Convalidazione del marchio, uso effettivo e quantificazione del danno: il punto della Cassazione

La Redazione
02 Marzo 2016

Con la sentenza n. 4048/2016, la Corte di Cassazione ribadisce alcuni punti fermi in tema di proprietà industriale con particolare riferimento all'istituto della convalidazione per uso del marchio in buonafede per oltre cinque anni, alla decadenza per non uso, nonché al profilo risarcitorio del danno subito dal legittimo titolare del diritto.

Con la sentenza n. 4048/2016, la Corte di Cassazione ribadisce alcuni punti fermi in tema di proprietà industriale con particolare riferimento all'istituto della convalidazione per uso del marchio in buonafede per oltre cinque anni, alla decadenza per non uso, nonché al profilo risarcitorio del danno subito dal legittimo titolare del diritto.

La vicenda. Una s.r.l. conveniva in giudizio un società (con denominazione molto simile alla propria) per la dichiarazione della nullità del marchio usato da quest'ultima per mancanza del requisito della novità. Il Tribunale rigettava la domanda ritenendo fondata l'eccezione sollevata della convenuta relativa alla decadenza del marchio dell'attrice per non uso protrattosi per oltre cinque anni, nonché l'intervenuta convalida del proprio.

In sede di giudizio d'appello la pronuncia veniva ribaltata con la dichiarazione di nullità del marchio della convenuta che veniva inoltre condannata al risarcimento del danno. La società soccombente impugna la pronuncia innanzi ai Giudici di legittimità con un articolato ricorso.

La convalidazione del marchio impedita dalla malafede. Con i primi due motivi, la ricorrente lamenta l'erronea valutazione del comportamento di tolleranza dell'attrice circa l'esistenza e l'uso del proprio marchio per un periodo superiore a cinque anni. Posto il riconoscimento di tale circostanza, i giudici di merito hanno infatti negato una convalidazione dell'uso del segno distintivo della ricorrente a causa della sua malafede.

Richiamando una precedente pronuncia a Sezioni Unite (sent. n. 17927/2008), il Collegio esclude la fondatezza della doglianza e ribadisce che la sussistenza della malafede al momento della registrazione del marchio comporta, come logica conseguenza, che anche l'uso successivo sia caratterizzato da malafede, salvo prova contraria.

La ricorrente non ha fornito alcuna deduzione in merito e dunque si rivela corretta l'affermazione della Corte d'appello circa la prova della malafede che risulta fondata anche su altri fattori, quali la mancanza di affinità tra i prodotti registrati e la notorietà acquisita dal marchio dell'attrice, oltre alla quasi identità dei due segni distintivi sia nella denominazione che nell'aspetto grafico.

Il concetto di uso effettivo del marchio. La sentenza impugnata viene censurata anche con riferimento all'affermazione della mancanza di decadenza del marchio dell'attrice per uso effettivo. Invocando la giurisprudenza comunitaria, la ricorrente afferma che non sussiste un uso effettivo del marchio idoneo ad evitarne la decadenza nell'apposizione dello stesso ad oggetti pubblicitari, trattandosi di un uso non conforme alla funzione essenziale dello stesso. Nonostante la correttezza dell'assunto, la S.C. conferma l'argomentazione con cui la Corte d'appello accertava, sulla base di precise risultanze contabili, la concessione a terzi dell'uso del marchio, comportamento pacificamente riconducibile ad uso effettivo del marchio nella sua tipica funzione di sfruttamento economico dell'opera dell'ingegno.

La quantificazione del danno subito dal titolare. Infine, per quanto attiene alla quantificazione del danno subito dalla società attrice, i Giudici di legittimità ribadiscono che il danno derivante da illeciti in materia di proprietà intellettuale costituisce una specificazione della norma generale di cui all'art. 2043 c.c. e deve essere accertato secondo i criteri della responsabilità aquiliana. La sentenza impugnata ha dunque correttamente valutato il danno subito dalla società attrice facendo riferimento al criterio del lucro cessante, in correlazione al beneficio ottenuto dal danneggiante sfruttando a proprio favore illegittime occasioni di guadagno.

In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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