La tutela del subappaltatore nei confronti della stazione appaltante in caso di fallimento dell’appaltatore

17 Giugno 2014

L'ente pubblico, che abbia un debito nei confronti di società appaltatrice fallita per opere da questa realizzate (anche per mezzo dei subappaltatori), deve adempiere le sue obbligazioni e pagare quanto dovuto alla procedura fallimentare, la quale poi provvederà a ripartire l'attivo fra i creditori nel rispetto della graduazione determinata dalla norme fallimentari e civilistiche.
Massima

L'ente pubblico, che abbia un debito nei confronti di società appaltatrice fallita per opere da questa realizzate (anche per mezzo dei subappaltatori), deve adempiere le sue obbligazioni e pagare quanto dovuto alla procedura fallimentare, la quale poi provvederà a ripartire l'attivo fra i creditori nel rispetto della graduazione determinata dalla norme fallimentari e civilistiche.

In base a una lettura coordinata dell'art. 111 l. fall. e dell'art. 118, commi 3 e 3 bis, Codice degli appalti (come modificato dal c.d. decreto Destinazione Italia, d.l. n. 145/2013, conv. in l. n. 9/2014) non può essere riconosciuta la prededuzione al credito del subappaltatore, mancando il requisito della funzionalità o dell'occasionalità con le procedure concorsuali: il meccanismo di cui all'art. 118 cod. app.,presupponendo l'esistenza di un contratto ancora in corso di esecuzione che deve essere portato a termine, ha ragione d'essere solo in caso di continuità nei rapporti tra stazione appaltante ed affidatario, mentre in caso di fallimento di quest'ultimo, il contratto con la stazione appaltante si scioglie ipso iure.

Il caso

Il subappaltatore di una società fallita, appaltatrice di opere pubbliche, si rivolge al G.D. di Bolzano e, richiamando la pronuncia 5 marzo 2012, n. 3402 della Cassazione, relativa a un caso analogo, invoca, in sede di ammissione del credito, la prededuzione ex art. 111 l. fall.
Nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte, il ricorrente si lamentava per l'ammissione al chirografo, in quanto il credito, rappresentando il corrispettivo dell'attività espletata in esecuzione di un contratto di subappalto, era strumentale all'amministrazione fallimentare e meritava la collocazione in prededuzione. Il ricorso veniva accolto, dal momento che il pagamento del credito rientra negli interessi della massa, e dunque risponde allo scopo della procedura in quanto inerisce alla gestione fallimentare. Il pagamento si atteggia quale condizione di esigibilità del credito che la fallita vanta a sua volta nei confronti della stazione appaltante.


Nel decidere, i giudici di legittimità applicano l'art. 118, comma 3, del d.lgs n. 163/06. La norma prevede che nel bando di gara la stazione appaltante deve indicare che provvederà a corrispondere direttamente al subappaltare o al cottimista l'importo dovuto per le prestazioni da esso eseguite o, in alternativa, che è fatto obbligo agli affidatari di trasmettere, entro venti giorni dalla data di ciascun pagamento effettuato nei loro confronti, copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti di essi affidatari corrisposti al subappaltatore o cottimista, con l'indicazione delle ritenute di garanzia effettuate. Qualora gli affidatari non trasmettano le fatture quietanzate, la stazione appaltante sospende il successivo pagamento a favore degli affidatari.
Ad avviso della Suprema Corte, la sanzione della sospensione, prevalentemente intesa quale forma di garanzia per le ragioni del subappaltatore, contraente più debole, tesa ad evitare abusi da parte dell'appaltatore, preclude all'appaltatore, e per esso nel caso in esame al curatore fallimentare, la riscossione del proprio credito verso la stazione appaltante. Concludono i Supremi Giudici nel senso che “la costruzione esegetica propugnata dalla ricorrente appare corretta laddove rappresenta il necessario nesso di strumentalità tra il pagamento del proprio credito, che, solo se assistito da prededuzione può essere eseguito con preferenza seppur a seguito di riparto, e la soddisfazione del credito della fallita in termini di funzionalità rispetto agli interessi della procedura di quel pagamento, meritevole per l'effetto di quel rango preferenziale”.


