L’art. 147, comma 5, l. fall. ed il fallimento originario di un imprenditore collettivo: incostituzionalità o possibilità di applicazione?

Luca Jeantet
13 Giugno 2014

L'art. 147, comma 5, l. fall. deve ritenersi incostituzionale, per contrasto con gli artt. 3, comma 1, e 24, comma 1, Cost., nella parte in cui non consente di estendere la dichiarazione di fallimento di una società di capitali alla società di fatto esistente tra l'ente collettivo originariamente fallito ed altri soci di fatto, siano essi persone giuridiche oppure persone fisiche.
Massima

L'art. 147, comma 5, l. fall. deve ritenersi incostituzionale, per contrasto con gli artt. 3, comma 1, e 24, comma 1, Cost., nella parte in cui non consente di estendere la dichiarazione di fallimento di una società di capitali alla società di fatto esistente tra l'ente collettivo originariamente fallito ed altri soci di fatto, siano essi persone giuridiche oppure persone fisiche.

L'art. 147, comma 5, l. fall. può essere applicato, secondo una lettura costituzionalmente orientata, a tutte le ipotesi in cui, fallito un imprenditore individuale o collettivo, emerga che l'attività imprenditoriale svolta in concreto sia riferibile ad una società di fatto partecipata anche da altri soggetti fisici o giuridici, essendo dunque irrilevante che la prima dichiarazione di fallimento interessi una società e non un imprenditore individuale.

Il caso

Le curatele dei fallimenti di due società di capitali depositano istanza ai sensi dell'art. 147, comma 5, l. fall., chiedendo che, previo accertamento dell'esistenza o, quanto meno, dell'apparenza di una società di fatto tra le fallite ed altri soggetti fisici o giuridici, venga dichiarato il fallimento di quest'ente collettivo irregolare e dei suoi soci illimitatamente responsabili sul presupposto della ricorrenza in concreto di un fenomeno imprenditoriale unitario. Il Tribunale di Bari non ritiene di poter accogliere la richiesta e solleva, d'ufficio, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 5, l. fall., ritenendo che la sua formulazione letterale, siccome riferita alla sola ipotesi di fallimento originario di un imprenditore individuale, non consenta di provvedere nell'ipotesi opposta di fallimento originario di un imprenditore collettivo. Il Tribunale di Milano propone, invece, una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 147, comma 5, l. fall. e, pur dando atto d'una lacuna normativa, lo giudica applicabile allorquando emerga, in data successiva al fallimento di un imprenditore individuale o collettivo, un'attività commerciale unitaria e riferibile ad una società di fatto in cui partecipino anche altri soggetti giuridici o fisici, con conseguente pronuncia d'una dichiarazione di fallimento in estensione.

La questione giuridica e le soluzioni

I provvedimenti affrontano e risolvono in modo differente, anche se con unità di vedute sostanziali, il tema dell'applicabilità dell'art. 147, comma 5, l. fall. al caso in cui fallisca in via originaria un imprenditore collettivo e non un imprenditore individuale, ritenendo che si debba comunque pervenire alla dichiarazione di fallimento della società di fatto successivamente emersa sulla base della verifica d'esistenza d'una azione imprenditoriale unitaria condotta con altri soggetti fisici o giuridici, nel primo caso previa dichiarazione d'incostituzionalità della norma e nel secondo caso attraverso una sua interpretazione analogica, che sia costituzionalmente orientata e che consenta di colmare una lacuna testuale.

Osservazioni

L'art. 147 l. fall., secondo la comune interpretazione, opera una distinzione tra fallimento c.d. “per ripercussione”, quale fenomeno sostanziale per effetto del quale dal fallimento di una delle società indicate nel suo comma 1 discende l'automatico fallimento dei suoi soci illimitatamente responsabili, e fallimento c.d. “per estensione”, quale fenomeno procedimentale per effetto del quale al fallimento di un'impresa societaria od individuale si aggiunge, rispettivamente ai sensi del suo comma 4 e del suo comma 5, una nuova dichiarazione di fallimento individuale e societaria.
L'art. 147, comma 5, l. fall. recepisce una consolidata interpretazione, già accolta nella disciplina dell'amministrazione delle grandi imprese in crisi (art. 24 del d. lgs. n. 270/1999), e si riferisce ad un'ipotesi assai frequente nella prassi, ricorrendo ogni qual volta al momento della prima dichiarazione di fallimento l'imprenditore appare individuale e poi si scopre essere, invece, collettivo. In questo caso, qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l'attività è riferibile ad una società di fatto di cui il fallito sia socio illimitatamente responsabile, si deve procedere alla dichiarazione di fallimento dell'ente collettivo irregolare. Il secondo fallimento interessa, in altre parole, non soltanto il socio od i soci del primo imprenditore individuale fallito, ma anche e preventivamente l'ente collettivo che li collega, giacché il meccanismo estensivo presuppone che prima venga dichiarato il fallimento della società di fatto e poi quello dei suoi soci illimitatamente responsabili, dovendosi accertare il vincolo sociale tra il fallito ed i suoi soci fallendi, nonché verificare l'insolvenza della società di fatto; e ciò senza che sia necessario accertare anche l'insolvenza dei singoli soci della società di fatto diversi dall'imprenditore individuale già fallito, essendo applicabile nei loro confronti la regola generale di cui all'art. 147, comma 1, l. fall. L'estensione in esame non è, infine, soggetta al limite temporale di cui all'art. 147, comma 2, l. fall., dato che, secondo la rigorosa interpretazione offerta dalla Corte Costituzionale, l'oggettiva disparità normativa trova giustificazione nella scelta volontaria dei soggetti di non rendere palese il loro rapporto sociale, con la conseguenza di doverne sopportare ogni necessaria conseguenza.

