Conseguenze in ordine alla mancata applicazione dei criteri di stima per la vendita delle aziende in esercizio

Roberto Amatore
31 Luglio 2014

In tema di liquidazione dei complessi produttivi nell'ambito dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d'insolvenza, qualora il Ministero dello Sviluppo Economico abbia autorizzato la cessione di un complesso con le modalità di cui all'art. 63 del D.Lgs. n. 270 del 1999, dettate per le aziende in esercizio, l'asserita violazione dei parametri valutativi dettati dal predetto art. 63 radica comunque la giurisdizione del G.O., restando escluso che i diritti soggettivi lesi dall'atto di liquidazione possano ritenersi degradati ad interessi legittimi, e ciò anche qualora risultino travalicati i limiti del potere discrezionale spettante alla P.A., con la conseguenza che gli atti posti in essere dovranno essere considerati viziati per violazione di legge, e le relative autorizzazioni dovranno essere disapplicate ex art. 5 della legge n. 2248 del 1865, All. E.
Massima

In tema di liquidazione dei complessi produttivi nell'ambito dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d'insolvenza, qualora il Ministero dello Sviluppo Economico abbia autorizzato la cessione di un complesso con le modalità di cui all'art. 63 del D.Lgs. n. 270 del 1999, dettate per le aziende in esercizio, l'asserita violazione dei parametri valutativi dettati dal predetto art. 63 radica comunque la giurisdizione del G.O., restando escluso che i diritti soggettivi lesi dall'atto di liquidazione (nella specie, il diritto dei creditori aventi ipoteca sui beni immobili facente parte del complesso liquidato) possano ritenersi degradati ad interessi legittimi, e ciò anche qualora risultino travalicati i limiti del potere discrezionale spettante alla P.A., con la conseguenza che gli atti posti in essere dovranno essere considerati viziati per violazione di legge, e le relative autorizzazioni dovranno essere disapplicate ex art. 5 della legge n. 2248 del 1865, All. E.

In tema di cessione dei complessi aziendali nell'ambito dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d'insolvenza, le disposizioni di cui agli artt. 62 e 63 del d.lgs. n. 270 del 1999, disciplinando le attività preparatorie ed autorizzatorie, pongono al commissario straordinario ed al Ministro dello sviluppo economico una serie di vincoli diretti a salvaguardare una pluralità di interessi, tra cui quello dei creditori, dei lavoratori, nonché quello generale alla salvaguardia delle unità produttive; tali disposizioni hanno il carattere di norme imperative, alla cui violazione consegue la nullità, e non la mera inefficacia, dell'attività negoziale conclusiva della procedura di vendita e la illegittimità degli atti prodromici.

Il caso

Con reclamo ex artt. 65, secondo comma, D.lgs. n. 270/1999 e 739 c.p.c. la società s.p.a. A. M. in amministrazione straordinaria proponeva impugnazione innanzi alla Corte d'Appello di Ancona nei confronti del decreto emesso dal Tribunale anconetano, con il quale quest'ultimo aveva dichiarato, su istanza dei creditori ipotecari e per la rilevata violazione degli artt. 62, 63 e 55 D.lgs. n. 270/1999, la nullità dell'atto di trasferimento del complesso aziendale.
Più in particolare, il giudice di prima istanza aveva accertato la detta nullità per la rilevata violazione dell'art. 63, primo comma, D.lgs. n. 270/1999, in quanto per la stima dei beni, sulla cui base era stata poi effettuata la vendita, non si erano correttamente applicati, per il calcolo della reddittività dell'azienda, i parametri indicati inderogabilmente dal legislatore nel menzionato art. 63.

Le questioni giuridiche

Il provvedimento in esame, la cui motivazione risulta ampiamente condivisibile, offre nella sua complessità numerosi spunti di riflessione sull'istituto dell'amministrazione straordinaria.

