Valutazioni escluse dal falso in bilancio, la Cassazione critica le recenti modifiche legislative

La Redazione
04 Agosto 2015

La recente l. n. 69/2015 ha eliminato dal falso in bilancio il riferimento alle valutazioni. Per i giudici di legittimità, sono numerose le critiche da rivolgere alla nuova normativa in materia.

Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 33774, depositata il 30 luglio 2015.
Il caso. In seguito a condanna per diverse accuse di bancarotta, l'imputato (che aveva ricoperto dapprima il ruolo di presidente del CdA della società dichiarata fallita, successivamente di membro del comitato esecutivo, mantenendo sempre un ruolo di soggetto apicale) ricorreva in Cassazione, contestando in particolare la condanna per bancarotta mediante falso in bilancio.
La nuova normativa. La Cassazione concentra l'analisi del ricorso sulle modifiche legislative introdotte dalla recente l. n. 69/2015 in materia di falso in bilancio. L'intervento più importante della norma consiste nell'aver conferito rilevanza penale ai fatti materiali, sopprimendo però il riferimento alle valutazioni. Infatti, dall'art. 2621 c.c. (false comunicazioni sociali) è stata eliminata la locuzione «ancorché oggetto di valutazioni».
Di conseguenza, non costituiscono fattispecie penalmente rilevanti i falsi estimativi, basati cioè su una valutazione. Questa, secondo i giudici di legittimità, è stata una scelta consapevole del legislatore, in quanto il mancato riferimento alle valutazioni nelle nuove fattispecie di falso in bilancio costituisce il frutto di uno specifico emendamento, in sostituzione di parte del testo legislativo inizialmente presentato, in cui venivano invece considerate penalmente rilevanti anche le condotte e le omissioni che avessero ad oggetto le «informazioni».
Dato testuale e volontà del legislatore. A supporto della tesi, i giudici di legittimità sottolineano che il dato testuale ed il confronto con la previgente formulazione degli artt. 2621 e 2622 c.c., in disarmonia con il diritto penale tributario e con l'art. 2638 c.c. (che disciplina il reato di ostacolo all'attività di vigilanza ed in cui sopravvive il riferimento alle valutazioni), sono elementi indicativi della reale volontà di far venir meno la punibilità dei falsi valutativi, «ancorché si sia sostenuto, nei primi commenti alla novella, come non possa del tutto escludersi che l'eliminazione di qualsiasi espresso riferimento a questi ultimi sia da imputarsi alla ritenuta superfluità di una loro evocazione». Una tesi, quest'ultima, fondata però sul timore di una riduzione della portata operativa della normativa e che fa ricorso ad un'interpretazione sistematica che parte dall'assunto secondo cui le voci di bilancio sono costituite quasi interamente da valutazioni.
Le critiche della Cassazione. A questa teoria, la Cassazione ribatte affermando che una tipizzazione della condotta, come quella di cui alla l. n. 69/2015, che mutua solo la locuzione “fatti materiali”, legittima un approccio interpretativo che escluda la rilevanza penale dei fatti derivanti da un procedimento valutativo. Infatti, il ricorso all'aggettivo “materiali” finisce inequivocabilmente per escludere ogni sorta di valutazione dalla sfera applicativa della fattispecie. E ciò, lo ricorda nuovamente la S.C., tanto più se si considera che, in un primo momento, il disegno di legge oggetto dei lavori parlamentari attribuiva rilevanza alle informazioni false, adottando così un'espressione indubbiamente idonea a ricomprendere le valutazioni e sicuramente più corretta avuto riguardo proprio alla normativa in materia di comunicazioni sociali. Non può quindi ignorarsi l'ingiustificato «revirement nella formulazione della fattispecie, con ritorno alla locuzione “fatti materiali” (in luogo del riferimento al più ampio ed esaustivo concetto di “informazioni”), espressamente epurati di quell'aggancio alle “valutazioni”, che invece aveva voluto la riforma del 2002, anche ricorrendo all'esplicita previsione di una soglia di punibilità calibrata proprio su di esse».
Mentre i testi previgenti degli artt. 2621 e 2622 c.c. soddisfacevano l'esigenza di tipicità della norma nell'applicazione in sede penale, proprio grazie all'individuazione di una soglia di rilevanza delle valutazioni estimative e l'implicito rinvio relativamente alla condotta alla disciplina dettata dall'art. 2426 c.c. (che fissa i criteri da osservarsi nelle valutazioni), nella nuova normativa tale esigenza di tipizzazione della condotta non risulta affatto soddisfatta ed il mancato esplicito riferimento alle valutazioni estimative finisce, con una interpretazione estensiva della nozione di “fatti materiali”, per lasciare all'interprete la discrezionalità (e quindi l'arbitrio) di precisarne la rilevanza, in evidente violazione del principio di tipicità del precetto penale. Un'incertezza aumentata dal fatto che i fatti materiali devono essere anche «rilevanti», un aggettivo che risulta «pregno di genericità»: in questo modo, la determinazione della soglia di penale rilevanza viene lasciata alla valutazione discrezionale del giudice.
In conclusione, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso sul punto ed annulla senza rinvio la sentenza nella parte in cui aveva condannato il ricorrente per bancarotta mediante falso in bilancio.

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