Cessione di quota, di crediti e diritto di prelazione: tecniche redazionali a confronto

02 Marzo 2016

Uno dei due soci di una s.r.l. intende cedere la propria quota di partecipazione (pari al 51%) valutata euro 300.000 e ha trovato un accordo con un acquirente. Nelle condizioni proposte dal cedente al cessionario è previsto che la somma richiesta sia corrisposta in unica soluzione alla stipula dell'atto di cessione.

Uno dei due soci di una s.r.l. intende cedere la propria quota di partecipazione (pari al 51%) valutata euro 300.000 e ha trovato un accordo con un acquirente. Nelle condizioni proposte dal cedente al cessionario è previsto che la somma richiesta sia corrisposta in unica soluzione alla stipula dell'atto di cessione.

Il cedente è inoltre creditore nei confronti della s.r.l. a fronte di un finanziamento soci e la cessione della quota è condizionata alla cessione del predetto diritto di credito a favore del cessionario per l'ammontare nominale pari ad euro 500.000. Il cedente ha indicato che il pagamento potrà essere effettuato in 36 mesi con garanzia alternativa mediante fidejussione bancaria o pegno sulle quote. Il cessionario (non socio) ha accettato il prezzo proposto per l'acquisto della partecipazione e la cessione del diritto di credito pari a euro 500.000 da corrispondersi in 36 mesi mediante garanzia tramite fidejussione bancaria.

L'altro componente della compagine sociale si è avvalso del diritto di prelazione offrendo la medesima somma offerta dal cedente al cessionario (e da quest'ultimo accettata), il subentro nel diritto di credito da corrispondersi in 36 mesi ma conformemente all'offerta del cedente e differentemente dall'accettazione del cessionario intende offrire in garanzia il pegno sulle quote. E' corretto tale comportamento?

La cessione di quota di una società a responsabilità limitata è un contratto di diritto privato nel quale, tuttavia, il particolare oggetto della negoziazione comporta alcune peculiarità.

Si pensi, per esempio, al disposto dell'art. 2470 c.c. che, oltre a regolare il caso dell'alienazione della stessa quota a diversi acquirenti, scinde gli effetti del contratto: questi, tra le parti (cedente e cessionario) operano contestualmente alla stipula, salvo diversa previsione pattizia, laddove nei confronti della società essi decorrono dal deposito dell'atto presso il registro delle imprese competente. E' fatta salva, anche in quest'ultimo caso, una diversa regolamentazione che, comunque, non dipende dalla scelte delle parti, ma dalla presenza di clausole statutarie: pare legittimo che lo statuto sociale regoli gli effetti di opponibilità dell'ingresso nella compagine del nuovo socio diversamente da quanto prevede l'art. 2470 c.c., prescrivendo che a tal fine occorra non il solo deposito, ma l'effettiva iscrizione della cessione nel registro delle imprese. Tale cautela, dettata da apposita clausola statutaria, permette di correggere un possibile elemento di criticità che può sorgere a seguito della negoziazione di una quota: gli amministratori che devono valutare la legittimità dell'esercizio dei diritti sociali in capo al nuovo sedicente socio sicuramente sono agevolati nel loro compito dalla possibilità di accedere alle annotazioni di un registro pubblico piuttosto che ricercare eventuali protocolli di deposito aperti e non ancora evasi. Il rischio, infatti, è che un esame sbagliato, perché reso difficoltoso dallo strumento “opaco” del mero deposito, conduca ad ammettere in assemblea con diritto di voto un soggetto che non ha ottenuto la valutazione di gradimento prevista dallo statuto. La scelta statutaria di differire l'opponibilità del mutamento della compagine ad un momento successivo al mero deposito previsto dall'art. 2470 c.c. è legittima e rende più agevole il controllo degli organi sociali.

Il quesito prevede l'ipotesi di una cessione di quota ad un terzo ad un prezzo prestabilito, contestualmente pagato ed una parallela cessione dei crediti che il cedente vanta verso la medesima società per finanziamenti ad essa erogati nella costanza della partecipazione. In quest'ultimo caso, i crediti vengono trasferiti al loro valore nominale. L'acquirente propone di pagare il prezzo nominale dei crediti a rate, intendendo garantire l'adempimento di tale obbligazione con una fidejussione. Il socio cedente invita l'altro socio ad esercitare il proprio diritto di prelazione e, quest'ultimo, si offre di procedere all'acquisto, alle medesime condizioni del terzo acquirente, fatta eccezione per la garanzia accessoria al pagamento dilazionato. In luogo della fidejussione propone, infatti, di costituire un pegno sulla quota oggetto di cessione. Si tratta, con tutta evidenza, di una garanzia non del tutto analoga alla fidejussione.

Prima di rispondere al quesito,ci pare opportuno segnalare che in sede di stipula di un contratto di cessione occorre prestare bene attenzione agli aspetti connessi alla quota sociale oggetto del negozio e valutare tutte le possibili implicazioni della scelta di una o di un'altra tecnica redazionale.

