., l'elemento psicologico deve essere individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell'imprenditore (Cass. pen., Sez. V, 6 ottobre 2011, n. 48523). Il limite di questa impostazione evidentemente sta proprio nel fatto che la sussistenza dell'uno o dell'altro atteggiamento psicologico può cogliersi solo in considerazione della gravità degli errori e delle incongruenze presenti nella contabilità della società, sicché, in sede di ricostruzione giudiziaria dell'accaduto, non sarà la definizione dell'elemento psicologico a consentire di individuare il reato commesso quanto, all'inverso, sarà la rilevanza delle carenze presenti nella contabilità societaria a far concludere nel senso della sussistenza di un atteggiamento doloso o colposo in capo al fallito.

A conferma di quanto si è detto, può riscontrarsi come la giurisprudenza finisca per fondare la distinzione fra le due ipotesi di reato in parola alla luce delle conseguenze che derivano dalla condotta in ordine alla comprensibilità dei dati economici desumibili dalla documentazione dell'impresa. Detto altrimenti, posto che, per l'integrazione della fattispecie più grave, è necessario sussista una seria difficoltà nella ricostruzione della gestione imprenditoriale – in quanto nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale l'interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile (Cass. pen., Sez. V, 4 agosto 2016, n. 34423) – la Cassazione ad esempio ritiene che anche la parziale omissione del dovere annotativo integri la fattispecie di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, l. fall., in quanto rientra nell'ambito della norma incriminatrice anche la condotta di falsificazione dei dati realizzata attraverso la rappresentazione dell'evento economico in modo incompleto e distorto in ordine alla gestione di impresa e agli esiti della stessa (Cass. pen., Sez. V, 15 novembre 1999, in Dir. Fall., 2001, II, 404).

Di contro, per la bancarotta documentale semplice – non essendo richiesto che le irregolarità determinino una impossibilità di ricostruzione della contabilità societaria e quindi il reato è ravvisabile anche allorquando si può ovviare alle lacune annotative mediante altre tracce contabili tenute dall'imprenditore – si ritiene essersi in presenza di tale delitto quando da un lato la contabilità presenti i contenuti minimi richiesti dalla legge – per cui, ad esempio, in base all'art. 2216 c.c. il libro giornale indichi giorno per giorno le operazioni relative all'esercizio dell'impresa; in base all'art. 2217 c.c. l'inventario, da redigere all'inizio dell'impresa e annualmente, contenga l'indicazione delle attività e delle passività relative all'impresa nonché delle attività e passività dell'imprenditore estranee alla medesima e si chiuda con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite che dimostrino gli utili o le perdite – ma al contempo tale contabilità sia comunque tenuta in maniera difforme rispetto alle previsioni normativa – a titolo esemplificativo, può richiamarsi il caso in cui i libri non presentino numerazione, vidimatura, bollatura (se richiesta, ex artt. 2215, 2216, 2218 c.c.), la tenuta non conforme di libro degli inventari (art. 2217 c.c.), la presenza, nei libri, di spazi bianchi, abrasioni, interlinee (art. 2219 c.c.) ecc.

Segue. L'omessa tenuta della contabilità.

Non bastassero le incertezze di cui abbiamo fatto sopra menzione con riferimento all'ipotesi di cattiva ed irregolare tenuta della contabilità, la giurisprudenza ha sorprendentemente complicato il quadro, sostenendo – in chiaro spregio rispetto alla formulazione linguistica dell'art. 216, comma 1 n. 2, r.d. 267 del 1942 – che anche l'omessa tenuta della contabilità integra gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta – e non quello di bancarotta semplice – qualora si accerti che scopo dell'omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori (Cass. pen., Sez. V, 11 maggio 2015, n. 18556, secondo il dolo generico che caratterizza il reato fraudolento, dovendo consistere nella consapevolezza e volontà che la irregolare tenuta delle scritture rende impossibile la ricostruzione del patrimonio, non può corrispondere e non può essere ritenuta sovrapponibile alla pura semplice volontà di non tenere quelle scritture. Nello stesso senso Cass. pen., Sez. V, 15 aprile 2016, n. 15802).

