Anatocismo e usura: clausole vecchie e nuova normativa

06 Settembre 2016

La Corte di Cassazione ha enunciato due principi di diritto che consentono di svolgere una panoramica sulla più recente evoluzione normativa e giurisprudenziale dell'anatocismo e dell'usura nei contatti bancari.
Massima

Nelle controversie relative ai rapporti tra la banca ed il cliente correntista, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito regolato in conto corrente e negoziato dalle parti in data anteriore al 22 aprile 2000, una volta che il giudice abbia dichiarato la nullità di detta clausola, egli non può applicare la capitalizzazione annuale degli interessi perché questi, in conseguenza di quella declaratoria, si sottraggono a qualunque tipo di calcolo capitalizzato.

In tema di interessi usurari le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell'usura (introdotte con l'art. 4 L. 17 febbraio 1992 n. 154, poi trasfuso nell'art. 117 D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385, e con l'art. 4 L. 7 marzo 1996, n. 108), pur non essendo retroattive, in relazione ai contratti conclusi prima della loro entrata in vigore, comportano l'inefficacia ex nunc delle clausole dei contratti stessi sulla base del semplice rilievo – operabile d'ufficio anche dal giudice – che il rapporto giuridico non si sia esaurito prima ancora dell'entrata in vigore di tali norme e che il credito della banca non si sia cristallizzato precedentemente.

Il caso

La Corte d'appello di Catania, nel decidere sul gravame avanzato dalla banca avverso la decisione di primo grado, dichiarava d'ufficio la nullità parziale del contratto di conto corrente con riferimento alla clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, disponendo il calcolo del saldaconto sulla base di un accertamento peritale con capitalizzazione annuale dei medesimi interessi.

Il Giudice di appello respingeva poi l'eccezione di nullità parziale della convenzione relativa agli interessi, in quanto determinabile (nella misura di cinque punti percentuali sopra il tasso ufficiale di sconto e, comunque, non inferiore al 18%) e, quindi, adottata in deroga alla previsione di cui all'art. 7 delle Norme uniformi bancarie (NUB), con riferimento alle condizioni praticate abitualmente sulla piazza.

Ricorreva per cassazione la correntista formulando alcuni motivi.

La questione e le soluzioni giuridiche

Il calcolo degli interessi

Col primo motivo la ricorrente lamenta che la Corte territoriale, dopo aver dichiarato la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi, abbia disposto il calcolo degli stessi su base annuale; ciò in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che ha stabilito, in siffatta ipotesi, l'esclusione di ogni capitalizzazione.

Col secondo motivo la ricorrente lamenta che la Corte abbia ritenuto valida la pattuizione del tasso di interesse nella misura di cinque punti percentuali sopra al tasso ufficiale di sconto e comunque non inferiore al 18%, condannandola al pagamento di quanto dovuto.

Se la vecchia clausola di capitalizzazione trimestrale è dichiarata nulla, gli interessi devono essere calcolati senza operare alcuna capitalizzazione

La Corte di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso ritenendo che la Corte d'appello, pur avendo dichiarato la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale, non ne ha tratto le dovute conseguenze che – secondo il principio enunciato dalle Sezioni Unite (n. 24418/10) – importano anche l'eliminazione, nel calcolo degli interessi, di qualsivoglia capitalizzazione in consonanza con quanto poi disposto anche dall'art. 120, comma 2, lett. b), TUB nel periodo anteriore alle modifiche apportate dall'art. 17-bis D.L. 14 febbraio 2016 n. 18, approvato con modifiche con la L. 8 aprile 2016 n. 49.

Da qui il principio di diritto secondo cui, dichiarata la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito regolato in conto corrente e negoziato dalle parti in data anteriore al 22 aprile 2000, il giudice non può applicare la capitalizzazione annuale degli interessi perché questi, in conseguenza di quella declaratoria, si sottraggono a qualunque tipo di calcolo capitalizzato.

Il richiamo della Cassazione all'art. 120, comma 2, TUB: il “divieto di anatocismo”

Come appena evidenziato, ad avviso della Suprema Corte, una volta dichiarata la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi contenuta in un contratto di conto corrente perfezionato in data antecedente il 22 aprile 2000, il divieto di applicare qualunque tipo di calcolo capitalizzato troverebbe conforto anche nell'art. 120, comma 2, TUB, nella versione precedente quella di cui alla L. 8 aprile 2016, n. 49.

