Socio moroso di s.r.l., esclusione e diritto di impugnazione: ricerca della miglior tutela

06 Novembre 2015

La decisione di esclusione del socio moroso (e di esclusione parziale – riduzione della quota), adottata dall' amministratore unico di società a responsabilità limitata, ex art. 2466 c.c., ben può essere impugnata dal socio stesso, dovendo ritenersi applicabile analogicamente l'art. 2388 c.c. che consente al socio di impugnare le deliberazioni dell'organo amministrativo (potenzialmente) lesive dei suoi diritti. Lo schema di tutela applicabile è quello di cui all'art. 2378 c.c.
Massima

La decisione di esclusione del socio moroso (e di esclusione parziale – riduzione della quota), adottata dall' amministratore unico di società a responsabilità limitata, ex art. 2466 c.c., ben può essere impugnata dal socio stesso, dovendo ritenersi applicabile analogicamente l'art. 2388 c.c. che consente al socio di impugnare le deliberazioni dell'organo amministrativo (potenzialmente) lesive dei suoi diritti. Lo schema di tutela applicabile è quello di cui all'art. 2378 c.c.

Il caso

Un socio di una società a responsabilità limitata, risultante moroso nel pagamento dei conferimenti promessi, viene escluso dall' amministratore unico ai sensi del disposto di cui all'art. 2466 c.c., il quale consente che “gli amministratori” possano escludere il socio moroso, ma solo all'esito della procedura indicata in norma: tentativo di collocamento della quota societaria presso i soci o terzi. Solo all'esito della impossibilità di collocamento alternativo delle quote societarie l'amministratore può procedere all'esclusione del socio; sembra, difatti, possibile individuare, dalla lettura e dalla interpretazione della norma in esame, una condizione legale sospensiva di operatività dell'esclusione del socio.

Il socio propone reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. avverso l'ordinanza del giudice di prime cure che aveva rigettato l'istanza di sospensione, ex art. 2378 c.c., della decisione dei esclusione adottata dall'amministratore unico, argomentando che sarebbe ammissibile l'impugnazione della decisione dell'amministratore unico solo nell'ipotesi di conflitto di interessi ex art. 2475-ter c.c.

Il socio chiede, quindi, al tribunale competente la sospensiva dell'efficacia esecutiva della deliberazione dell'organo di gestione e, di risulta, la possibilità di ritornare nella piena disponibilità della quota e, soprattutto, nel pieno esercizio dei diritti connessi al possesso della partecipazione.

Il tribunale, sulla base di argomentazioni da condividere e che saranno trattate nel corpo del presente commento, accoglie la pretesa cautelare del socio e dispone la sospensione della efficacia della determinazione dell'organo di amministrazione della s.r.l., in pieno accoglimento dell'istanza.

Le questioni

La questione giuridica alla base della vicenda processuale in oggetto riguarda la possibilità del socio (moroso) di società a responsabilità limitata di essere escluso con decisione dell'organo di amministrazione e la tutela che l'ordinamento giuridico vuole garantirgli: consentire, in particolare, al socio escluso di esercitare il diritto di impugnativa contro la decisione, come avviene all'interno delle società per azioni (v. Cass., 10 maggio 2011, n. 10188).

Il tribunale in sede di reclamo correttamente valuta come impugnabile la decisione dell'amministratore unico di esclusione del socio, dovendo trovare applicazione analogica il disposto di cui all'art. 2388 c.c. anche alle s.r.l.

La norma di legge vuole, infatti, che possano essere impugnate dai soci le deliberazioni lesive dei loro diritti e rinvia alla prescrizione di cui all'art. 2377 c.c. che dispone che le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate dai soci assenti, dissenzienti od astenuti, dagli amministratori, dal consiglio di sorveglianza e dal collegio sindacale.

L'ordinanza in commento, in modo chiaro e corretto, evidenzia la differenza tra una tutela forte e una tutela debole a favore del socio moroso che venga escluso con delibera dell'organo amministrativo. In particolare, vale notare come la disciplina di cui all'art. 2476, comma 2, c.c. prevede, unicamente un diritto di informazione e consultazione a favore del socio nel caso di comportamenti che si presumono scorretti adottati dagli amministratori: tale tutela, che potremmo definire preventiva rispetto alla mala gestio dell'organo di amministrazione, rappresenta una buona arma di difesa del socio che partecipa, e vuole continuare a partecipare, alla vita sociale (Cagnasso, La società a responsabilità limitata, in Trattato Cottino, Padova, 2007, 42).

Tuttavia, se ben si riflette, nel caso di esclusione del socio ad opera degli stessi amministratori, limitare la forma di tutela del socio ad una mera facoltà di consultazione del verbale consiliare e alla richiesta delle informazioni (meglio dire motivazioni) che sottendono la decisione di esclusione determina un notevole arretramento della possibilità del singolo socio (escluso) di reagire di fronte a eventuali comportamenti illeciti degli amministratori, casomai guidati, in modo occulto, dal gruppo di comando dell'ente societario.

Pertanto, l'applicazione analogica dell'art. 2388 c.c. deve ritenersi un dato certo ed acquisito: si vuole consentire al socio escluso con delibera consiliare di poter impugnare la deliberazione che sia potenzialmente lesiva dei suoi diritti sociali (Macrì, Esclusione del socio di s.r.l. e sua impugnabilità, in Giur. comm., 2014, 1057).