In primo luogo, in punto di competenza giurisdizionale.
Ebbene, la parte reclamante si doleva dell'erronea valutazione del giudice di primae curae, giacché, pur dovendosi riconoscere in favore degli istituti di credito che avevano agito a tutela dei loro interessi posizioni di diritto soggettivo, ciò nonostante i ricorrenti avevano comunque azionato un procedimento in cui si lamentavano, in buona sostanza, dell'asserita violazione di regole procedimentali poste a presidio di interessi pubblici, collettivi e privati, e ciò con particolare riferimento al disposto normativo di cui all'articolo 63 del decreto legislativo n. 270/1999, il quale non garantirebbe – sempre secondo le prospettazioni difensive della parte reclamante – un diretto rilievo alla posizione dei creditori, con la conseguente degradazione delle predette posizioni di diritto soggettivo a mere posizioni di interesse legittimo.
Il ragionamento svolto dalla Corte anconetana risulta, sul punto qui da ultimo in discussione, ineccepibile.

Occorre invero ricordare che l'articolo 65 del D.lgs. n. 270/1999 stabilisce che “contro gli atti e i provvedimenti lesivi di diritti soggettivi, relativi alla liquidazione dei beni di imprese in amministrazione straordinaria, è ammesso ricorso al Tribunale”, così riservando al giudice ordinario le controversie riguardanti la lesione di diritti soggettivi in ordine alla fase liquidatoria procedimentale.
Come correttamente rilevato anche dalla Corte territoriale, il predetto art. 65 ha introdotto una disposizione che sembra escludere la degradabilità dei diritti soggettivi dei creditori ammessi al passivo della procedura a meri interessi legittimi, essendo, al contrario, chiara la volontà del legislatore, attraverso tale norma, di assicurare la piena tutela a coloro che vantino diritti soggettivi nell'ambito di una procedura ove sono richiamati anche altri interessi di carattere pubblicistico, la cui salvaguardia non deve tuttavia far ritenere le posizioni soggettive dei creditori concorsuali ancillari ai predetti interessi collettivistici.
Ne discende che non può trovare albergo, in subiecta materia, il principio secondo cui la compresenza di plurimi interessi, anche di natura pubblica, legittimerebbe la soppressione dei diritti dei creditori attraverso l'adozione degli atti degli organi della procedura, degradandoli così a meri interessi legittimi, atteso che ciò comporterebbe, in concreto, una surrettizia disapplicazione dell'articolo 65, rendendolo di fatto inoperante, e attraendo così nell'ambito pubblicistico tutta l'attività connessa alle operazioni di realizzo del patrimonio delle imprese assoggettate ad amministrazione straordinaria, attività quest'ultima la cui vocazione prettamente concorsuale è invece indiscutibile e come tale rimessa all'ambito di tutela della giurisdizione ordinaria.


Ma la questione che offre maggiore interesse e spunti di approfondimento riguarda, in realtà, il profilo delle conseguenze giuridiche collegate alla inosservanza dei criteri di valutazione e di stima dei beni aziendali in sede di liquidazione dei complessi aziendali in esercizio.
Sul punto, giova ricordare che l'alienazione dei beni aziendali è disciplinata dagli artt. 62 e 63 del più volte citato D.Lgs. n. 270 del 1999.
Ed invero, il valore del bene da alienare deve essere preventivamente determinato da uno o più esperti nominati dal commissario straordinario. Peraltro, l'alienazione deve essere effettuata in conformità delle previsioni del programma autorizzato, con forme adeguate alla natura dei beni e finalizzate al migliore realizzo, in conformità dei criteri generali stabiliti dal Ministro dell'Industria.
Se l'azienda è, poi, in esercizio, la predetta valutazione deve tenere conto della redditività, anche se negativa, all'epoca della stima e nel biennio successivo. Inoltre, l'acquirente deve obbligarsi a proseguire per almeno un biennio le attività imprenditoriali e a mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazionali stabiliti all'atto della vendita. Ebbene, la scelta dell'acquirente deve essere effettuata tenendo conto, oltre che dell'ammontare del prezzo offerto, dell'affidabilità dell'offerente e del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali da questi presentato, anche con riguardo alla garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali.