Il riferimento è, all'evidenza, al comma 2 dell'art. 120 TUB così come modificato dall'art. 1, comma 629, L. n. 147/13, la cui peculiare formulazione [«il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale»] ha indotto al tempo gli interpreti, visto anche il tenore del contenuto dei relativi atti parlamentari, a considerare abolito l'anatocismo bancario.

Attesa l'incompatibilità di tale disposizione con la Delibera CICR del 9 febbraio 2000, è immediatamente emersa la problematica relativa alla sua efficacia decorrente: (i) dal 1° gennaio 2014 (data di sua entrata in vigore); oppure (ii) dal momento dell'emanazione della nuova Delibera CICR.

A seguito delle iniziative giudiziarie avviate d'urgenza dalle associazioni dei consumatori al fine di ottenere l'immediata applicazione, da parte degli istituti di credito interessati, del divieto di anatocismo, la giurisprudenza ha assunto posizioni divergenti.

Più in dettaglio, il Tribunale di Milano – chiamato a pronunciarsi in argomento con ordinanze del 3 aprile e del 25 maggio 2015 (entrambe in Corr. giur., 2015, 1079 ss.), del 1° luglio e del 5 agosto 2015 – ha sostenuto l'immediata applicabilità dell'art. 120, comma 2, TUB sul presupposto che nessuna specificazione tecnica di carattere secondario avrebbe potuto limitare la portata o disciplinare diversamente la decorrenza del divieto, dovendosi altrimenti ammettere la deroga di una norma primaria (in tutto o in parte o anche solo temporaneamente) da parte di una disposizione secondaria ad essa sotto ordinata.

Segnatamente, ad avviso di detto Tribunale: «la verifica deve articolarsi su due versanti, dovendosi, da un lato, rilevare il grado di pretesa oscurità della nuova disposizione legislativa e, dall'altro, eventuali direttive impartite o circolari emanate da Banca d'Italia. Quanto al primo profilo, si osserva che la disposizione di legge, pur con un'indiscutibile ambiguità quanto al significato ed alla portata del riferimento alla capitalizzazione degli interessi di cui al punto a), è comunque chiara nell'escludere ogni forma di anatocismo, per quanto sopra detto con riguardo al punto b). Né ragionevolmente emerge una qualche forma di subordinazione logica o temporale del dato normativo ad un successivo intervento regolamentare del CICR. Quanto al secondo profilo, il Collegio osserva come nessuna circolare o raccomandazione sia stata emanata a tale proposito dalla Banca d'Italia, che, come Autorità di Vigilanza, si occupa ex art. 5 TUB, dell'osservanza delle disposizioni normative in materia di trasparenza e correttezza, mediante richiesta di documentazione, ispezioni, monitoraggio dei siti internet, interventi di sensibilizzazione e richiami, irrogazione di sanzioni. Una volta eliminato ogni plausibile intervento di raccomandazione dell'Organo di Vigilanza - alla luce del quale potrebbe essere diversa la valutazione circa la non scorrettezza della condotta della banca - è agevole concludere come, sulla scorta della mera interpretazione letterale del dato normativo de quo, gli istituti di credito ben possano escludere dalle condizioni economiche qualsiasi clausola anatocistica, sia per i contratti in essere, sia per quelli ancora da stipulare».

In senso analogo alle sopra richiamate pronunce del Tribunale di Milano si sono espressi: Trib. Cuneo, 29 giugno 2015; Trib. Biella, 7 luglio 2015; Trib. Roma, 20 ottobre 2015; ABF, Coll. Coord., decisione n. 7854 dell'8 ottobre 2015.

In modo diametralmente opposto, e cioè a favore della tesi della c.d. applicabilità differita (secondo cui, appunto, l'art. 120 TUB avrebbe potuto trovare applicazione soltanto al momento dell'emanazione della nuova Deliberazione CICR), si sono invece pronunciate le seguenti corti di merito: Trib. Cosenza 27 maggio 2015; Trib. Torino, 16 giugno 2015 e 15 agosto 2015; Trib. Parma 26 giugno 2015 e 30 luglio 2015; Trib. Siena 4 agosto 2015; Trib. Bologna 7 dicembre 2015 e 25 marzo 2016; Trib. Pescara 12 aprile 2016.

