In capo al curatore deve escludersi ogni legittimazione ad agire ex art. 2043 c.c. per il risarcimento del danno derivante da una fattispecie di abusiva concessione di credito.
Massima
In capo al curatore deve escludersi ogni legittimazione ad agire exart. 2043 c.c. per il risarcimento del danno derivante da una fattispecie di abusiva concessione di credito e ciò sia rispetto all'azione nell'interesse dei creditori, sia rispetto all'azione nell'interesse della società.
La questione: l'abusiva concessione di credito quale illecito plurioffensivo, dal danno alla legittimazione
Con il sintagma abusiva concessione di credito si indica l'illecito exart. 2043 c.c. imputabile alla banca che finanzia (o erogando nuova liquidità, o semplicemente mantenendo il credito erogato) l'imprenditore (di seguito parleremo di società) in stato di decozione e lo finanzia colposamente (vale a dire senza osservare le regole di diligenza generale e quelle prescritte dalla normativa di settore regolante l'erogazione del credito) o addirittura consapevole dello stato di decozione. Si tratta di illecito aquiliano perché la banca che finanzia un insolvente, lo mantiene artificialmente in vita e determina un danno ingiusto: in cosa consista l'ingiustizia di tale danno, in capo a chi si produce e se tra i soggetti legittimati ad azionarlo vi sia il curatore fallimentare, è il problema che occupa da anni dottrina e giurisprudenza e su cui è intervenuta da ultimo la Corte d'Appello di Milano con la sentenza n. 1229 del 20 marzo 2015 (sentenza che ha confermato Trib. Monza, 8 febbraio 2011, n. 317 (G.U. De Luca), pubblicata in Banca, borsa, tit., 2012, II, 690).
Dall'abusiva concessione di credito può in astratto generarsi un triplice danno:
1) un danno in capo al singolo creditore, il quale è indotto a contrarre con la società decotta perché confida nell'apparente situazione di solvibilità generata dal finanziamento. Si tratta di un danno individuale, che lede il diritto di credito del singolo e la cui sussistenza va apprezzata caso per caso alla luce della specifica relazione tra il terzo contraente e la società decotta;
2) un danno in capo a tutti creditori. L'abusiva concessione può causare un danno alla massa dei creditori, ossia un danno patrimoniale indistinto provocato dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, che porta con sé l'aggravio del deficit patrimoniale dell'insolvente e, di riflesso, la diminuzione della garanzia generica patrimoniale dei creditori. Se difatti l'insolvenza fosse fosse stata dichiarata prima, i creditori non avrebbero visto aggravarsi la faldicia fallimentare; può parlarsi al riguardo di danno da minor riparto;
3) in capo alla società. Il finanziamento abusivo può causare un danno al patrimonio sociale, vuoi per l'evoluzione negativa del patrimonio netto conseguente alla permanenza in vita delle società (evoluzione che si sarebbe arrestata se la società fosse stata tempestivamente dichiarata fallita), vuoi per la diretta incidenza sul deficit patrimoniale degli oneri finanziari (in primis, gli interessi) assunti con il finanziamento.
Ci si chiede rispetto ai quali dei tre danni il curatore ha legittimazione ad agire contro la banca finanziatrice.
Nel 2006 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute con tre decisioni gemelle (nn. 7029, 7030, 7031 del 28/29 marzo 2006, di seguito per brevità S.U. 2006) ed hanno affermato che il curatore è privo di legittimazione ad agire con riguardo all'azione risarcitoria dei danni causati ai creditori dall'abusiva concessione di credito. In sintesi, S.U. 2006 muovendo dalla premessa che il curatore non ha un potere di rappresentanza generale dei creditori, ed identificata l'abusiva concessione di credito con l'illecito informativo in danno del singolo creditore, hanno negato la natura di massa all'azione da abusiva concessione di credito e quindi la relativa legittimazione ad agire del curatore.
S.U. 2006 non hanno invece statuito in ordine alla legittimazione attiva rispetto all'azione per il risarcimento del danno occorso al patrimonio della società, ma in un obiter dictum sembrano avere negato tale legittimazione, sul presupposto che la società (e quindi in via derivata il curatore) non può azionare un danno causato a sé stessa per mano dei propri amministratori.
Nel 2010 la Cassazione è ritornata sul tema; con una prima pronuncia (la n. 17284/2010) ha ribadito l'orientamento di S.U. 2006; con la sentenza n. 13413/2010 ha invece riaperto il problema. Pur adeguandosi all'insegnamento di S.U. 2006 in tema di difetto di legittimazione ad agire per l'azione dei creditori, Cass. 13413/2010 ha difatti riconosciuto la legittimazionead agire contro il terzo-banca nell'ipotesi di danno al patrimonio sociale causato dal concorso della banca con l'amministratore della società.
La sentenza della Corte d'appello di Milano in commento si è uniformata a S.U. 2006, escludendo la legittimazione del curatore sia rispetto all'azione nell'interesse dei creditori, sia rispetto all'azione nell'interesse della società.
Il presente scritto vuole offrire un'analisi critica del problema della legittimazione ad agire del curatore muovendo dai tre tipi di danno sopra individuati.
