Fallimento di s.n.c. e residuo attivo
04 Novembre 2016
Fallimento di una S.N.C. con residuo attivo sociale consistente. Uno dei soci e legale rappresentante è deceduto, ma gli eredi non hanno provveduto a presentare alcuna successione. Il Curatore come deve comportarsi? Deve intestare gli assegni alla società ritornata “in bonis” e consegnarli all'altro socio non deceduto? Oppure depositarli presso la cancelleria ed attendere che gli eredi ed il socio superstite possano ricostituire la società e ritirare gli assegni?
Riferimenti normativi. Art. 118, commi 1 e 2, l. fall., rubricato “casi di chiusura”; art. 2284 c.c., rubricato “morte del socio”.
Osservazioni. Va doverosamente premesso che, con la chiusura del fallimento, vengono a cessare gli effetti del fallimento stesso sul patrimonio del soggetto fallito (art. 120 l. fall.). Viene quindi meno il cd. principio dello spossessamento ed il soggetto fallito tornato in bonis riacquista il potere di amministrare e di disporre dei beni che eventualmente residuano: beni che sono oggetto di un obbligo di riconsegna da parte del Curatore. Va altresì evidenziato che la chiusura del fallimento, nell'ipotesi in esame (trattasi di società di persone), essendo intervenuta per integrale pagamento dei creditori e delle spese (art. 118 comma 1 n. 2, l. fall.), non determina di per sé l'estinzione della società: e ciò a differenza di altre ipotesi (ci si riferisce all'art. 118, comma 1 nn. 3 e 4, l. fall.) ove invece il Curatore è tenuto a chiedere la cancellazione dal Registro delle imprese. Non solo; per le società di persone l'art. 118 comma 2, secondo periodo, l. fall. precisa che, per effetto della chiusura del fallimento della società si chiudono anche i fallimenti personali dei soci illimitatamente responsabili (fatta salva l'ipotesi di apertura del fallimento contro il socio in qualità di imprenditore individuale). Pertanto i soci (nella nostra fattispecie il socio superstite, trattandosi di società con 2 soci) possono decidere di riattivare la società o possono decidere di liquidarla nominando i liquidatori. Orbene, nel caso di fallimento di società di persone in cui si faccia luogo alla chiusura del fallimento per integrale ed effettivo soddisfacimento di tutti i creditori sociali, ai sensi dell'art. 118, comma 1 n. 2, l. fall. (compresi - dunque - tutti i debiti in prededuzione e le spese della procedura), occorre verificare a chi debba essere distribuito l'eventuale residuo attivo. In base ai principi sopra espressi non dovrebbero sussistere dubbi sulla necessità che il residuo attivo (costituito nel caso in esame da assegni intestati alla società ritornata in bonis) venga consegnato dal Curatore alla società in persona del socio superstite. Troverà poi applicazione il disposto di cui all'art. 2284 c.c.: il socio superstite sarà tenuto a liquidare la quota agli eredi del socio defunto in base ai criteri di cui all'art. 2289 c.c. fatta salva la sua determinazione di addivenire allo scioglimento della società ovvero alla continuazione della stessa con gli eredi purché questi unanimemente lo consentano. In tale ultima ipotesi è evidente come la prosecuzione dell'attività di impresa tra il socio superstite e gli eredi del socio defunto (detentori di una partecipazione sociale con assunzione di responsabilità illimitata) non possa avvenire senza un'unanime e chiara manifestazione di volontà da parte degli eredi stessi, non potendosi acquisire la qualità di socio illimitatamente responsabile di società di persone iure hereditatis. Resta ovviamente inteso che, nel caso in cui il socio superstite dovesse successivamente optare per lo scioglimento della s.n.c., gli eredi del socio defunto non avranno diritto a partecipare alla liquidazione della società, in quanto lo scioglimento della stessa costituisce un momento successivo ed eventuale rispetto allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio. |