La responsabilità del socio accomandante nei confronti dei creditori sociali

Marco Nicolai
18 Agosto 2015

Il socio accomandante è tenuto al conferimento promesso nei confronti della società ed è obbligato solo nei confronti di quest'ultima.
Massima

Il socio accomandante è tenuto al conferimento promesso nei confronti della società ed è obbligato solo nei confronti di quest'ultima. Deve pertanto ritenersi esclusa la possibilità di un'azione diretta del creditore della società nei confronti del socio accomandante.

Il caso

Il provvedimento commentato non dedica ampio spazio alla vicenda concreta. Ed infatti, dalla sintetica esposizione degli atti processuali, emerge che P.A.M.G. s.r.l. ha adito l'autorità giudiziaria ottenendo decreto ingiuntivo di pagamento nei confronti di L.T., socio accomandante di N.P.S. s.a.s., anch'essa ingiunta unitamente al socio accomandatario R.S.

L.T., avverso l'ingiunzione di pagamento, propone opposizione che viene però respinta dal Giudice di Pace mentre è accolta, in appello, dal Tribunale.

La questione giuridica

La Suprema Corte di Cassazione, con ricorso promosso da P.A.M.G. s.r.l., è stata investita dell'esame della seguente questione e cioè se «il socio accomandante risponde delle obbligazioni sociali nei limiti della quota conferita». Ciò poiché il Tribunale, diversamente dal Giudice di Pace, ha statuito «l'insussistenza della responsabilità diretta dell'accomandante nei confronti dei creditori, sia pure nei limiti della quota di conferimento». Ne consegue che, a prescindere dalla vicenda processuale sopra descritta, deve essere in concreto accaduto che il signor L.T., in qualità di socio accomandante di N.P.S. s.a.s., si è obbligato a versare in favore di quest'ultima società una somma di denaro a titolo di conferimento. Tuttavia, L.T. non ha verosimilmente adempiuto tale obbligazione. Pertanto, P.A.M.G. s.r.l., in forza e per effetto di quanto dispone l'art. 2313, c.c., ha ritenuto di poter ingiungere il pagamento di quanto dovutole quale creditrice di N.P.S. s.a.s. non solo nei confronti di quest'ultima società e del socio accomandatario ma anche del socio accomandante rimasto inadempiente al versamento del conferimento promesso.

Osservazioni

La sentenza non meriterebbe specifiche considerazioni in quanto il principio di diritto enunciato, pur non trovando riscontro in altri precedenti giurisprudenziali, è da tempo condiviso dalla dottrina. Pare però opportuno chiarire alcuni aspetti che la sentenza non ha certamente potuto porre in rilievo poiché irrilevanti ai fini della decisione ma che da un lato costituiscono l'antecedente logico del dictum e, d'altro lato, possono senza dubbio agevolarne la comprensione. Inoltre, essi permettono di analizzare il percorso argomentativo seguito dapprima dalla dottrina, e ora anche dalla giurisprudenza, per pervenire alla conclusione secondo cui è «esclusa la possibilità di un'azione diretta del creditore della società nei confronti del socio accomandante».

La società in accomandita si caratterizza per la presenza di due categorie di soci, quella degli accomandatari e quella degli accomandanti. Questi ultimi, per quanto attiene alle obbligazioni sociali, rispondono limitatamente alla quota conferita (considera questa limitazione di responsabilità quale criterio tipologico e inderogabile della società in accomandita semplice, Cass. 19 febbraio 2003, n. 2481, sentenza reperibile in diverse riviste, fra cui Giur. It., 2004, 794; Arch. Civ., 2003, 1370; Corriere Giur., 2003, 435; Notariato, 2003, 239; Impresa, 2004, 658 con nota di Roveri, e a cui si rinvia per l'esame degli elementi che caratterizzano la società in accomandita semplice) differenziando la loro posizione da quella degli accomandatari che invece rispondono solidalmente e illimitatamente (ex pluribus, su tale distinzione, G.F. Campobasso, Diritto commerciale 2 Diritto delle società, a cura di M. Campobasso, Milano8, 2012, 127; Bolognesi e Grippo, La società in accomandita semplice, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. 17, Tomo terzo, Torino2, 2010, 67).

Ne consegue che l'accomandante che ha interamente eseguito il conferimento a cui si era obbligato in sede di sottoscrizione della quota di partecipazione non può ritenersi in alcun modo responsabile (cfr. Costi – Di Chio, Società in generale. Società di persone. Associazione in partecipazione, in Giur. sist. Bigiavi, Torino3, 1991, 472).