Osservazioni
Il danno ai singoli creditori
In una prima accezione, l'illecito da abusiva concessione di credito si identifica con la creazione di una situazione di apparente solvibilità del soggetto finanziato che induce il terzo a contrarre con la società decotta. In tale ipotesi, ricorre quello che si è definito un "abuso bilaterale della libertà contrattuale (commesso da finanziatore e finanziato) ai danni del terzi": ciò che per le parti è un contratto, per il terzo rileva come fatto illecito (Di Marzio, Responsabilità dell'impresa bancaria per concessione abusiva di credito all'imprenditore insolvente, in ilfallimentarista.it, pubbl. 3.3.2015, 5).
Parte della dottrina qualifica quella in esame come "concessione abusiva di credito in senso stretto" (Di Marzio, cit., 1).
Come accennato, in questo caso il pregiudizio è da accertare uti singuli, caso per caso; sebbene tale figura venga spesso denominata come inganno informativo al mercato, non si dibatte di un danno collettivo, ma di un danno al diritto di credito del singolo. Si tratta di un'ipotesi omologa a quella della responsabilità dell'amministratore exart. 2395 c.c. per danno provocato al terzo.
Secondo l'insegnamento di S.U. 2006, recepito dalla sentenza in commento, in questa ipotesi il curatore non ha legitttimazione ad agire, in quanto la relativa azione mira a procurare un vantaggio esclusivo del creditore e non rientra perciò nella categoria delle azioni di massa, caratterizzate dal carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari. In tale ipotesi non è infatti possibile teorizzare un danno uniforme tra creditori anteriori e posteriori al finanziamento, in quanto i primi potranno dolersi dell'aggravamento del dissesto del comune debitore, mentre invece per i secondi il danno, derivando dalla lesione dell'affidamento, è da individuarsi nell'intero ammontare della pretesa creditoria (v. anche Vitiello, Responsabilità delle banche per concessione abusiva di credito e risanamento, in ilfallimentarista.it, 2. Si è peraltro ritenuto che per i creditori preesistenti il danno possa identificarsi nella mancata autotutela del credito, Di Marzio, cit., 9).
Il difetto di legittimazione ad agire in tale ipotesi può ritenersi un'acquisitizione ormai pacifica in dottrina e giurisprudenza.
Il danno alla massa dei creditori
La suddetta nozione di abusiva concessione di credito non è però necessariamente l'unica.
Abusiva concessione di credito può essere anche l'illecito che crea un danno alla massa dei creditori (oltre che alla società, come si dirà oltre) per effetto della protrazione dell'attività della società insolvente e del conseguente aggravamento del dissesto. L'ordinamento attribuisce infatti disvalore all'aggravamento del dissesto dell'insolvente, come attesta la fattispecie del reato di bancarotta semplice exart. 217, n. 4, l.fall.; sopraggiunta l'insolvenza, si crea un vincolo di indisponibilità del patrimonio dell'imprenditore che deve essere destinato ad esclusivo beneficio dei creditori (Viscusi, Profili di responsabilità della banca nella concessione del credito, Milano, 2004, 166).
La questione se l'abusiva concessione di credito sia quindi solo quella che parte della dottrina definisce concessione abusiva in senso stretto, rischia di esaurirsi in una questione nomenclatoria. Ciò che davvero importa appurare, è se la condotta da finanziamento abusivo possa generare un danno collettivo; se i creditori possano ricevere un danno indistinto dal mantenimento in vita artificioso di una società insolvente e quindi il curatore abbia legittimazione ad esercitare un'azione di massa.
Ciò impone anzitutto di stabilire cosa sono le azioni di massa.
La nozione di azione di massa non è in realtà fornita dal legislatore. La legge fallimentare di azioni di massa nemmeno parlava prima della riforma; l'art. 124 l. fall.post riforma si limita ora a menzionarle a proposito della loro cedibilità in caso di concordato fallimentare, ma continua a non definirle.
Allo stato, quindi, una definizione di azione di massa va ricercata nella giurisprudenza.
Essa si rinviene anzitutto in S.U. 2006: l'azione di massa “è caratterizzata dal carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del suo esito positivo. Essa nell'immediato perviene all'effetto di aumentare la massa attiva, quali che possano essere i limiti quantitativi entro i quali i creditori se ne avvantaggeranno. Essa tende direttamente alla reintegrazione del patrimonio del debitore inteso come sua garanzia generica e comunque esso sarà suddiviso attraverso il riparto. Non apartiene a tale novero di azioni ogni pretesa che richiede l'accertamento della sussistenza di un diritto soggettivo in capo a uno o più creditori”. Tale definizione di azione di massa che refluisce a favore dell'intero ceto creditorio realizzando una ricostruzione della massa attiva, consolidata in giurisprudenza (ex multis, Cass. 20 dicembre 2002, n. 18147), è recepita dalla sentenza della Corte d'Appello di Milano in commento.
Se questa è la fisionomia dell'azione di massa, alla stessa può senz'altro ricondursi quella che mira ad ottenere il risarcimento del dannoda aggravamento occorso a tutti i creditori per effetto dell'incremento del deficit patrimoniale dell'insolvente. In tal senso si è espressa larga parte della dottrina.