Riteniamo decisamente inaccettabile tale conclusione, posto che la stessa, come abbiamo già accennato, è innanzitutto in chiaro contrasto con la lettera della legge, che espressamente riconduce tale condotta omissiva e negligenze alla fattispecie di bancarotta semplice (PERINI - DAWAN).

In secondo luogo, la tesi della giurisprudenza ci pare di fatto inapplicabile se non a costo di eliminare ogni possibile spazio di applicazione per la fattispecie di cui all'art. 217 r.d. 267 del 1942. Infatti, come detto, la giurisprudenza pone il confine fra bancarotta documentale fraudolenta e bancarotta documentale semplice nell'atteggiamento soggettivo – intenzionale o colposo – del soggetto agente ma francamente non riusciamo a comprendere come, in presenza di una condotta meramente omissiva quale appunto la mancata tenuta della contabilità, possa sostenersi che un comportamento privo di ogni caratterizzazione (quale appunto la mancata istituzione dei libri contabili) sia inteso ad arrecare un pregiudizio ai creditori a meno che – come detto – si ritenga sostanzialmente priva di ogni efficacia la disposizione di cui all'art. 217 r.d. 267 del 1942: infatti, posto che in ogni caso e quale che sia l'atteggiamento psicologico e l'intenzione dell'imprenditore, l'omessa tenuta della contabilità sicuramente rende in ogni caso impossibile la ricostruzione degli affari e del patrimonio dell'impresa, è facile pronosticare che ogni qualvolta l'imprenditore non avrà ottemperato ai suoi obblighi si concluderà nel senso che tale sua omissione sia stata determinata dall'intenzione di occultare dati informativi essenziali alla curatela e quindi tale omissione sarà senz'altro rilevante ai sensi dell'art. 216, comma 1 n. 2, r.d. 267 del 1942.

In conclusione

Le ultime considerazioni rendono necessario riconoscere come la scelta dell'imprenditore di non provvedere ad istituire la contabilità societaria non possa in alcun modo rappresentare un'ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale. In realtà, il dato da cui partire è che, pur se è vero che tanto in caso di bancarotta documentale fraudolenta che di bancarotta semplice è possibile che la procedura fallimentare non rinvenga la dovuta documentazione contabile, tale circostanza sarà sanzionata ai sensi del citato art. 216 l. fall. solo se l'imprenditore l'ha sottratta o distrutta, mentre se si è in presenza di una mancata istituzione della contabilità si dovrà procedere per il reato meno grave – peraltro secondo una modalità di regolamentazione sanzionatoria che si rinviene anche in altri ambiti, come ad esempio nel diritto penale tributario, posto che la mancata presentazione della dichiarazione fiscale è fattispecie punita meno severamente della presentazione di una dichiarazione infedele. Chiaramente, pur riconosciuta la correttezza di questa distinzione non risolve in maniera risolutiva il problema: infatti, se la differenza fra le ipotesi di bancarotta documentale fraudolenta e di bancarotta semplice diventa, all'interno della nostra ricostruzione, chiara sotto il profilo concettuale, rimane problematica la diversificazione delle due ipotesi sotto il profilo probatorio, giacché si tratterà di comprendere se il mancato rinvenimento dei libri sociali dipende da una intenzionale sottrazione degli stessi o da un loro mancata istituzione.

Per rispondere a tale quesito sarà possibile rifarsi a indici presuntivi – ad esempio, in presenza di una società di rilevanti dimensioni sarà ragionevole ipotizzare che l'impresa non può aver operato in mancanza di una contabilità, per cui il mancato rinvenimento della stessa deriva da una sua sottrazione o distruzione – ma certo non potrà superarsi disinvoltamente il dato letterale degli artt. 216 e 217 r.d. 267 del 1942 che riconduce l'omessa istituzione della contabilità all'ipotesi più lieve di bancarotta semplice.

(Fonte: IlPenalista)

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