Tuttavia, la risalente dottrina non è pervenuta a un univoco convincimento in merito all'ipotesi in cui l'accomandante si fosse obbligato a versare, a titolo di conferimento, una somma di denaro che in concreto non ha poi corrisposto alla società. L'assenza di una posizione comune è discesa dalla formulazione dell'art. 2313, c.c., secondo il quale «nella società in accomandita semplice (…) i soci accomandanti rispondono limitatamente alla quota conferita».

Parte della dottrina si è interrogata sull'operatività della responsabilità. In particolare se quest'ultima, in caso di omesso versamento del conferimento promesso dal socio accomandante, dovesse operare esclusivamente nei confronti della società ovvero anche dei creditori sociali (sul punto cfr. quanto riporta Conforti, La società in accomandita semplice, in Il diritto privato oggi, Milano, 2005, 372 ss.).

L'interrogativo è stato formulato non tanto e non solo con riferimento alla rilevanza della responsabilità, e cioè se fosse esclusivamente interna (socio accomandante – società) ovvero anche esterna (e quindi con rilevanza pure nei confronti dei terzi) [sulla differenza tra responsabilità interna ed esterna dei soci, Cottino, Diritto societario, a cura di Cagnasso, Padova, 2011, 115], quanto piuttosto, e soprattutto, in merito alle azioni eventualmente esperibili dai terzi al fine di ottenere il conferimento promesso, ma non versato, dal socio accomandante. E infatti, nel caso in cui l'operatività della responsabilità fosse stata estesa anche ai terzi, questi ultimi sarebbero stati legittimati – come nel caso di specie hanno ritenuto P.A.M.G. s.r.l. (la società che ha proposto il ricorso per decreto ingiuntivo nei confronti della s.a.s., del socio accomandatario e di quello accomandante) e il Giudice di Pace (che ha emesso il decreto ingiuntivo) – ad agire direttamente e autonomamente nei confronti del socio accomandante.

Invero, deve pacificamente ritenersi (come riconosciuto da G.F. Campobasso, Diritto commerciale 2 Diritto delle società, cit., 127, nota 1) che la limitazione di responsabilità del socio accomandante «alla quota conferita», come stabilito dall'art. 2313, c.c., ha mera rilevanza interna e, quindi, nei rapporti fra società in accomandita semplice e socio accomandante. Pertanto, quest'ultimo risponde unicamente nei confronti della società verso la quale ha assunto l'obbligazione di effettuare il conferimento.

In conclusione, il creditore sociale, nel caso in cui il socio accomandante fosse inadempiente al conferimento promesso e la società fosse rimasta inerte, ricorrendo gli ulteriori presupposti, sarebbe legittimato ad agire nei suoi confronti con l'azione surrogatoria di cui all'art. 2900, c.c. (fra gli altri, senza pretesa di essere esaustivo, Bolognesi e Grippo, La società in accomandita semplice, cit., 67 s., nota 3; Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2011, 174 s.; Montalenti, Il socio accomandante, Milano, 1985, 224 ss.) e non anche direttamente e autonomamente.

Conclusioni

L'esercizio dell'azione diretta ovvero di quella surrogatoria da parte del creditore sociale comporta notevoli differenze. In primo luogo, sotto il profilo del soggetto beneficiario dell'azione. Ciò poiché nel caso di azione surrogatoria la sentenza di condanna è pronunciata in favore della società mentre è emessa in favore del creditore sociale con l'azione diretta e autonoma. In merito all'esercizio di quest'ultima, poi, il socio accomandante non può opporre in giudizio al creditore sociale le eccezioni processuali opponibili alla società a cui ha promesso il conferimento. Tale inopponibilità costituisce un'ulteriore difformità rispetto all'azione surrogatoria, il cui esercizio, diversamente dall'azione diretta e autonoma, comporta altresì la necessaria chiamata in causa della società quale litisconsorte necessario ex art. 2900, comma 2, c.c. (su tali diversità cfr. Conforti, La società in accomandita semplice, cit., 373 s.).

La tesi minoritaria, secondo cui i creditori sociali potevano avere azione diretta ed autonoma nei confronti dei soci accomandanti nei limiti del conferimento promesso e non ancora eseguito, non ha da tempo più seguito in dottrina (a questo riguardo, G.F. Campobasso, Diritto commerciale 2 Diritto delle società, cit., 127, nota 1, al quale sia consentito il rinvio per i riferimenti bibliografici) e può considerarsi ormai definitivamente superata anche in forza di quanto statuito dalla pronuncia qui annotata.

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