Il finanziamento abusivo può infatti causare anche un danno alla massa dei creditori, ossia un danno da minor percentuale di riparto che, all'apertura della procedura, tutti i creditori, anteriori e posteriori al finanziamento (poichè ogni creditore, in questo caso, è indistintamente danneggiato in misura pari all'aumento del deficit della società debitrice, non viene in rilievo il distinguo tra i creditori anteriori e quelli successivi al finanziamento abusivo, che invece è propria del danno al singolo creditore ed al quale fa riferimento App. Milano (che richiama sul punto S.U. 2006: "il creditore antecedente potrà dolersi per la partecipazione al riparto dei creditori successivi, mentre questi ultimi potranno dolersi esclusivamente dell'eventuale capienza e solo per questa parte"), subiscono per effetto del ritardo nella dichiarazione di fallimento e del progressivo depauperamernto del patrimonio sociale prodottosi in costanza di tale ritardo. L'aggravamento del deficit del patrimonio sociale della società insolvente ha come riflesso la lesione della garanzia patrimoniale genericaexart. 2740 c.c. per tutti i creditori indistintamente (cfr. Guglielmucci, Lezioni di diritto fallimentare, Torino, 2004, 333: “ove si ammetta […] la proponibilità, da parte dei creditori sociali, dell'azione aquiliana per lesione del credito sub specie di lesione della garanzia patrimoniale, poiché con detta azione verrebbe fatto valere un danno comune a tutti i creditori, in caso di fallimento il curatore si dovrebbe considerare legittimato all'esercizio anche di detta azione”).
Ciò è coerente con il sistema: la differenza tra creditori anteriori e posteriori all'atto dannoso dell'amministratore non si pone, ad esempio, quando si esperisce l'azione (di massa) exart. 2394 c.c. (Arato, La responsabilità della banca nelle crisi di impresa, in Fall., 2007, 258) Analogamente, nel caso dell'azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatoreexart. 66 l.f. (anch'essa azione di massa) non ci si pone il problema se il credito è anteriore o posteriore all'atto fraudolento: la revocatoria è esercitata nell'interesse della massa e refluisce a vantaggio di tutti i creditori.
Ciò chiarito, si è detto che S.U. 2006 hanno negato che il curatore possa esercitare l'azione risarcitoria da abusiva concessione nell'interesse della massa.
Tale soluzione pare però la conseguenza di un'assunzione necessitata dalla fattispecie scrutinata da S.U. 2006: ivi si legge infatti che “la citazione introduttiva del primo giudizio allega a fondamento dell'accusa di illecita concessione di credito bancario, la direzione a mantenere artificiosamente in vita un'impresa decotta suscitando nel mercato la falsa opinione che si trattasse di impresa economicamente valida (...) effetto questo che a sua volta conduceva i terzi a contrattare o a continuare a contrattare con la società” e che pertanto“trattasi di azione volta alla tutela dei singoli creditori danneggiati dalla prosecuzione dell'attività”. Il motivo di ricorso svolto dalla curatela a fondamento dell'azione risarcitoria di massa e rigettato da S.U. 2006 aveva ad oggetto l'illecito informativo al mercato.
Dunque, la fattispecie scrutinata da S.U. 2006 non aveva ad oggetto un'azione di massa (la necessità di valutare il fatto che le curatele "non avevano prospettato un danno ai crediti come riflesso di quello prodotto al patrimonio delle società fallite" è segnalata da Rascio, La legittimazione attiva alle azioni risarcitorie del curatore nel fallimento, in Giur. comm., I, 2013, 155) e non è perciò sulla base di tale precedente che può escludersi la legittimazione del curatore per il risarcimento del danno da abusiva concessione di credito inteso come danno di tutti i creditori.
Residua peraltro un'obiezione, quella per cui le azioni di massa sarebbero tipiche e tra di esse non vi sarebbe l'azione exart. 2043 c.c. di risarcimento del danno da abusiva concessione; in pratica, le uniche azioni di massa sarebbero l'azione revocatoria, surrogatoria e l'azione ex art. 146 l. fall. (l'affermazione si rinviene ad esempio in Trib. Milano, 9 maggio 2001, in Corr. Giur., 2001, 1643: "al di fuori dell'azione revocatoria, il sistema non riconosce al curatore la possibilità di far valere in nome dei creditori del fallimento la responsabilità di terzi e ciò sia pur quando detti terzi siano chiamati a rispondere in solido con la società fallita").
In realtà, nessuna norma della legge fallimentare sancisce tale supposta tipicità o fornisce un catalogo delle azioni di massa, che dunque non costituiscono un numerus clausus.
La dottrina che più ha affinato l'indagine sul tema, ha osservato che è in effetti difficile stabilire se sia l'attribuzione dell'esercizio di determinate azioni al curatore di per sé qualificatoria della nozione di masa, o se invece debba ritenersi che tale nozione preesista come principio generale e comporti la legittimazione al curatore senza una norma espressa. Nel primo caso, le azioni di massa sarebbero limitate alla revocatoria fallimentare ed ordinaria ex art. 66 l.f., alla surrogatoria ed all'azione di responsabilità nelle s.p.a. e nei gruppi; nel secondo caso, invece, muovendosi da una rilettura dellla funzione che il patrimonio svolge quando l'impresa entra in crisi, si perviene alla proponibilità in via generale di un'azione per conto dellla colletività.
