Società in house insolvente. Contrasti giurisprudenziali sulla assoggettabilità a procedure concorsuali

Giannino Bettazzi
21 Luglio 2014

La società c.d. in house può essere ammessa alla procedura di concordato preventivo. A ciò non osta la recente decisione della Suprema Corte in ordine all'affermata giurisdizione contabile sulla responsabilità degli organi sociali, sia perché verosimilmente riferita solo ai rapporti tra eterodirezione ed autonomia degli organi sociali, sia perché tale affermazione non comporta, sotto il profilo della disciplina comune, l'annullamento dell'alterità giuridica tra l'ente ed il socio. L'erogazione di servizi pubblici da parte della società in house rileva in relazione ai limiti ed alle modalità di liquidazione, ma non influisce sulla sua natura.
Massima

La società c.d. in house può essere ammessa alla procedura di concordato preventivo. A ciò non osta la recente decisione della Suprema Corte (Cass. SS.UU., 25 novembre 2013, n. 26283) in ordine all'affermata giurisdizione contabile sulla responsabilità degli organi sociali, sia perché verosimilmente riferita solo ai rapporti tra eterodirezione ed autonomia degli organi sociali, sia perché tale affermazione non comporta, sotto il profilo della disciplina comune, l'annullamento dell'alterità giuridica tra l'ente ed il socio. L'erogazione di servizi pubblici da parte della società in house rileva in relazione ai limiti ed alle modalità di liquidazione, ma non influisce sulla sua natura.

Non può essere dichiarato il fallimento delle società in house providing giacché, avuto riguardo al recente arresto della giurisprudenza di legittimità, esse devono ritenersi assimilabili agli enti pubblici, con conseguente applicazione dell'art. 1, comma 1, l. fall.
In presenza di tutti i requisiti per la configurabilità della società in house, vengono meno il rapporto di alterità tra socio e società stessa, come pure la separazione patrimoniale tra l'uno e l'altra.

Il caso

Le fattispecie dalle quali scaturiscono le decisioni annotate riguardano, entrambe, la richiesta di accesso ad una procedura concorsuale da parte di società di capitali a partecipazione pubblica, in particolare aventi caratteristiche di società c.d. ‘in house providing' (per i cui tratti distintivi si veda infra).
Nel primo caso, avente ad oggetto una domanda di concordato preventivo con riserva, il Tribunale di Modena si esprime per l'assoggettabilità della ricorrente alla procedura, assegnando così i termini per il deposito della documentazione completa, previa adozione dei provvedimenti d'uso in occasioni consimili.
Al contrario il Tribunale di Verona, chiamato a pronunciarsi sull'istanza di fallimento in proprio presentata dal liquidatore di società evidenziante le anzidette, medesime caratteristiche, ritiene che alle società in house providing debba essere riservata la disciplina dettata per gli enti pubblici dall'art. 1 l. fall., con conseguente rigetto della domanda.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Anche al lettore meno attento non sfuggirà come la stessa questione (l'assoggettabilità o meno ad una procedura concorsuale di società in house insolvente), generata da un'identica fattispecie, abbia provocato decisioni di segno del tutto opposto tra loro, e ciò sebbene entrambi i provvedimenti abbiano attinto, e dato applicazione, al recente arresto della giurisprudenza di legittimità (Cass. SU 25 novembre 2013, n. 26283) in tema di giurisdizione sulla responsabilità degli organi sociali per danni cagionati al patrimonio dell'ente.


Secondo i Giudici veronesi, allorquando ricorrano i presupposti che integrano la figura delle società in house providing indicati dalla Corte regolatrice (ovverosia la natura esclusivamente pubblica dei soci, lo svolgimento di attività principalmente destinata agli stessi, la relazione di natura gerarchica tra l'ente partecipante e gli amministratori), viene meno il rapporto di alterità tra socio e società, e dunque quest'ultima deve ritenersi totalmente riconducibile agli enti pubblici. Di qui l'applicazione dell'art. 1 l. fall. e, per essa, l'impossibilità di assoggettare a fallimento la società in house.


Con motivazione più articolata, contenente anche una sintetica ricostruzione degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in materia, il Tribunale di Modena, pur riconoscendo che l'istante presentava le caratteristiche di società in house, ne ha nondimeno consentito l'accesso alla procedura concorsuale minore, reputando che l'affermata giurisdizione della magistratura contabile sulla responsabilità degli organi sociali non valga a rendere inoperante la comune disciplina codicistica, con particolare riguardo ai rapporti con i terzi ed all'esigenza di tutela dell'affidamento nell'apparenza giuridica, determinata dall'iscrizione della società di capitali nel registro delle imprese.
Siffatta difformità di giudizio non è solo (e semplicemente) figlia di una differente lettura del richiamato precedente della giurisprudenza di legittimità, ma testimonia una più profonda disparità di opinioni circa il trattamento da riservare alle società in mano pubblica insolventi, di cui vi è chiara traccia nell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale evolutasi di pari passo con la proliferazione delle società a partecipazione pubblica.