Il rilievo da ultimo enunciato non è di poco momento, soprattutto, pratico: atteso che, dall'adozione della determinazione da impugnarsi, la posizione del socio escluso è da considerarsi come quiescente, con una notevole limitazione delle prerogative proprie del socio in tema di partecipazione agli utili e, ancor più segnatamente, in tema di concreto esercizio dei poteri gestori, di controllo, di informazione e consultazione (art. 2478 c.c. di cui in precedenza) connessi alla titolarità e disponibilità della quota sociale, il socio verrebbe a trovarsi in una posizione di notevole difficoltà per l'impossibilità di esercitare i diritti sociali connessi.

Osservazioni

Occorre, ora, chiarire: presentata l'impugnazione della delibera consiliare di esclusione, e nelle more successive per raggiungere l'esito giudiziale, i diritti del socio sono sospesi con il pericolo, concreto e che la prassi conosce, che la compagine sociale adotti deliberazioni, prenda decisioni di notevole rilievo per la vita e la continuazione della società in assenza del socio escluso ed in attesa dell'esito della propria impugnativa.

Altra questione di rilievo che il tribunale affronta è quella relativa alla corretta applicazione del disposto di cui all'art. 2466 c.c.; in particolare, l'applicabilità alla sola fase iniziale di costituzione della società ovvero durante tutta la vita della stessa, segnatamente, in ipotesi di aumento del capitale sociale, di riduzione e contestuale aumento oppure, ipotesi dai riflessi pratici importanti, di azzeramento del capitale sociale per perdite e successivo aumento dello stesso fino, almeno, al limite di legge.

Ebbene, in tal ultimo caso, seppur in una fase temporalmente successiva alla costituzione, l'eventuale morosità del socio nel versamento del conferimento sarebbe da considerarsi giusta causa di esclusione ad opera dell'organo amministrativo (Zanarone, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in Riv. soc., 2003, 5).

Il giudice, con riguardo a tale profilo, non prende una posizione netta, lasciando intravedere una tendenza a considerare la norma in esame come non suscettiva di interpretazione estensiva e quindi, applicabile al solo caso di mancato versamento del conferimento in sede di costituzione della società (s.p.a. o s.r.l.). Pur tuttavia, si vuole dar carico di esprimere un orientamento interpretativo in materia.

Si rifletta a partire dalla lettura del dato della norma. Se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori diffidano il socio moroso ad eseguirlo nel termine di trenta giorni. Decorso inutilmente questo termine gli amministratori, qualora non ritengano utile promuovere azione per l'esecuzione dei conferimenti dovuti, possono vendere la quota del socio moroso agli altri soci in proporzione della loro partecipazione. La vendita è effettuata a rischio e pericolo del medesimo per il valore risultante dall'ultimo bilancio approvato. In mancanza di offerte per l'acquisto, se l'atto costitutivo lo consente, la quota è venduta all'incanto. Se la vendita non può aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori escludono il socio, trattenendo le somme riscosse. Il capitale deve essere ridotto in misura corrispondente. Infine, il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci (Casale, L'esclusione del socio nella società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 2009, 816).

La riflessione sistematica della norma porta a considerare subito un dato essenziale: siamo in presenza di una procedura particolarmente dettagliata che il codice vuole sia rispettata nel caso di mancato versamento del dovuto da parte del socio. Tale criterio, pertanto, non può che trovare giustificazione in un significativo momento di vita dell'ente societario (s.p.a. ovvero s.r.l.): la sua nascita.

In tale fase, difatti, occorre che la società venga dotata, da parte dei soci, di una patrimonialità adeguata ad iniziare la propria attività d'impresa. I soci che addivengono alla scelta di partecipare al rischio dell'attività d'impresa devono, di conseguenza, partecipare anche economicamente attraverso il rispetto dell'obbligazione di conferimento che hanno promesso in sede di stipula dell'atto di costituzione.

Conclusioni

Nelle s.r.l., come nelle s.p.a., pertanto, sembra preferibile ritenere che la possibilità dell'organo di amministrazione di richiedere il versamento ancora dovuto e la conseguente ipotesi di esclusione del socio ad opera dell'organo stesso siano fattispecie ipotizzabili solo nella fase di costituzione della società e non anche nelle successive vicende sociali (i.e. riduzione ed aumento, solo aumento del capitale sociale).

Infine, il tribunale afferma un principio da condividere: la inderogabilità del meccanismo, o meglio della procedura di esclusione del socio di società a responsabilità limitata: difatti, il disposto di cui all'art. 2466 c.c. prevede vari e successivi passaggi che l'organo amministrativo deve rispettare (e tentare operativamente) per, alla fine, giungere alla determinazione consiliare di escludere il socio moroso con necessaria riduzione del capitale sociale.

In conclusione, tale scelta, susseguente all'esperimento del tentativo di collocamento delle quote societarie, vuole, infatti, garantire sia i soci dal possibile ingresso di terzi non graditi sia i creditori sociali i quali vedranno diminuire la garanzia patrimoniale data dal capitale solo all'esito della provata impossibilità di ottenere la copertura finanziaria in altro modo.

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