Dalla normativa in esame possono essere invero enucleati alcuni fondamentali principi. Innanzi tutto va evidenziato, in termini ancora generali, che nelle procedure concorsuali aventi quale finalità la liquidazione del patrimonio del debitore ed il soddisfacimento dei creditori sul ricavato rilevano due fondamentali interessi dei creditori, che sono propri di ciascun creditore anche singolarmente considerato e che si concretizzano, da un lato, nell'interesse a che dalla vendita dei beni del debitore insolvente venga ricavato un prezzo quanto più possibile vicino a quello di mercato e, dall'altro, nell'interesse a che l'attivo ricavato venga ripartito nel rispetto del principio della par condicio creditorum.
Il primo interesse attiene alla fase liquidatoria ed il secondo alla fase di ripartizione dell'attivo.
Più in particolare, il primo interesse fonda e concreta la pretesa di ogni singolo creditore affinché la vendita avvenga nella forma più vantaggiosa e, dunque, nel rispetto di tutta la normativa diretta a garantire tale fondamentale interesse, che viene in considerazione anche nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, la quale è, in realtà, anch'essa una procedura concorsuale (giacché lo stesso art. 1 del D.Lgs. n. 270 del 1999 recita testualmente che "l'amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente"), e ciò in particolar modo nell'ipotesi in cui la finalità del riequilibrio economico delle attività imprenditoriali venga perseguita tramite la procedura di predisposizione ed attuazione di un programma di cessione di beni aziendali.
Ebbene, l'alienazione dei beni da parte del commissario straordinario deve essere effettuata come previsto dal succitato art. 62, non solo in conformità delle previsioni del programma e con forme adeguate alla natura dei beni, ma anche con forme finalizzate al migliore realizzo e, se si tratta, come nel caso esaminato nel provvedimento della Corte d'Ancona, di vendita di un complesso aziendale, previo espletamento di idonee forme di pubblicità.
Sul punto, va precisato che il valore dei beni deve essere preventivamente determinato da un esperto al fine di stabilire qual è il prezzo che deve essere richiesto e portato a conoscenza di potenziali acquirenti che intendano partecipare alla gara per l'acquisto dei beni aziendali. Peraltro, il commissario giudiziale è tenuto a rispettare le modalità summenzionate sia che venga posta in vendita un'azienda non più in esercizio, sia che venga posta in vendita un'azienda in esercizio.
Tuttavia, se viene posta in vendita un'azienda in esercizio, il commissario straordinario, in ossequio a quanto disposto dall'art. 63, è tenuto a rispettare, oltre gli obblighi di cui sopra, anche gli ulteriori obblighi, da un lato, di affidare all'esperto l'incarico di determinare il valore del bene, dovendo inoltre il commissario straordinario richiedere al predetto esperto di tener conto, nella determinazione del valore del bene, della redditività dell'azienda, anche se negativa, all'epoca della stima e nel biennio successivo; e, dall'altro, di informare i potenziali acquirenti dell'obbligo, che sono tenuti ad assumersi, di proseguire le attività imprenditoriali per almeno un biennio e di mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazionali stabiliti all'atto della vendita.


Ebbene, risulta agevole osservare come, con gli artt. 62 e 63, il legislatore abbia fissato una serie di vincoli (osservanza dei criteri generali dettati dal Ministero dell'industria, accertamento preventivo del valore dei beni da liquidare, adozione di sistemi di pubblicità idonei per i beni immobili, le aziende ed i rami di azienda di valore superiore a cento milioni, adozione di criteri di stima del complesso aziendale anche temporalmente fissati ) diretti a salvaguardare una pluralità di interessi, e cioè quello dei creditori, per un verso, ma anche, quello, per altro verso, dei lavoratori, nonché l'interesse generale alla conservazione del patrimonio produttivo, salvaguardando l'unità operativa dei complessi aziendali.
È necessario chiarire che le dette disposizioni, essendo poste a tutela di interessi generali, dell'economia e di categorie di persone, non ammettono una difforme regolamentazione e, pertanto, costituiscono sicuramente un limite inderogabile al potere discrezionale sia del commissario straordinario che del Ministero dell'industria nell'espletamento delle attività richieste per pervenire all'alienazione dei beni dell'imprenditore insolvente.