Il Tribunale altoatesino, con articolata decisione, si discosta da quanto enunciato dai giudici di legittimità, muovendo da una delimitazione della prededuzione ai crediti sorti in corso di procedura, mentre tutti i crediti sorti prima avrebbero natura concorsuale e come tali sarebbero soggetti alla par condicio creditorum. Il G.D. esclude che l'art. 118, comma 3, l. fall. possa trovare applicazione, in quanto, in presenza di fallimento, prevale la disciplina che regola lo svolgimento della procedura concorsuale. Diversamente, verrebbe lesa la parità fra i creditori e il fondamentale principio secondo cui tutti i pagamenti devono essere effettuati nell'ambito del procedimento in osservanza dei privilegi di legge e delle norme sulla prededuzione.
In definitiva, enuncia il G.D., se l'ente pubblico ha un debito nei confronti dell'appaltatrice fallita per opere realizzate a mezzo di subappaltatori, deve adempiere le sue obbligazioni e pagare quanto dovuto alla procedura fallimentare, la quale poi provvederà a ripartire l'attivo tra i creditori nel rispetto della graduazione determinata dalle norme fallimentari e civilistiche.
Riproposte in sintesi le posizioni della giurisprudenza in commento, giova soffermarsi sulla questione di fondo da cui muovono, in senso divergente, le citate pronunce.

La questione giuridica

Si discute sulla applicabilità, una volta introdotta la procedura fallimentare, dell'art. 118, comma 3, del codice degli appalti pubblici.
Secondo la posizione panfallimentarista del prefato Tribunale, la sopravvenienza del fallimento scioglie il contratto e, per l'effetto, si applica integralmente la disciplina fallimentare, così venendo meno la sospensione del pagamento da parte della stazione appaltante che, pertanto, è tenuta ad adempiere il dovuto al curatore.
Di contro, la Cassazione adotta una soluzione mediana in quanto, da un lato, ammette la sospensione del pagamento, così applicando l'art. 118, ma, per altro verso, ritiene che il credito del subappaltatore debba partecipare al concorso, per il tramite della domanda di ammissione al passivo. Attesa la strumentalità del credito, una volta soddisfatto il subappaltatore, il curatore può reclamare dalla stazione appaltante quanto dovuto.

Osservazioni

La soluzione adottata dal Tribunale del capoluogo altoatesino, di non applicare la disciplina del codice dei contratti pubblici, ad avviso di chi scrive non è convincente in quanto, come segnalato dall'Adunanza della Commissione speciale del Consiglio di Stato del 22 gennaio 2008, la relazione fra normativa fallimentare e disciplina del codice dei contratti pubblici deve essere operata sulla base del criterio di specialità e di successione delle leggi nel tempo. Ciò comporta che non trovi applicazione la disciplina fallimentare laddove una norma successiva, di carattere speciale, legata agli appalti pubblici, regolamenti in maniera difforme il pagamento di un credito.


Tale conseguenza, secondo quanto assume il Tribunale bolzanino, darebbe origine a una lesione della par condicio creditorum, in quanto il credito del subappaltatore sfuggirebbe al concorso, così ledendo i principi del fallimento quale procedura esecutiva collettiva. Quanto paventa il giudice di merito, tuttavia, non pare in contrasto con i principi dell'ordinamento, in quanto l'applicazione della disciplina del codice dei contratti pubblici costituisce diretto recepimento della normativa comunitaria, la quale si ispira, in ossequio ai principi di circolazione sanciti dai Trattati, alla tutela della concorrenza.
In altri termini, la normativa prevista dal d.lgs. n. 163/06, per la parte di interesse in questa sede, non è tanto finalizzata a garantire la parte pubblica, alla quale, tutto sommato, poco importa in favore di quale soggetto disporre il pagamento, quanto piuttosto, in un'ottica sopranazionale, è funzionale a tutelare l'impresa nel mercato.
Ne consegue, diversamente da quanto assunto dal Tribunale precitato, che l'art. 118 non è ispirato ad una logica di favore nei confronti della stazione appaltante, bensì, come riconosce la Suprema Corte, è diretto a proteggere il subappaltatore quale parte debole del rapporto.
In definitiva, l'opzione della Cassazione di applicare l'art. 118, comma 3, d.lgs. n. 163/06 anche nel caso di fallimento, è persuasiva.
Quello che invece non convince del ragionamento dei giudici di legittimità è che il pagamento della stazione appaltante intervenga una volta soddisfatto il credito del subappaltatore in quanto ammesso in prededuzione. Come rileva il Tribunale di Bolzano, l'ammissione al passivo in via prededuttiva non implica necessariamente il materiale pagamento, in quanto è possibile che, secondo le regole della graduazione dei crediti, ulteriori (e diversi da quello vantato dal subappaltatore) crediti in prededuzione vengano prioritariamente soddisfatti con un'eventuale falcidia, totale o parziale, a carico del subappaltatore. Insomma, non è automatico che dall'ammissione in prededuzione derivi l'effettivo pagamento del credito di titolarità del subappaltatore.
Di quanto sopra sembra essersi avveduto il legislatore laddove, con la modifica intervenuta nel testo dell'art. 118, comma 3, cit. in virtù del d.l. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito con modificazioni nella l. 21 febbraio 2014, n. 9 (di cui non dà atto il Tribunale di Bolzano, che riporta la versione della norma immediatamente antecedente a quella attuale), consente alla stazione appaltante, “ove ricorrano condizioni di crisi di liquidità finanziaria dell'affidatario, comprovate da reiterati ritardi nei pagamenti dei subappaltatori o dei cottimisti…accertate dalla stazione appaltante” di provvedere, “sentito l'affidatario”, al pagamento del subappaltatore.