In realtà, non solo l'azione di abusiva concessione di credito nell'interesse della massa non è vietata da alcuna norma in tema di tipicità, ma al contrario essa ha fondamento in almeno due disposizioni della legge fallimentare, ossia il già citato art. 217, n. 4, l. fall. (che attribuisce disvalore all'aggravamento del dissesto causato dall'omesso autofallimento dell'imprenditore) e l'art. 240 l. fall. (che prevede la legittimazione del curatore a costituirsi parte civile anche nei confronti dei correi degli amministratori per il danno dai reati di bancarotta, quindi anche per il danno ex art. 217, n. 4, l. fall.).
Resta un ultimo ed assorbente rilievo. Non si vede perché l'azione di responsabilità dei creditori exart. 2394 c.c. - che è pacificamente un'azione di massa (v. da ultimo D'Attorre, La legittimazione del curatore all'esercizio delle azioni di responsabilità nelle imprese collettive non societarie, in Banca, borsa, tit., I, 2015, 167) - esercitata dal curatore ai sensi dell'art. 146 l. f. possa dirigersi contro gli amministratori e non contro i terzi. Il fatto cioè che un'azione sia di massa e sia tipica, non implica che essa non sia esercitabile contro i terzi responsabili in solido con l'amministratore. La conclusione contraria, postula una premessa, sebbene occulta: quella per cui all'illecito ex art. 2394 c.c. non si applica l'art. 2055 c.c. in tema di obbligazioni solidali. In altri termini, si introduce una deroga alla regola della solidarietà civile, che però non è suscettibile di deroga se non nei casi espressamente previsti dalle legge (art. 1294 c.c.).
Siamo così all'argomento decisivo per il riconoscimento della legittimazione attiva, ossia quello della valenza generale dell'art. 2055 c.c. rispetto ad ogni illecito civile (si dirà di seguito che la norma rileva anche ai fini della legittimazione ad agire del curatore per il danno subito dalla società).
In conclusione, può dirsi che la legittimazione ad agire del curatore trova fondamento nel combinato disposto degli artt. 146 e 240 l.fall. e dell'art. 2055 c.c. Le prime norme attribuiscono al commissario straordinario la legittimazione ad agire, anche nell'interesse della massa dei creditori, nei confronti degli amministratori che abbiano violato i doveri della carica; l'art. 2055 c.c. estende detta legittimazione nei confronti dell'extraneus che abbia cooperato con gli amministratori nella commissione dell'illecito.
Il danno al patrimonio sociale
Poiché l'art. 43 l.fall. attribuisce al curatore la legittimazione a stare in giudizio per i rapporti di diritto patrimoniale già sorti in capo al fallito, e tra i crediti risarcitori che il curatore rinviene nel patrimonio del fallito vi è anche quello del danno alla società cagionato dall'amministratore che abbia consentito la prosecuzione dell'attività sociale nonostante la perdita del capitale (tipico danno causato dall'amministratore che, in presenza di una causa di scioglimento della società, quale è quella costituita dall'integrale perdita del capitale sociale, continui nell'attività tipica di impresa e quindi per finalità non liquidatorie, se del caso anche in presenza di un patrimonio netto già negativo, causandone un'evoluzione ulteriormente negativa, cfr. Cass. n. 11155/2012, in Foro it., 2014, I, 897; Cass. n. 17033/2008, in Giust. civ., 2009, I, 2437; Trib. Milano n. 4911/2013; Trib. Salerno n. 143/2008), vi è da chiedersi se tale danno sia azionabile contro il terzo-banca che ha concausato tale prosecuzione con l'erogazione del finanziamento.
La legittimazione ad agire del curatore per il risarcimento del danno immediato e diretto al patrimonio della società fallita viene esclusa dalla Corte d'Appello sulla base del seguente argomento, anch'esso mutuato da S.U. 2006: poiché il danno è stato causato dalla società per mano dei propri amministratori, la società è artefice del proprio danno e dunque non ha legittimazione ad agire in via risarcitoria ("alcun diritto di credito verso il proprio contraente in capo alla società finanziata abusivamente potette nascere, da un fatto illecito prodotto anche da attività infedele dei suoi rappresentanti"). Il difetto di legittimazione attiva deriverebbe così dalla violazione di un divieto del venire contra factum proprium, in cui incorrerebbe la società sovvenuta che prima causa il proprio danno e poi agisce contro il finanziatore (tesi riproposta anche da Trib. Monza, 31 luglio 2007, in Banca, borsa, tit., 2009, II, 375, con nota di Di Marzio, Sulla fattispecie "concessione abusiva di credito"). Questa tesi non regge per una serie di motivi.
i) Nel nostro ordinamento non vale la regola per cui il concorso di colpa è causa di esclusione della legittimazione ad agire. Certo, non è da escludere che la condotta del danneggiato possa rilevare ai fini dell'esclusione del carattere antigiuridico. Se ad esempio la società danneggiata trucca i bilanci ed il danneggiante-banca riesce a dimostrare di aver concesso credito perché vittima del dolo (ed ovviamente di non essere in colpa), l'illecito potrebbe non sussistere, ma non certo perché il curatore difetta di legittimazione ad agire, ma perché nel merito si accerta la mancanza di alcuni elementi della struttura dell'illecito aquiliano (ad esempio, vi è interruzione del nesso causale, o non vi è colpa e così via).