E ciò in forza delle seguenti principali considerazioni (così sviluppate nella parte motivazionale della citata pronuncia del Tribunale di Bologna):

(a) è lo stesso art. 120 TUB che rimanda ad una delibera CICR le modalità ed i criteri per la produzione di interessi, sia pure con i limiti posti da essa normativa primaria, in stretta aderenza al disposto di cui all'art. 161, comma 5, TUB (non modificato), in forza del quale «Le disposizioni emanate dalle autorità creditizie ai sensi di norme abrogate o sostituite continuano ad essere applicate fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati ai sensi del presente decreto legislativo», con ciò sancendo che in tale materia l'iter legislativo non può essere definito/completato se non all'esito dell'emanazione anche della normativa secondaria;

(b) l'applicazione differita dell'art. 120 TUB è del tutto coerente con il superiore interesse non solo ad una normativa di carattere generale, ma anche ad una applicazione uniforme della stessa secondo regole precise per tutti (istituto bancari ed utenti), il che appare coerente con un mercato aperto ad istituti bancari di altri Stati membri dell'UE e con la circostanza che anche la precedente regolamentazione è stata subordinata alla previa emanazione della delibera CICR del 2000;

(c) ritenere, come sostenuto dal Tribunale di Milano con ordinanza del 9 luglio 2015, che «la mancata delibera CICR comporta unicamente che allo stato gli intermediari sono liberi di adottare qualunque modalità operativa e contabile» significa non solo, del tutto impropriamente, demandare ai singoli istituti bancari la definizione, pur temporanea, della normativa secondaria di competenza del CICR, ma – attesa la pluralità delle soluzioni ipotizzabili in punto, fra gli altri, a perimetro di applicazione del divieto nonché a periodicità del conteggio e al tempo di pagamento degli interessi – generare, in uno con evidenti disparità di trattamento, anche quel così elevato e conseguente contenzioso, che senz'altro il disposto generale di cui all'art. 161 cit. è destinato a prevenire;

(d) l'applicazione differita dell'art. 120 TUB non contrasta neppure con l'obiettivo del legislatore di introdurre il divieto dell'anatocismo nei rapporti bancari, poiché, anche per il legislatore, deve trattarsi di un divieto “regolamentato”, a fronte di una propria scelta e non di una pratica illecita in assoluto, laddove ordinariamente applicata in pressoché tutti gli Stati membri europei.

Il successivo tentativo modificare ancora l'art. 120, comma 2, TUB (con poi espressa indicazione della perdurante efficacia della Delibera CICR del 9 febbraio 2000 sino all'entrata in vigore di quella successiva) mediante l'art. 31 D.L. n. 91 del 24 giugno 2014 (Decreto Competitività) è naufragato non essendo stata introdotta tale previsione nella legge di conversione (L. 11 agosto 2014 n. 116).

L'art. 120 TUB è stato infine novellato dall'art. 17-bis D.L. 14 febbraio 2016, n. 18, inserito in sede di conversione dalla L. 8 aprile 2016, n. 49.

Questa l'attuale formulazione del comma 2 dell'art. 120 TUB: «Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:

a) nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori, comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti;

b) gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1° marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l'addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l'autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l'addebito abbia avuto luogo».

È stato da ultimo emanato dal Ministro dell'Economia in qualità di Presidente del CICR, il d.m. n. 343 del 3 agosto 2016.

Alla luce della problematica sopra illustrata circa l'operatività o meno, ratione temporis, del divieto di anatocismo, non poche perplessità desta allora il (seppur fugace) richiamo della Cassazione all'art. 120, comma 2, TUB nella versione introdotta con la Legge di Stabilità 2014 (L. 27 dicembre 2013, n. 147), operato nella decisione in discorso a conforto dell'impossibilità di applicare qualunque tipo di calcolo capitalizzato a seguito della declaratoria di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale. Ciò anche considerando che, come sopra esposto, nell'attuale versione della disposizione in esame è previsto, fra l'altro, che «nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori, comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti». Di tenore analogo, d'altronde, anche l'art. 3 (rubricato «Regime degli interessi») della delibera CICR del 3 agosto 2016.

