Azioni a voto contingentato o scaglionato

Federico Cornaggia
04 Novembre 2015

Il Consiglio Notarile di Milano con la Massima n. 136 ritiene che qualora il contingentamento o scaglionamento riguardi la totalità delle azioni, non si applichi il limite di cui all'art. 2351, comma 2, c.c. e che sia ben possibile, mediante la creazione di categorie di azioni, limitare il contingentamento o scaglionamento del voto alle sole azioni di categoria. In tale caso occorre rispettare il disposto di cui alla norma citata.

Massima 136 del Consiglio Notarile di Milano

L'art. 2351, comma 3, c.c. consente che gli statuti delle s.p.a. che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio prevedano che, in relazione alla quantità di azioni detenuto da uno stesso socio, il diritto di voto sia contingentato (c.d. tetto massimo: oltre una determinata soglia di partecipazione il voto non può essere esercitato) o scaglionato (al crescere della partecipazione azionaria di un socio il voto è progressivamente depotenziato).

Stante l'eccezionale rilevanza della persona del singolo socio, il Comitato Triveneto dei Notai (Massima H.B.30) ritiene che tali fattispecie non costituiscano una categoria particolari di azioni (art. 2348, comma 2, c.c.): del resto nel caso di alienazione di quelle azioni eccedenti la soglia oltre la quale il voto è contingentato o scaglionato, il diritto di voto (a differenza di quanto avviene nel caso di categoria azionaria) ritornerà pieno.

Il Consiglio Notarile di Milano nella presente Massima, ritiene che:

  • qualora il contingentamento o scaglionamento riguardi la totalità delle azioni, non si applichi il limite di cui all'art. 2351, comma 2, c.c. (cioè non ci si trovi in presenza di azioni a voto limitato): si rileva, infatti che non sussisterebbe la ratio della suddetta norma (evitare che il potere decisionale della società sia detenuto da chi possiede un pacchetto azionario eccessivamente esiguo) dal momento che il depotenziamento del voto riguarda tutti, e non solo alcuni, dei soci;
  • sia ben possibile, mediante la creazione di categorie di azioni, limitare il contingentamento o scaglionamento del voto alle sole azioni di categoria. In tale caso occorre rispettare il disposto di cui all'art. 2351, comma 2, c.c.

Qualora il valore delle azioni di categoria non ecceda la metà del capitale sociale, nulla quaestio.

In caso contrario, essendo il depotenziamento dei voti meramente potenziale (cioè operando solo al superamento di una o più determinate soglie), non si reputa violato il divieto di cui sopra anche qualora, in concreto, il numero di voti esprimibili (al netto del contingentamento o dello scaglionamento) sia almeno pari alla metà della totalità delle azioni. Si reputa altresì lecito prevedere, per il caso in cui il divieto sia concretamene violato, una automatica limitazione del depotenziamento o un meccanismo di conversione delle azioni.

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