Innanzi a questo quadro di riferimento, occorre domandarsi se l'art. 147, comma 5, l. fall. consenta la dichiarazione di fallimento della società di fatto esistente tra una persona fisica ed una o più società di capitali, anche in estensione del fallimento di un imprenditore collettivo, qualora sia identificabile un disegno imprenditoriale unitario ed il perseguimento di interessi riferibili ad un unico ente collettivo.
La risposta, secondo l'opinione prevalente cui aderisce il Tribunale di Milano, deve essere positiva sulla base di tre considerazioni: la fattispecie di cui all'art. 147, comma 5, l. fall. comprende tutte le ipotesi in cui, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale o collettivo, risulti che la sua attività sia in realtà riferibile ad una società partecipata anche da altri soggetti fisici o giuridici; in ogni caso, l'art. 147, comma 5, l. fall. è analogicamente applicabile anche al caso non previsto del fallimento originario di un imprenditore collettivo, non essendovi differenza tra l'ipotesi in cui si pervenga al fallimento in estensione della società cui sia imputabile l'attività svolta da un imprenditore individuale fallito e l'ipotesi in cui si giunga a questo fallimento in estensione attraverso il percorso inverso; sarebbe, in ultima analisi, irragionevole che la stessa società di fatto tra gli stessi soci possa essere dichiarata fallita soltanto se la sua esistenza sia accertata in conseguenza del fallimento di una persona fisica socia e non anche del fallimento di una società socia.
L'interpretazione è sicuramente condivisibile, ma va sottoposta ad una necessaria verifica in ragione della natura eccezionale dell'art. 147, comma 5, l. fall., ammettendo la fallibilità di una società di fatto in deroga alla regola comune secondo cui l'imputazione di un'attività o di singoli atti dipende dalla spendita del nome, e della conseguente impossibilità d'una sua applicazione analogica ai casi da essa non contemplati giusto il disposto dell'art. 14 disp. prel. c.c.
Questo limite, che il Tribunale di Bari sembra ritenere insuperabile tanto da indurlo a chiedere l'intervento della Corte Costituzionale, potrebbe in realtà essere superato sulla base della constatazione che, se è vero in linea di principio che una norma eccezionale soggiace al divieto di interpretazione analogica, è anche vero che essa può comunque essere interpretata in via estensiva; e la differenza risiede nel fatto che, attraverso la prima interpretazione, si regolano casi non contemplati dalla norma eccezionale, mentre, attraverso la seconda interpretazione, si individuano tutte le ipotesi da essa disciplinate, anche se non espressamente menzionate.
In questa prospettiva, occorre pertanto chiedersi se l'art. 147, comma 5, l. fall. contempli non solo l'ipotesi esplicita del fallimento originario dell'imprenditore individuale, ma anche l'ipotesi implicita del fallimento originario di un imprenditore collettivo.