Orbene, ammettere che la stazione appaltante possa, previa propria verifica, accertare la “crisi di liquidità” dell'appaltatore per poter procedere al pagamento di quanto svolto dal subappaltatore, induce a ritenere, a maggior ragione che, laddove sia stato giudizialmente conclamato lo stato di decozione dell'impresa, con declaratoria di fallimento, sussistano i presupposti perché la stazione appaltante possa pagare direttamente il subappaltatore.
D'altra parte, il pagamento diretto pare la soluzione più congrua in relazione all'operato del subappaltatore, che non reclama niente più di quanto gli è dovuto per la realizzazione dell'operato nei confronti della stazione appaltante.
La scelta del legislatore pare superare, seppure ai meri ai fini del pagamento diretto, le obiezioni della tradizionale giurisprudenza che, per escludere che il subappaltatore potesse rivolgersi alla stazione appaltante, evidenziava l'insussistenza di una relazione autonoma fra i predetti soggetti.
La versione interpretativa suggerita dalla novella legislativa risulta in piena sintonia rispetto alle moderne tendenze del diritto comunitario, nel senso di privilegiare la partecipazione alle gare di piccole-medie imprese le quali, di solito, non rivestono il ruolo di appaltatore, bensì di subappaltatore.
E' in un'ottica di preminenza del diritto comunitario che occorre collocare, nel contesto disciplinare nazionale, la normativa degli appalti pubblici, la cui peculiarità è stata più volte affermata dalla giurisprudenza amministrativa, ad esempio in materia di responsabilità risarcitoria, laddove è stata esclusa, a differenza degli altri settori disciplinari, la sussistenza della dimensione del rimprovero per l'ottenimento del ristoro per equivalente monetario. Di tale particolarità, strettamente legata al bene giuridico della concorrenza, intesa come pretesa di autoaffermazione dell'individuo e dell'impresa in un contesto di rispetto delle regole, finanche quelle più elementari quale il pagamento dell'opera eseguita, occorre tenere conto anche se l'appaltatrice è stata dichiarata fallita.

A sostegno della propria decisione, il Tribunale atesino sostiene che, a volere adottare una logica estranea alla procedura fallimentare, “lo stesso ragionamento dovrebbe applicarsi anche alla normativa relativa al DURC, ove si ritiene, invece, che l'art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 207 del 2010 non possa essere applicabile…in costanza di procedura fallimentare”. La disposizione citata prevede che il pagamento di quanto dovuto per le inadempienze accertate tramite DURC debba essere disposto dalla stazione appaltante direttamente agli enti previdenziali e assistenziali. Si è già affermato in questa rivista che non convince la scelta di non applicare la norma solo per il fatto che la società inadempiente si trovi coinvolta in una procedura concorsuale. A tal proposito, la recente riforma dell'art. 118 l. fall. sembra andare nel senso di rafforzare, in ossequio ai principi comunitari in tema di concorrenza, la tesi della specificità della disciplina del codice dei contratti pubblici, secondo l'assunto del Consiglio di Stato, che ha enunciato la prevalenza del d.lgs. n. 163/06 sulla normativa fallimentare in base ai criteri di specialità e di successione delle legge nel tempo.

Conclusioni

In conclusione, nel ritenere che pro futuro la novella legislativa possa dissipare gli equivoci legati al difficile bilanciamento fra normativa sugli appalti e legge fallimentare, per il passato, fra le tesi a confronto, sembra in parte preferibile l'opzione della Cassazione che, seppure non del tutto convincente nell'ancorare necessariamente il recupero alla procedura concorsuale, in quanto non vi è certezza del pagamento del subappaltatore, risulta tuttavia più incline a riconoscere l'applicazione del codice dei contratti pubblici.

Riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

La modifica normativa indicata nel testo è stata recentemente commentata ex professo da F. Lamanna, Il nuovo regime dei pagamenti dei crediti anteriori nei contratti pubblici secondo il Decreto “Destinazione Italia”, in ilFallimentarista.

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