Si può, pertanto, fondatamente concludere, come avvenuto anche nel corposo provvedimento in commento, che tali disposizioni, in quanto inderogabili per tutti i sopra richiamati motivi, rivestono il carattere di norme imperative, alla cui violazione deve essere ricollegata, per un verso, la nullità dell'attività negoziale conclusiva della procedura di vendita (e dunque anche del finale contratto di compravendita del complesso aziendale), e ciò ai sensi dell'art. 1418 c.c., e, per altro verso, la illegittimità degli atti prodromici, e cioè del programma di cessione del complesso aziendale e delle autorizzazioni ministeriali alla esecuzione del programma ed alla vendita di detto complesso.
In realtà, la violazione delle disposizioni in parola non consente di realizzare l'assetto degli interessi in gioco voluto dal legislatore, e la lesione di detti superiori interessi, frustrando le finalità della procedura di amministrazione straordinaria, non può non ritenersi sanzionata, traducendosi come detto nella violazione di norme imperative, con la sanzione di nullità.
Trattasi, con tutta evidenza, di un'ipotesi di nullità virtuale (così si esprime anche Cass., Sez. Un., n. 12247 del 27 maggio 2009, peraltro puntualmente e correttamente richiamata anche nel provvedimento qui in esame).

Osservazioni

Chiarite così le questioni giuridiche di maggior interesse nel provvedimento della Corte territoriale, corre l'obbligo di precisare come il passaggio motivazionale più interessante contenuto nel decreto in commento riguardi l'esame del rapporto tra il comma 2-bis dell'art. 63 del più volte richiamato D.lgs. n. 270/1999, così come recentemente introdotto dall'art. 11, comma 3-quinquies della L. 21 febbraio 2014 n. 9 (di conversione del decreto legge 23 dicembre 2013 n. 145 ) e la restante disciplina già sopra ampiamente esaminata nei suoi presupposti applicativi.

Ed invero, il comma 2-bis qui richiamato dispone ora che “l'articolo 63 del decreto legislativo 8 luglio 1999 n. 270 si interpreta nel senso che, fermi restando gli obblighi informativi di cui al comma 2 e di valutazione discrezionale di cui al comma 3, il valore determinato ai sensi del comma 1 non costituisce un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita”.
Ebbene, la Corte anconetana interpreta il nuovo disposto normativo nel senso che il valore determinato ai sensi del primo comma dell'art. 63 del D.lgs. n. 270/1999 debba comunque continuare a costituire un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita, dovendosi considerare la possibilità di discostarsi dal prezzo di vendita come una mera eventualità concernente la fase della cessione, fase che, tuttavia, presuppone una valutazione del compendio aziendale redatta secondo i criteri normativamente fissati e che non legittima pertanto un prezzo base d'asta errato in quanto non conforme alle disposizioni della vigente normativa.
Ne consegue pertanto che il nuovo dettato normativo, secondo cui, come detto, il valore determinato ai sensi di legge non costituisce un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita, non giustificherebbe in alcun modo l'affermazione per la quale tale limite dovrebbe essere considerato come un parametro superabile o del quale si possa fare a meno ai fini di una consapevole ponderazione degli interessi presi in considerazione dal legislatore e di cui la stima costituisce uno degli indefettibili elementi di riscontro.


Detto altrimenti, la circostanza che il valore di stima non costituisca un limite inderogabile vale a configurare come regola la corrispondenza tra stima e prezzo di vendita, di talché la possibilità di discostarsi dalla prima si configura come un'eccezione del sistema che deve trovare rispondenza nell'indicazione di un prezzo la cui formazione deve avvenire pur sempre in sintonia con i criteri normativamente stabiliti.
Per una migliore comprensione ed interpretazione degli artt. 62 e 63 D.lgs. n. 270/1999 occorre invero partire proprio dal principio affermato nel noto arresto giurisprudenziale reso dalla Cassazione a Sez. Un. n. 12247/2009 sopra citato. Ed invero, il giudice di legittimità ha affermato che “nelle procedure concorsuali, aventi quale finalità la liquidazione del patrimonio del debitore ed il soddisfacimento dei creditori sul ricavato, rilevano due fondamentali interessi dei creditori, che sono propri di ciascun creditore anche singolarmente considerato : 1) l'interesse a che dalla vendita dei beni del debitore insolvente venga ricavato un prezzo quanto più possibile vicino a quello di mercato, 2) l'interesse a che l'attivo ricavato venga ripartito nel rispetto del principio della par condicio creditorum”.