ii) La tesi è frutto della seguente ed errata concezione dell'immedesimazione organica: poiché gli amministratori sono organicamente immedesimati nell'ente, se essi commettono un illecito, è come se l'avesse commesso l'ente stesso. Si confonde così il danno causato ai terzi dalla società (che senza dubbio ne risponde in ragione dell'immedesimazione organica) con il danno causato alla società stessa dai suoi amministratori infedeli. In quest'ultima ipotesi, infatti, gli amministratori infedeli non sono la società, ma sono terzi rispetto alla società danneggiata; tant'è vero che quest'ultima può agire in responsabilità ex art. 2393 c.c. La tesi in questione conduce insomma a conseguenze assurde: la società non potrebbe mai azionare il danno contro il proprio amministratore perché agirebbe contro sé stessa.
iii) Dirimente è poi che S.U. 2006non costituisce a rigore un precedente in ordine alla legittimazione del curatore ad agire per il danno alla società. Il passo di S.U. 2006 poc'anzi citato in cui si parla della partecipazione dei legali rappresentanti alla stiupula dei contratti (cfr. par. 4.e della motivazione) è un obiter dictum. Infatti, nella vicenda scrutinata da S.U. 2006 il danno alla società non fu dedotto e quindi la pronuncia dichiarò inammissibile la relativa domanda perché nuova (si rilegga la sentenza: "un danno diretto ed immediato al patrimonio della fallita, quale presupposto dell'azione che al curatore spetta come successore nei rapporti del fallito e titolare dei diritti sorti in capo a questi, non venne mai dedotto. La questione, come tale, è nuova perché avanzata per la prima volta in questa sede, e pertanto inammissibile”). Ciò su cui S.U. si sono insomma pronunciate è solo l'azione dei creditori, peraltro nei termini sopra puntualizzati di danno al mercato.
Dunque, S.U. 2006 non costituiscono un precedente. Ne segue che la disputa sull'assenza di legittimazione per il danno alla società, se svolta sulla base dell'inciso contenuto in S.U. 2006, potrebbe esssere il frutto di un clamoroso equivoco.
Sgombrato quindi il campo dalla supposta natura scriminante che la condotta dell'amministratore avrebbe sull'illecito da abusiva concessione di credito, veniamo al fondamento normativo della legittimazione del curatore contro il terzo-banca.
Detta legittimazione è da rinvenirsi nel combinato disposto degli artt. 2393 c.c., 146 l.fall. e 2055 c.c.
Gli artt. 2393 c.c. e 146 l.fall. attestano che il pregresso rapporto di immedesimazione organica tra amministratore e società non preclude l'azione della società (anche se fallita) contro l'(ex) amministratore.
L'art. 2055 c.c. codifica una regola, quella della solidarietà civile, di portata generale e come si è detto non suscettibile di deroga se non in casi espressi, come tale idonea a fondare la responsabilità del compartecipe.
Proprio muovendo dalla regola della solidarietà ex art. 2055 c.c. ed applicando tale norma in combinato disposto con gli artt. 2393 c.c. e 146 l.fall., Cass. n. 13413/2010 ha riconosciuto la legittimazione ad agire del curatore contro la banca che in concorso con l'amministratore ha causato il danno al patrimonio sociale.
La legittimazione del curatore ad agire contro la banca per il danno diretto ed immediato al patrimonio della società ha trovato conferma in numerose pronunce di merito ed in attenta dottrina.
Del resto, tale conclusione è sintonica con il costante insegnamento giurisprudenziale che ammette pacificamente la legittimazione del curatore nei confronti del terzo per un danno causato alla società, anche senza concorrere con il fallito (Cass., 18 aprile 2000, n. 5028, in Giust. civ., Mass., 2000, 835 e Cass., 20 maggio 1982, n. 3115, in Dir. fall., 1982, II, 901 entrambe in tema di condotta illecita del terzo causativa del dissesto, originante un credito risarcitorio da illecito azionabile dal curatore quale successore della società fallita). Se quindi il curatore può agire contro il terzo che da solo abbia cagionato o aggravato il dissesto, non si comprende perché poi non possa agire contro il terzo correo dell'amministratore.
In conclusione: il ruolo dell'art. 2055 c.c.
Dai rilievi ora svolti, può concludersi che il danno da abusiva concessione si atteggia come simmetrico al danno da responsabilità dell'organo amministrativo, e perciò riproduce il regime della legittimazine ad agire del curatore proprio delle azioni di responsabilità.
Se il danno è del singolo, come nel caso dell'illecito exart. 2395 c.c., il curatore non ha legittimazione. Se il danno è della società, il curatore ha legittimazione; se il danno è della massa, il curatore ha anche in questo caso legittimazione. In questi due ultimi casi, la legittimazione passa per l'applicazione dell'art. 2055 c.c., che saldando la corresponsabilità del terzo-banca con quella dell'amministratore exartt. 2393 e 2394 c.c., costituisce la norma chiave per una soluzione in termini di diritto positivo del problema della legittimazione ad agire per il danno da abusiva concessione.