Tre le ragioni che depongono in favore di questa soluzione.
La prima è che tra le due ipotesi sussiste un'evidente identità di ratio, con la conseguenza che, anche per evitare una disparità di trattamento che sarebbe oggettivamente ingiustificabile, il fallimento di un imprenditore collettivo può essere ritenuto antecedente logico e cronologico del fallimento in estensione di una società occulta.
La seconda è che l'art. 147, comma 5, l. fall. non può, anzi non deve, impedire che il tribunale, qualora si trovi di fronte direttamente ed in prima istanza ad una società di fatto, ne dichiari il fallimento a prescindere da una preventiva dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale.
La terza è che la mancata menzione nell'art. 147, comma 5, l. fall. del fallimento originario di un imprenditore collettivo trova giustificazione nella relazione ministeriale di accompagnamento al d. lgs. n. 5/2006, ivi leggendosi che con la norma riformata si è inteso recepire l'orientamento giurisprudenziale in materia di società occulta. Quest'orientamento, che ammetteva la partecipazione alle società di persone di soli soggetti fisici, si è tuttavia formato prima della riforma del diritto societario e, quindi, dell'entrata in vigore dell'art. 2361, comma 2, c.c. che ha espressamente ammesso la legittimità della partecipazione di società di capitali in società di persone. Ora, se si considera che nel novellato comma 1 dell'art. 147 l. fall. si è tenuto conto di questa riforma, è lecito ritenere che il riferimento operato dal suo comma 5 al solo caso del fallimento originario di un imprenditore individuale abbia carattere esemplificativo e non precluda all'interprete di estenderne la disciplina anche al caso del fallimento originario di un imprenditore collettivo.
In definitiva, ed in ossequio al principio di uguaglianza sostanziale, è ragionevole ritenere che l'art. 147, comma 5, l. fall. possa trovare applicazione anche in caso di fallimento originario di un imprenditore collettivo, ed è altrettanto ragionevole ipotizzare che la Corte Costituzionale, attraverso una sentenza interpretativa di rigetto, affermi che quest'ipotesi sia da ritenersi già prevista nel nostro ordinamento concorsuale senza necessità di rendere la declaratoria d'incostituzionalità richiesta dal Tribunale di Bari.

Conclusioni

Il Tribunale di Bari ed il Tribunale di Milano scrutinano in termini non uniformi, anche se sostanzialmente convergenti, la possibilità di applicare l'art. 147, comma 5, l. fall. all'ipotesi del fallimento originario d'un imprenditore collettivo, ritenendo che si debba comunque pervenire alla dichiarazione di fallimento della società di fatto emersa successivamente alla dichiarazione di fallimento di un imprenditore collettivo ed esistente con altri soggetti, fisici o giuridici, nel primo caso previa dichiarazione d'incostituzionalità della norma e nel secondo caso attraverso una sua interpretazione, anche analogica, che sia costituzionalmente orientata e che consenta così di colmare una lacuna testuale.

Riferimenti giurisprudenziali e bibliografici

Sull'art. 147, comma 5, l. fall., in dottrina e per tutti: P. Pajardi, Codice del fallimento, a cura di M. Bocchiola e A. Paluchowski, Milano, 2013,4528, 1817 e ss. Sul fallimento della società occulta, in giurisprudenza: Cass., 22 febbraio 2008, n. 4528.; Cass., 10 febbraio 2006, n. 2975; Cass., 26 marzo 1997, n. 2700; Cass., 6 dicembre 1996, n. 10889. In dottrina: A. Dell'Osso, Periclitanti discrimina: tra società di fatto (tra società di capitale e persone fisiche), società apparente ed holding individuale, in Banca, borsa, titoli di credito, 2013, 466; U. Belviso, La nuova disciplina dell'estensione del fallimento delle società ai soci (art. 147 l. fall.), in Studi in onore di Vincenzo Starace, Napoli, 2008, III, 1657; A. Nigro, Commento all'art. 147, in A. Jorio (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2007, vol. II, 2181; G. Cavalli, I presupposti del fallimento, in G. Cottino (a cura di), Trattato di diritto commerciale, Padova, 2004, vol. IX, tomo II, 105. Sulla legittimità costituzionale dell'assenza di un termine per la dichiarazione di fallimento del socio occulto, in giurisprudenza: Trib. Messina, 8 gennaio 2003, in Fall., 2004, 85; Corte Cost., ord., 5 luglio 2002, n. 321. Sull'applicazione dell'art. 147, comma 5, l. fall. al caso del fallimento originario dell'imprenditore collettivo, in giurisprudenza: Trib. Vibo Valentia, 10 giugno 2011, in Banca, borsa, titoli di credito, 2013, 457 e ss.; Trib. Prato, 15 ottobre 2010, inedito; Trib. Forlì, 9 febbraio 2008, in Fall. 2008, 1328 e ss. In dottrina: A. Dell'Osso, op. cit., 464 e ss.; L. Abete, Il fallimento degli imprenditori collettivi, in A. Didone (a cura di), Le riforme della legge fallimentare, Torino, 2009, vol. II, 1510; M. Irrera, La società di fatto tra società di capitali e il suo fallimento in estensione, in Fall., 2008, 1337 e ss.; F. Platania, Il fallimento di società di fatto partecipata da società di capitali, ibidem, 1299; M. Spiotta, Un inaspettato sì all'ipotesi di società di fatto tra società di capitali, in Il Nuovo Diritto delle Società, 2008, 89. Sull'applicazione dell'art. 147, comma 5, l. fall. al solo caso del fallimento originario dell'imprenditore individuale, in giurisprudenza: App. Bologna, 11 giugno 2008, in Fall., 2008, 1293 e ss.

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