Osservazioni

Per comprenderne le ragioni, conviene anzitutto rammentare che il fenomeno dell'aziendalizzazione dei servizi mediante società interamente (o quasi) controllate dagli enti pubblici (principalmente locali), risalente agli anni ottanta, ha registrato uno sviluppo massiccio nell'ultimo decennio, in ciò agevolato anche da numerosi, quanto inorganici, interventi legislativi.
Come spesso accade, più che alla realizzazione di un virtuoso modello di gestione ed alla attuazione di un'autentica privatizzazione, tale tendenza rispondeva all'esigenza di eludere i vincoli posti dalla pubblica amministrazione, conservando i privilegi derivanti dall'affidamento diretto alle società controllate delle attività e dei servizi pubblici.


E' nell'ambito di siffatta categoria di enti, tanto articolata da ostacolarne un'appagante definizione, che la Corte di Giustizia Europea ha enucleato la nozione di società c.d. in house providing.
Esse risultano caratterizzate da una partecipazione totalitaria di titolarità pubblica, da un controllo analogo a quello esercitato dalla amministrazione sui propri servizi e dallo svolgimento della parte prevalente di attività in favore degli enti partecipanti.
Avuto riguardo all'oggetto delle decisioni annotate, e più precisamente al tema della assoggettabilità alle procedure concorsuali delle società in house, va detto che dottrina e giurisprudenza tradizionali avevano sempre equiparato, a tal fine, le società in mano pubblica a quelle di diritto privato.


Solo in tempi più recenti, con lo sviluppo assunto dal fenomeno, parte della giurisprudenza di merito, sul presupposto della natura lato sensu pubblicistica delle società a partecipazione pubblica (nei termini anzidetti) e della loro attività, con conseguente operatività ‘sostanziale' dell'esenzione di cui all'art. 1 l. fall., le ha ritenute non soggette alla disciplina concorsuale.
Le argomentazioni poste a fondamento di tale (minoritario) orientamento, riprese anche da una parte della letteratura, oscillano tra l'approccio c.d. tipologico, secondo cui la qualificazione del soggetto deve compiersi non già sulla scorta del dato formale, bensì caso per caso, dando rilievo alla sostanza, e segnatamente al carattere strumentale o meno dell'ente rispetto alle finalità pubblicistiche perseguite, e la tesi c.d. funzionale, in forza della quale la disciplina concretamente applicabile va individuata previa valutazione di compatibilità delle regole di diritto comune con l'organizzazione e l'attività dell'ente pubblico.
Alla stregua di tale indirizzo, rispetto alle società a partecipazione pubblica dovrebbero trovare applicazione sia le disposizioni di diritto pubblico, ove espressamente previste, sia le norme di diritto privato, ogniqualvolta non vi siano ragioni per derogare, in ragione delle anzidette esigenze, a queste ultime.


Del tutto costante, ed univoca nel senso dell'assoggettabilità alle procedure concorsuali delle società in mano pubblica, è sempre stata, invece, la giurisprudenza di legittimità.
Per la corte regolatrice, infatti, le società non perdono la loro natura di soggetti privati pur in presenza di una partecipazione nel capitale, anche totalitaria, in capo ad un ente pubblico.
Sulla falsariga di tale insegnamento, la Cassazione ha ripetutamente affermato che il controllo esercitato dalla pubblica amministrazione in veste di socio di maggioranza non fa venir meno la (necessaria) distinzione con la società, dotata di autonoma personalità giuridica e, pertanto, soggetta alla comune disciplina codicistica.
Con specifico riferimento alla soggezione alla legge fallimentare, i giudici di legittimità hanno poi ripetutamente ribadito che le società di diritto privato, indipendentemente dalla identità del socio che le controlla, acquisiscono la qualifica di imprenditore commerciale per effetto della semplice costituzione, e dunque a prescindere dal concreto svolgimento dell'attività di impresa (nonché, giova aggiungerlo anticipando in qualche modo le considerazioni conclusive, dalla natura della stessa).
Occorre ora chiedersi se il nuovo indirizzo assunto dalle Sezioni Unite, con il recente arresto citato (e diversamente interpretato) da entrambe le decisioni annotate, in materia di giurisdizione sulla responsabilità degli amministratori, sia destinato a determinare un mutamento della giurisprudenza di legittimità in ordine alla disciplina applicabile alle società pubbliche insolventi.