Se si accetta tale conclusione perde rilievo l'ultimo argomento invocato dalla Corte d'Appello per supportare la tesi del difetto di legittimazione, ossia quello della necessità di un previo accertamento penale del fatto (cfr. il passo ove si menziona l'assenza di “comportamenti degli amministratori rilevanti sotto il profilo penale e concorrrenti con l'azione del dirigente bancario”). Si tratta di un argomento mutuato da Cass. 13413/2010, che nella fattispecie sottopostale aveva appunto ravvisato un accertamento penale del concorso in bancarotta tra l'amministratore ed il funzionario di banca, attribuendole valenza ai fini della legittimazione al curatore - salvo poi rigettare la domanda della curatela per la già segnalata omessa allegazione del concorso nel giudizio di merito (la necessità dell'accertamento penale si ritrova in Trib. Novara, 18 novembre 2011, n. 834, in Corr. giur., 2012, 819)-.
L'argomento pare del tutto irrilevante ai fini della soluzione del problema della legittimazione. Il fatto che Cass. 13413/2010 abbia scrutinato una vicenda in cui il concorso era accertato anche in sede penale, non significa affatto che l'accertamento penale sia un requisito essenziale nell'accertamento della responsabilità civile. Diversamente, si negherebbe il principio di atipicità dell'illecito ex art. 2043 c.c. Nessuna norma impone il previo accertamento dell'illecito in sede penale ai fini del risarcimento del danno patrimoniale; per contro, è regola giurisprudenziale consolidata che la rilevanza penale del fatto illecito possa essere accertata dal giudice civile anche incidenter tantum (si pensi ad esempio all'accertamento incidenter tantum della sussistenza di una fattispecie di reato ai fini dell'applicazione del più lungo termine di prescrizione ex art. 2947, comma 3, c.c. previsto per il fatto-reato, cfr. Cass., 25 novembre 2014, n. 24988, in Resp. civ. e prev., 2015, 451).
Riferimenti bibliografici e giurisprudenziali
Tra i numerosi commenti a Cass., sez. un., 28 marzo 2006, n. 7029, 7030 e 7031, v. Fauceglia, Abusiva concessione di credito e legittimazione attiva del curatore: intervengono le Sezioni unite, in Corr. giur., 2006, 643; Nardecchia, L'abusiva concessione di credito all'esame delle Sezioni Unite, in Dir. fall., 2006, II, 630. Le S.U. 2006 hanno definito la vicenda processuale del gruppoCasillo, oggetto di pronunce alterne sul tema della legittimazione del curatore (per la negativa si erano espresse App. Bari, 18 febbraio 2003, in Fall., 2004, 427, con osservazioni di Patini ed App. Bari, 17 giugno 2002, in Banca, borsa, tit., 2003, II, 568, con osservazioni di Robles; la legittimazione del curatore era stata invece precedentemente riconosciuta da Trib. Foggia, 7 maggio 2002, in Fall., 2002, 1166, con nota di Lo Cascio,Iniziative giudiziarie del curatore fallimentare nei confronti delle banche; Trib. Foggia 11 dicembre 2000, in Dir. fall., 2001, II, 545).
Cass., 23 luglio 2010, n. 17284 e Cass., 1 giugno 2010, n. 13413 sono invece pubblicate in Fall., 2011, 305, con nota di Marcinkiewicz, Curatore fallimentare e danno dei creditori per abusiva concessione di credito. Cass., 1 giugno 2010, n. 13413 ha definito la vicenda scrutinata in precedenza da App. Milano, 11 maggio 2004, in Banca, borsa, tit., 2004, II, 643 e Trib. Milano, 9 maggio 2001, in Corr. giur., 2001, 1643, con nota di Rolfi, Curatore ed abusiva concessione di credito; entrambe le pronunce di merito avevano escluso la legittimazione ad agire.
Per quanto riguarda gli orientamenti dottrinali sulla definizione dell'azione di massa: Esposito, La legittimazione del curatore fallimentare all'esercizio dell'azione danni per abusiva concessione di credito: una breve analisi dei percorsi possibili, in Fall., 2006, 1132; Ferrari, Legittimazione del curatore per abusiva concessione del credito: pluriroffensività dell'illecito al patrimonio e alla garanzia patrimoniale, in Corr. giur., 2006, 437; Galletti, Non si vive di sola revocatoria: piccolo manuale di sopravvivenza per il «nuovo» curatore fallimentare, in ilfallimentarista, 17: "invero, la legittimazione del curatore fallimentare non si riferisce punto ad un (preteso ed implicito) potere di tale soggetto di far valere in giudizio la responsabilità della banca in relazione ad un pregiudizio pari alla sommatoria di tutti i pregiudizi subiti dai singoli creditori dell'imprenditore decotto. La stessa si ricollega piuttosto a quel distinto ed autonomo pregiudizio, uniforme e generalizzato, che investe indiscriminatamente qualsiasi creditore, e che consiste nel protratto ed aggravato depauperamento patrimoniale dell'impresa conseguente alla sua artificiale permanenza nel mercato, resa possibile dell'illecito comportamento dell'istituto finanziatore"; Inzitari, L'abusiva concessione di credito: pregiudizio per i creditori e per il patrimonio del destinatario del credito, in Società, 2007, 469; Rolfi, cit., 1647 e 1649 (anche per il rilievo che l'esercizio di tale azione da parte del curatore è coerente con la sua funzione di gestione del patrimonio finalizzata al soddisfacimento dei creditori in regime di par condicio); Viscusi, cit., 166. Contra, per tutti, Di Marzio, cit., 16.