In primo luogo, tenendo presente che la quota è espressione di una precisa posizione all'interno di una struttura organizzativa complessa, si dovrà qualificare a monte la natura dei diritti e degli obblighi che il socio potrebbe assumere o, viceversa, beneficiare. Si pensi, per esempio, al caso della partecipazione sociale non liberata: il cessionario ed il cedente restano responsabili in solido nei confronti della società per l'obbligazione dipendente dal completamento del conferimento dovuto a fronte della sottoscrizione del capitale. Si pensi, al contrario, ad apporti effettuati dal socio alla società in conto capitale o in conto futuro aumento di capitale: occorre esaminare la contabilità sociale e le varie delibere dell'organo amministrativo per valutare se tali dazioni siano confluite nel patrimonio netto e, quindi, sfuggano alla disponibilità del versante, ovvero abbiano dato luogo alla formazione di riserve targate, come tali destinate a far parte del contenuto della quota ceduta. Nel silenzio del contratto si ritiene corretto ipotizzare che le riserve targate si trasmettano al cessionario, non essendo diversamente concepibile un diritto di un estraneo (tale sarebbe il cedente dopo la cessione) su valori appostati a riserva.

E' chiaro, in ogni caso, che una regolamentazione precisa di tali situazioni vale ad evitare il rischio di un contenzioso sulla qualifica di tali apporti e sulla loro circolazione con la quota, con un ovvio riflesso anche sul prezzo.

Diverso è il caso che il socio abbia finanziato la società con un prestito con diritto di restituzione; infatti, è perfettamente concepibile l'esistenza di un rapporto di mutuo tra la società ed un terzo. In tal caso, il finanziamento, erogato inizialmente durante il rapporto sociale, una volta ceduta la quota, può ben staccarsi da quest'ultima e restare in capo all'ex socio. Questi, quale mutuante, potrà richiedere alla società la restituzione del prestito effettuato nei termini previsti o, diversamente, stabiliti dal giudice, come avviene, né più, né meno, in un ordinario contratto di mutuo. Nel silenzio del contratto, in effetti, è legittimo ipotizzare che nella quota non sia compreso anche il subentro del cessionario nel diritto alla restituzione del finanziamento.

Nel caso di specie, invece, si è prevista la circolazione del finanziamento insieme alla quota, ma parrebbe se ne sia fatto oggetto di una diversa regolamentazione: da una parte una cessione della quota ad un prezzo pagato immediatamente; dall'altra parte la cessione del credito, con pagamento rateale. Proprio questa peculiare costruzione del rapporto contrattuale deve essere considerata al fine di rispondere al quesito proposto.

Come noto, è principio generale che la prelazione si basi sull'identità di condizioni tra proposta del terzo acquirente e diritto del socio. Tale uguaglianza deve riguardare non solo il prezzo, ma l'intero congegno contrattuale che conduce alla cessione della quota. Il socio titolare della prelazione potrà prevalere sul terzo e pretendere di acquistare la quota solo adeguandosi allo schema contrattuale e a tutte le pattuizioni tra socio cedente e terzo.

Nel caso di specie non pare sussista questa identità di condizioni: a fronte di una fidejussione bancaria chiamata a garantire il pagamento della cessione di credito – questi alla fine pare siano gli accordi definitivi tra socio e terzo -, il socio propone una diversa e, a nostro avviso, meno forte garanzia quale il pegno di quote.

Si pensi, infatti, che il creditore può, in caso di inadempimento, escutere la fidejussione e riscuotere immediatamente – se la garanzia sia stata munita della clausola di prima richiesta – il proprio credito; nel caso del pegno di quota, il creditore dovrà necessariamente procedere esecutivamente sulla quota, senza avere l'immediata certezza di un recupero delle somme a lui dovute. In questo caso, la nostra impressione è che la non conformità tra lo schema complessivo dell'operazione e la “controproposta” del socio non legittimino quest'ultimo a rendersi acquirente della quota e ad esercitare un eventuale diritto di riscatto contro il terzo che alla fine abbia proceduto all'acquisto.

Anzi tale difformità legittimerebbe il terzo ad un'azione verso il socio cedente qualora quest'ultimo, ritenendosi obbligato, stipuli con il socio supponendo, erroneamente, di adempiere al diritto di prelazione. Peraltro, la segnalata indipendenza delle due situazioni - cessione di quota da una parte e cessione di credito dall'altra – potrebbe consentire di sottoporre all'esercizio del diritto del socio solo quella parte della complessiva negoziazione che effettivamente sarebbe vincolata alla prelazione, ossia la cessione di quota, lasciando libera da ogni vincolo la cessione del credito, ipoteticamente oggetto di una pattuizione a latere. In questo caso, il socio che voglia acquistare la quota non potrebbe esercitare alcun diritto nei confronti della contestuale e solo collegata cessione dei crediti ed il terzo, titolare di un importante credito verso la società, potrebbe trovarsi in una posizione di forza nei confronti della società, tale da dissuadere il socio dall'intento di esercitare la prelazione.

Non si è trascurato, tuttavia, il fatto che la cessione della quota, nell'ipotesi formulata, è stata condizionata anche alla cessione del diritto di credito. Se la condizione è pattuita nell'interesse del cedente ci pare non vi siano problemi ad accedere alla ricostruzione di scindere cessione di quota da cessione di credito: al socio cedente importa solo liberarsi da ogni rapporto verso la società, incamerando immediatamente il valore della quota e ottenendo l'impegno a riscuotere il credito assistito da una garanzia forte quale la fidejussione.

Diversamente, se la condizione sia anche o solo nell'interesse del terzo che intende comunque diventare socio, il mancato acquisto della quota libererà il terzo da ogni volontà ed impegno di acquistare il solo credito. Anche in questo caso, come sempre, occorrerà un'attenta tecnica di redazione del meccanismo condizionale.

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