Le questioni aperte

Una prima risposta di segno negativo perviene dal Tribunale di Modena, che nel decreto qui commentato osserva come gli effetti di tale arresto debbano ritenersi circoscritti alle conseguenze della responsabilità erariale, in quanto nella decisione il tema dell'assoggettabilità alle procedure concorsuali delle società in house non figura trattato, neppure sotto forma di obiter dictum. Ed il silenzio sarebbe carico di significato, dal momento che la sentenza delle Sezioni Unite segue di poco altra decisione della corte regolatrice (Cass. 27 settembre 2013, n. 22209), che aveva riaffermato la fallibilità delle società a partecipazione pubblica.
Va detto che siffatta lettura ‘riduttiva' (ossia limitata al solo riconoscimento della giurisdizione contabile sulla responsabilità degli organi delle società in house), circa la portata del ripetuto precedente di legittimità, corrisponde alle posizioni assunte dalla più attenta ed approfondita letteratura in materia.


Ed invero i primi commenti, oltre a ritenere che l'intervento dei giudici di legittimità sia stato imposto dal frammentario e lacunoso quadro normativo, risultano accomunati dalla preoccupazione che la sentenza autorizzi interpretazioni estensive in ordine alla disciplina applicabile alle società in house, con particolare riferimento, per quanto qui interessa, alla legge fallimentare.
Ove si consideri l'antitetico tenore delle decisioni annotate, tanto più evidente al cospetto non solo dell'identità di fattispecie, ma pure dei criteri distintivi utilizzati ai fini della individuazione della figura della società in house, quel timore appare effettivamente fondato.
Peraltro, come riportato nelle note bibliografiche, le pronunce di merito difformi, intervenute anche di recente su casi analoghi, non si limitano alle due annotate.


E' dunque il tema stesso dell'assoggettabilità, o meno, delle società in house alle procedure concorsuali, a rappresentare una questione aperta, e quantomai attuale.
Tutto lascia però intendere, sotto questo profilo, che la regola secondo la quale le società di diritto comune sono soggette a fallimento, senza riguardo alcuno alla composizione del capitale, continuerà a trovare applicazione.

Conclusioni

In tal senso militano, anzitutto, i principi fondamentali dell'ordinamento. La scelta degli enti pubblici di operare attraverso la costituzione di società private, per quanto interamente controllate, ovvero di affidare a società partecipate attività in precedenza direttamente gestite, non può che comportare l'accettazione delle norme comuni e, per essa, la sottomissione ad esse.
La presenza totalitaria, o maggioritaria, della pubblica amministrazione nel capitale delle società non determina, infatti, alcuna apprezzabile deviazione rispetto alla disciplina privatistica.
E ciò vale in relazione all'atteggiarsi del rapporto sia tra il socio e la società, sia tra quest'ultima ed i terzi. A tale riguardo, non possono evidentemente assumere alcuna rilevanza la qualità del socio, né la natura dell'attività esercitata e, tantomeno, gli interessi ad essa sottesi.


D'altro canto, sempre alla stregua dei principi generali, attraverso la costituzione e l'iscrizione nel registro delle imprese le società acquistano la qualifica di imprenditore commerciale, il cui statuto si applica senza distinzioni di sorta circa l'identità dei soci.
Opinare diversamente, a parte qualche dubbio di legittimità costituzionale, significherebbe dare luogo a sperequazioni di mercato ed a violazioni delle regole di concorrenza.


Inoltre, come da più parti si è fatto correttamente notare, se il regime applicabile alle società di diritto privato dipendesse dall'indagine circa la natura dell'attività svolta o degli interessi perseguiti, ne verrebbero esentate le società concessionarie di pubblici servizi, seppure a capitale interamente, o prevalentemente, privato.


Con specifico riferimento alla soggezione alle procedure concorsuali, occorre aggiungere che la recente modifica (attuata con legge 27 ottobre 2008, n. 166) della disciplina dell'amministrazione straordinaria, introducendo una particolare forma di ammissione per le società operanti nei servizi pubblici essenziali, dimostra come non vi sia incompatibilità di sorta tra lo svolgimento di essi e la sottoposizione alle procedure concorsuali.
Ciò premesso, riesce effettivamente inspiegabile, pena la manifesta lesione delle ragioni di tutela dell'affidamento (oltre che del principio di uguaglianza), che un soggetto, pur avente le anzidette caratteristiche di società in house providing, possa compiere un'attività commerciale, ed operare sul mercato, senza essere assoggettato a fallimento.