In tema di azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore ex art. 66 l.f.: Cass. Civ., Sez. Un., 17 dicembre 2008, n. 29420, secondo cui “la domanda d'inopponibilità dell'atto di disposizione compiuto dal debitore, inizialmente proposta a vantaggio soltanto del singolo creditore che ha proposto l'azione, viene ad essere estesa a beneficio della più vasta platea costituita dalla massa di tutti i creditori concorrenti"; in dottrina, per la puntualizzazione che la pauliana esercitata in sede fallimentare va a vantaggio anche dei creditori successivi all'atto revocando, Fabiani, Diritto fallimentare, Bologna, 2011, 320; Terranova, Le azioni revocatorie, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da L. Ghia–C. Piccininni-L. Severini, II, Torino, 2010, 10.
Sulla natura tipica o meno delle azioni di massa si veda Pagni, Le azioni di massa e la sostituzione del curatore ai creditori, in Fall., 2007 p. 1041 e 1043: "si avrebbe cioè, in capo alla massa, già prima del fallimento, la spettanza di un diritto proprio sul patrimonio altrui, sostanziato nell'interesse, a tutti comune, che l'attivo si mantenga superiore al passivo [...] diritto che, sul modello di quanto avviene per l'azione risarcitoria dei creditori sociali (non vi è dubbio, infatti, che la materia della responsabilità degli amministratori rappresenti un terreno fertile per ampliare la riflessione sul significato della garanzia patrimoniale e sugli strumenti di tutela offerti alla collettività dei creditori) prima del fallimento verrebbe azionato da ciascuno con risultati a vantaggio di tutti, e dopo l'apertura della procedura passerebbe al curatore in ossequio alle regole dell'esecuzione concorsuale" (cit., 1043).
In tema di obbligazioni solidali: Corte dei conti, Sez. Un., 28 novembre 1989, n. 635, in Foro amm., 1990, I, 189 secondo cui “la solidarietà passiva costituisce un principio generale e la non applicabilità di tale istituto, in quanto eccezione alla regola, deve essere prevista da esplicite norme”. In dottrina cfr. Rubino, Sub art. 1294, Obbligazioni alternative, obbligazioni in solido, obbligazioni divisibili e indivisibili, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca., Bologna-Roma, 1961, 188.
Sul concorso di colpa del danneggiato previsto dall'art. 1227 comma 1 c.c. – dal quale non può ricavarsi la regola di inammissibilità dell''azione in caso di concorso nell'illecito, non potendo la domanda risarcitoria essere subordinata alla qualità di danneggiato “colpevole” o “innocente” – si veda Cass., 3 dicembre 2002, n. 17152, inResp. civ. e prev.,2003, 60 secondo cui “se si sostenesse che il solo concorso del fatto colposo del danneggiato già in astratto esclude una responsabilità della p.a. [n.d.r.: del soggetto danneggiante], si giungerebbe a ritenere che l'unico elemento soggettivo rilevante nella fattispecie è quello del danneggiato, nel senso che, se esso è stato diligente, vi è responsabilità della p.a. […], mentre, se esso è stato colposo, la responsabilità della p.a. è esclusa. Ciò introdurrebbe un nuovo elemento nella responsabilità aquiliana, non previsto dall'art. 2043 c.c., e cioè la mancanza di diligenza del danneggiato”.
Il concetto di immedesimazione organica è chiaro alla dottrina: “Si ipotizzi che [...] la società di revisione eccepisca alla società attrice il concorso di colpa ex art. 1227, I comma, cod. civ., deducendo che il fatto degli amministratori, in quanto proveniente dalla stessa società, deve essere equiparato al fatto del danneggiato. Dunque richieda la riduzione o addirittura l'esonero da responsabilità […] Senonché, quand'anche organo della società certificata, in quel contesto gli amministratori sono terzi, sicchè la loro condotta non può essere qualificata come fatto del danneggiato” (Franzoni, Fatti illeciti (Suppl.), in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca., Bologna-Roma, 2004, 60); più di recente, Galletti, cit., 18: "anche in materia di rappresentanza «legale» deve escludersi che il concorso, in danno del rappresentato, del fatto illecito doloso del rappresentante legale e del terzo che possa escludere la responsabilità di quest'ultimo, posto che diversamente verrebbe meno la stessa esigenza di tutelare l'interesse del rappresentato".
Ancora su S.U. 2006, ilfatto che il profilo del danno alla società non sia stato affrontato dalle Sezioni Unite, è aspetto colto da Trib. Monza, 31 luglio 2007 (che nondimeno adotta l'argomento in questione e perviene per esso all'esclusione del difetto di legittimazione del curatore per il danno alla società). Anche Trib. Messina, 2.9.2008 (in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 865) osserva che "la stessa Suprema Corte [n.d.r.: Sez. Un., 28.3.2006, n. 7029] non ha escluso, infatti, che l'illecita concessione di credito bancario, al fine di mantenere artificiosamente in vita una impresa decotta [...] possa costituire circostanza fattuale capace di dare luogo anche ad eventi pregiudizievoli per il patrimonio del soggetto finanziato".
