Condanna per bancarotta anche se il fallimento non è il risultato del delitto
20 Aprile 2015
Ai fini della condanna per il reato di bancarotta fraudolenta non serve necessariamente che il fallimento sia il risultato del delitto. Ovvero, in termini più tecnici, il fallimento non deve essere considerato come “l'evento” del reato ma semplicemente un elemento che ne integra la fattispecie. Ragionamento che conduce, inevitabilmente, a una maggiore facilità a punire le condotte distrattive. È quanto afferma la Cassazione, nella sentenza del 16 aprile scorso, n. 16026, andando ad annullare la precedente pronuncia di assoluzione, fondata proprio sull'assenza, nel caso di specie, del (ritenuto) necessario rapporto di causalità tra fallimento e azione o omissione che costituiscono il reato di bancarotta fraudolenta.
La decisione di merito Il Tribunale dichiarava il non doversi procedere nei confronti dell'imprenditore, perché il fatto non costituisce reato, rifacendosi a una precedente pronuncia di legittimità secondo cui lo stato d'insolvenza che dà luogo al fallimento costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di evento dello stesso “e pertanto deve porsi in rapporto causale con la condotta dell'agente e deve essere altresì sorretto dall'elemento soggettivo del dolo”.
La decisione della Corte Allontanandosi dall'orientamento menzionato, reputato “una tesi rimasta isolata”, gli Ermellini riportano al centro della questione gli elementi che caratterizzano il reato: da una parte, il dolo generico (per la punibilità basta la consapevolezza di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte) e dall'altra “il pericolo al quale espone gli interessi dei creditori” che viene “ben prima” del danno che provoca. |