Giova in proposito considerare che la sussistenza di obbligazioni pecuniarie insoddisfatte in capo ai terzi deve ritenersi pacifica ogniqualvolta la società in house sia destinataria di istanza di fallimento o richieda essa stessa, come nei casi oggetto delle decisioni annotate, l'accesso ad una procedura concorsuale minore.
Oltre a non trovare alcuna ragionevole giustificazione, l'assimilazione delle società in house agli enti pubblici, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1 l. fall., comporta anche gravi conseguenze sul piano sistematico.
Si pensi, ad esempio, all'obbligo (che, accedendo alla tesi della esenzione, verrebbe surrettiziamente imposto ai terzi che entrano in rapporto con esse) di svolgere complesse indagini in ordine alla composizione del capitale ed alla natura dell'attività.
Non solo, l'esenzione dalla disciplina concorsuale comporta l'inapplicabilità ai componenti degli organi sociali, ed ai soggetti concorrenti, delle disposizioni penali che presuppongono la dichiarazione di fallimento, o comunque di insolvenza, del debitore, con altrettante riserve di legittimità costituzionale.
Infine, come pure è stato acutamente rilevato, ritenere che la mancanza di alterità tra il socio e la società autorizzi l'esenzione dalla disciplina concorsuale equivale a ritenere l'ente pubblico responsabile delle obbligazioni sociali insoddisfatte.

Riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

In generale, sulle società a partecipazione pubblica e la disciplina comune si vedano F. Fimmanò (a cura di), Le società pubbliche, Milano, 2011; R. Rordorf, Le società partecipate tra pubblico e privato, in Società 2013, 1326; G. Napolitano, Le società pubbliche tra vecchie e nuove tipologie, in Riv. soc., 2006, I, 999; C. Ibba, Società pubbliche e diritto societario, ivi, 2005, I, 2.
Con particolare riguardo alle società in house providing, oltre al precedente storico da cui trae origine tale figura (Corte di Giustizia 18 novembre 1999, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2000, 1393), si rinvia anche per ulteriori riferimenti bibliografici a F. Fimmanò, Le società in house tra giurisdizione, responsabilità ed insolvenza.
Per la rilevanza e la centralità del recente arresto della Suprema Corte in materia di giurisdizione contabile sulla responsabilità per danno erariale (Cass. SU 25 novembre 2013, n. 26283) si segnalano i commenti di L. Salvato, Riparto di giurisdizione sulle azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali delle società in house, in Fall. 2014, 38; F. Fimmanò, La giurisdizione sulle ‘società in house providing', in Società 2014, 55; C. Ibba, Responsabilità erariale e società in house, in Giur. comm. 2014, II, 13.
Il tema specifico oggetto delle decisioni annotate è trattato da Di Majo, Report sulla fallibilità delle società “in house”, in ilFallimentarista.it; Pizza, La Cassazione chiarisce che le società a partecipazione pubblica sono assoggettabili a fallimento. Fine di un problema?, in ilFallimentarista.it; Vignoli, La nozione mobile di ente pubblico ex art. 1 l. fall., in ilFallimentarista.it; Panzani La fallibilità della società in mano pubblica, in ilFallimentarista.it; Leozappa, Ammissibilità del concordato preventivo di società pubblica erogante servizi di interesse generale, in ilFallimentarista.it; L. Balestra, Concordato, assoggettabilità delle società partecipate da enti pubblici e prededucibilità del finanziamento dei soci, in Fall. 2013, 1282; L. Salvato, I requisiti di ammissione delle società pubbliche alle procedure concorsuali, in Dir. fall. 2010, I, 603; F. Fimmanò, Il fallimento delle ‘società pubbliche', in ilcaso.it; G. D'Attorre, Società in mano pubblica e fallimento: una terza via è possibile, in Fall. 2010, 691; L.E. Fiorani, Società ‘pubbliche' e fallimento, in Giur. comm. 2012, I, 532; F. Fimmanò, La società pubblica, anche se in house, non è un ente pubblico ma un imprenditore commerciale e quindi è soggetta a fallimento, in Fall. 2013, 1296; G. D'Attorre, Le società in mano pubblica possono fallire?, ivi, 2009, 715.
Tra la giurisprudenza di legittimità più recente, Cass. 27 settembre 2013, n. 22209; Cass. SU 3 maggio 2013, n. 10299 (ord.); Cass. 6 dicembre 2012, n. 21991.
Quanto alla giurisprudenza di merito, e sempre limitando le indicazioni ai precedenti più recenti, affermano l'assoggettabilità a procedura concorsuale delle società a partecipazione pubblica App. Napoli 27 maggio 2013, in Fall. 2013, 1290; Trib. Nola 30 gennaio 2014; Trib. Pescara 14 gennaio 2014; Trib. Avezzano 26 luglio 2013;Trib. Palermo 11 febbraio 2010; contra App. Torino 15 febbraio 2010, in Fall. 2010, 689; Trib. Napoli 9 gennaio 2014; Trib. Catania 26 marzo 2010; Trib. S. Maria Capua Vetere 9 gennaio 2009, in Fall. 2009, 713.

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