Ebbene, va precisato che i predetti interessi vengono in considerazione anche nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, e soprattutto nell'ipotesi in cui la finalità del riequilibrio economico delle attività imprenditoriali venga perseguita tramite la procedura di predisposizione ed attuazione di un programma di cessione di beni aziendali.
Pertanto, l'alienazione dei beni aziendali da parte del commissario straordinario deve essere effettuata secondo le regole dettate dal più volte ricordato art. 62, non solo in conformità delle previsioni del programma e con forme adeguate alla natura dei beni, ma anche con forme finalizzate al miglior realizzo. Di talché, il valore dei beni dovrà essere preventivamente determinato da un esperto al fine di stabilire qual sia il prezzo che dovrà essere richiesto e portato a conoscenza dei potenziali acquirenti che intendono partecipare alla gara per l'acquisto del bene.
In via definitiva, può affermarsi che il menzionato art. 62 tutela espressamente l'interesse dei creditori al maggior realizzo, essendo elemento imprescindibile, benché non inderogabile, la valutazione dell'esperto nominato dai commissari per la verifica della congruità delle offerte ricevute.

Conclusioni

Se le superiori considerazioni sono vere, allora non sembra superabile, e ciò anche dopo l'ultima modifica legislativa introdotta – come già sopra evidenziato – dall' art. 11, comma 3-quinquies della L. 21 febbraio 2014 n. 9, il principio affermato dalle Sez. Un. secondo cui le disposizioni di cui agli artt. 62 e 63 del D.Lgs. n. 270 del 1999, disciplinando le attività preparatorie ed autorizzatorie, pongono al commissario straordinario ed al Ministro dello Sviluppo Economico una serie di vincoli diretti a salvaguardare una pluralità di interessi, tra cui quello dei creditori, dei lavoratori, nonché quello generale alla salvaguardia delle unità produttive, con l'ulteriore conseguenza che tali disposizioni rivestono il carattere di norme imperative, alla cui violazione consegue la nullità, e non la mera inefficacia, dell'attività negoziale conclusiva della procedura di vendita e l'illegittimità degli atti prodromici.
Come correttamente affermato dalla Corte territoriale del cui provvedimento qui si discorre, in siffatto ambito normativo l'inserimento nell'art. 63 del comma 2-bis, nell'affermare tale disposizione che la determinazione del valore operata dall'esperto nominato non costituisce un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita, ribadisce, comunque ed in primo luogo, che tale valore deve essere determinato ai sensi del primo comma della medesima disposizione normativa, la cui portata vincolante – ai fini della individuazione del modus procedendi per la corretta determinazione del valore dei beni aziendali – non è pertanto obliterabile.


Ne consegue che la stima deve seguire i criteri indicati dalla legge, pur potendo gli organi della procedura discostarsi dal prezzo di cessione così stabilito e la cui fissazione non costituisce un dato invalicabile.
Ed invero, i profili da ultimo analizzati concretano due diverse fasi all'interno del medesimo ambito procedimentale, il primo riguardando, in buona sostanza, la verifica della quantificazione, sotto l'aspetto monetario, del complesso oggetto di cessione, ed il secondo attenendo invece alla fase della alienazione di cui il valore di stima dei beni costituisce una delle componenti e delle quali il legislatore, con l'introduzione del comma 2-bis sopra esaminato, ha voluto affermare la non vincolatività.


In conclusione, può affermarsi che il provvedimento in commento, articolatamente motivato e completo nell'esame di tutte le questioni dedotte dalle parti a motivo del proposto reclamo, merita la più ampia e convinta condivisione, atteso che, per un verso, fa corretta e puntuale applicazione dei principi affermati dalla Corte di Cassazione a Sez. Un. in tema di disciplina liquidatoria nell'ambito dell'amministrazione straordinaria e, per altro verso, introduce un'interpretazione sistematicamente corretta del novellato comma 2-bis dell'art. 63 D.lgs. n. 270/1999.

Riferimenti giurisprudenziali e dottrinali

Per un approfondimento dei temi trattati, si rimanda il lettore, per la giurisprudenza, a Cass. Sez. U, n. 12247 del 27/5/2009; per la dottrina, a Punzi, Le procedure di amministrazione straordinaria nel sistema delle procedure concorsuali, in Dir. Fall., 2005, I, 272; Alessi, L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi. Commento sistematico al d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, Milano, 2000 ; Castiello – D'Antonio, Le attuali prospettive di riforma in materia di amministrazione straordinaria, in Dir. Fall., 2010, I, 78; Lo Cascio, L'espansione dell'amministrazione straordinaria, in Fall., 2005, 377.

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