Cass. n. 13413/2010 cfr. in motivazione: “Costituisce, infatti, principio giurisprudenziale indiscusso quello secondo cui, sia in tema di responsabilità contrattuale che responsabilità extracontrattuale, se un unico evento dannoso è imputabile a più persone, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell'obbligo risarcitorio, è sufficiente, in base ai principi che regolano il nesso di causalità e il concorso di più cause efficienti nella produzione dell'evento, che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo, configurandosi a carico dei responsabili del danno, un'obbligazione solidale. Il curatore è, perciò, legittimato ad agire, ai sensi della l. Fall., art. 146, in relazione all'art. 2393 cod. civ., nei confronti della banca, quale responsabile solidale del danno cagionato alla società fallita dall'abusivo ricorso al credito”. Si puntualizza che la sentenza ha rigettato la domanda per il danno causato alla società per motivi procedurali, non essendo stata la responsabilità della banca quale concorrentenell'illecito dell'amministratore della società fallita dedotta nel giudizio di merito.
Sulla legittimazione del curatore ad agire contro la banca per il danno diretto ed immediato al patrimonio della società: in giurisprudenza, Trib. Messina, 2.9.2008, cit. (il tribunale ha ritenuto che “la responsabilità dei [due amministratori] e del [banchiere] nei confronti della società non viene, allora, meno per il solo fatto che i primi due abbiano agito come organi delle società da loro amministrate [...] ben potendo ipotizzarsi un loro comportamento illecito per le stesse società"); Trib. Roma, 3 novembre 2009, n. 24461 (“I commissari straordinari di società insolventi in amministrazione straordinaria sono legittimati a proporre azione di risarcimento dei danni subiti dalle società medesime e, di riflesso, dalla massa indistinta dei creditori che abbiano subito un depauperamento del patrimonio di dette società per il fatto illecito delle banche che [...]in concorso con gli amministratori e i sindaci delle società che tali prestiti hanno emesso, abbia ritardato l'emersione dell'insolvenza di queste ultime, così determinandone l'aggravamento del dissesto); Trib. Parma, 10 gennaio 2013, n. 25; Trib. Milano 1.7.2011 n. 8790 (seppur resa in una fattispecie contrattuale, la pronuncia ha riconosciuto la responsabilità di una società di rating in concorso con gli amministratori). In dottrina, Abriani, Gli amministratori di fatto delle società di capitali, Milano, 1998, 256, nota 171; Arato, cit., 258 “l'affermazione che la società, quale contraente della banca non possa essere anche il soggetto danneggiato dalla banca stessa e quindi non possa agire nei confronti della banca (neppure tramite il curatore), appare in contrasto con la pacifica giurisprudenza sempre in materia di responsabilità degli amministratori che riconosce la legittimazione della società nei confronti di terzi contraenti per atti compiuti dagli amministratori in conflitto di interessi: la società conserva, beninteso, anche la legittimazione nei confronti dell'amministratore che tale atto ha compiuto, ma ciò non le impedisce di agire anche contro il terzo”; Balestra, Crisi dell'impresa e abusiva concessione del credito, in Giur. comm., 2013, 126; Cavalli, Le azioni di responsabilità, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Jorio e Sassani, I, Milano, 2014, 258-259: “l'art. 146, co. 2, lett. a) non contempla il caso di azioni risarcitorie rivolte contro soggetti diversi da quelli espressamente indicati. Ma, a parte la statuizione di cui alla successiva lett. b), ciò non significa che, ragionando a contrario, tali azioni debbano ritenersi precluse. Il curatore, infatti, subentra nell'amministrazione del patrimonio della fallita, con il corollario che a lui spettano, per definizione, tutte le iniziative rivolte alla sua ricostruzione o al suo incremento in vista della liquidazione concorsuale, per cui, da questo punto di vista, ben potrebbero venire in considerazione eventuali azioni di responsabilità verso soggetti terzi, soprattutto nel caso in cui essi si siano resi compartecipi delle azioni dolose o colpose addebitabili agli esponenti sociali indicati dalla norma”; Nigro, La responsabilità della banca nell'erogazione del credito, in Società, 2007, 437; Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, Torino, 2009, 402, nt. 65; Galletti, cit, 19; Pinto, La responsabilità da concessione abusiva di credito fra unità e pluralità, in Giur. comm., 2001, II, 1176; Piscitello, Concessione abusiva del credito e patrimonio dell'imprenditore, in Riv. dir. civ., 2010, I 667; Rascio, cit., 160 (che peraltro risolve il problema dalla diversa prospettiva dell' ampliamento della legittimazione passiva nei confronti del terzo).
Per un parallelismo tra il danno derivante dall'abusiva concessione di credito non con l'art. 2395 c.c., bensì con l'art. 2394 c.c. e con gli artt. 2392 e 2393 c.c. si esprime Rolfi, cit., 1650 (rileva l'Autore che il danno è "l'elemento fondamentale da cui far derivare o meno la legittimazione del curatore, dovendosi basare tale legittimazione appunto sul crinale tra «danno ai creditori come entità individuali» e «danno all'impresa ed ai creditori come gruppo»).
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.
Sommario
La questione: l'abusiva concessione di credito quale illecito plurioffensivo, dal danno alla legittimazione