Per una ricostruzione della travagliata vicenda dell'anatocismo nell'ordinamento bancario, v. Izzo (a cura di), Anatocismo, usura e contratti bancari, Milano, 2016; Aratari, Innaccone, Il contenzioso tra le banche e i clienti. L'anatocismo, le commissioni, l'usura, la forma, la prova, Milano, 2016. Fra i più recenti contributi sul tema, cfr. Farina, La (ennesima) resurrezione dell'anatocismo bancario, in Contr., 2016, 7, 705; Rizzo, L'anatocismo bancario nella giurisprudenza dell'ABF e nella proposta di delibera CICR, in Contr., 2016, 6, 569; Tavormina, Anatocismo: il nuovissimo art. 120, comma 2 TUB ed i frutti civili rappresentati dagli interessi dei capitali (art. 820, comma 3 c.c.); ID., Anatocismo: dalla prospettiva comparatistica alla giurisprudenza di merito. Come si concilia il divieto ex art. 120 TUB con la disciplina europea?, entrambi consultabili in expartecreditoris.it; Elia, Una rassegna della giurisprudenza più recente, in Il Nuovo Dir. delle Soc., 2016, 4, 13; Tola, Ancora su clausola di anatocismo e conto corrente bancario: tra incertezze normative e prassi distorte, in Riv. giur. sarda, 2016, 1, I, 131; Id., Anatocismo e conto corrente bancario nel diverso approccio alla giustizia, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, 3, II, 327; Morera-Olivieri, Il divieto di capitalizzazione degli interessi bancari nel nuovo art. 120, comma 2, T.U.B., in Banca, borsa, tit. cred., 2015, 3, 286.

Rilevabile d'ufficio la clausola che prevede un tasso di interesse usurario

Tornando alla decisione in commento, la Suprema Corte reputa anzitutto infondata l'eccezione della banca resistente secondo cui l'usurarietà del tasso di interesse non avrebbe potuto essere rilevata d'ufficio. Viene richiamato, al riguardo, il precedente orientamento di legittimità (Cass. n. 24483/13; Cass. n. 21080/2005) secondo cui «la nullità delle clausole del contratto di conto corrente bancario che rinviano alle condizioni usualmente praticate per la determinazione del tasso d'interesse o che prevedono un tasso d'interesse usurario è rilevabile anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 1421 c.c., qualora vi sia contestazione, anche per ragioni diverse, sul titolo posto a fondamento della richiesta di interessi, senza che ciò si traduca in una violazione del principi della domanda e del contraddittorio, i quali escludono che, in presenza di un'azione diretta a far valere l'invalidità di un contratto, il giudice possa rilevare d'ufficio la nullità per cause diverse da quelle dedotte dall'attore”.

Sull'inefficacia “ex nunc” della clausola che determina il tasso di interesse

Chiarito questo aspetto processuale, viene poi ricordato nella decisione in esame, sulla scorta di precedenti principi di diritto (Cass. n. 6550/13; Cass. n. 2140/2006), che le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali i quali determinano gli interessi con rinvio agli usi o che fissano la misura in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell'usura, non sono retroattive e pertanto, in relazione ai contratti conclusi prima della loro entrata in vigore, non influiscono sulla validità delle clausole dei contratti stessi, ma possono soltanto implicarne l'inefficacia ex nunc; non operando, perciò, quando il rapporto giuridico si sia esaurito prima dell'entrata in vigore di tali norme ed il credito della banca si sia anch'esso cristallizzato precedentemente.

Difatti, in relazione ad un rapporto contrattuale di durata, l'intervento nel corso di esso di una nuova disposizione di legge diretta a porre una nuova norma imperativa condizionante l'autonomia contrattuale delle parti nel regolamento del contratto, in assenza di una norma transitoria che preveda l'ultrattività della previgente disciplina non contenente la nuova norma imperativa, comporta che la contrarietà a quest'ultima del regolamento contrattuale non consente più alla clausola di operare, nel senso di giustificare effetti del regolamento contrattuale che non si siano già prodotti, in quanto ai sensi dell'art. 1339 c.c. il contratto, per quanto concerne la sua efficacia normativa successiva all'entrata in vigore della nuova norma, deve ritenersi assoggettato all'efficacia della clausola imperativa da detta norma imposta la quale sostituisce o integra per l'avvenire (cioè per la residua durata del contratto) la clausola difforme, relativamente agli effetti che il contratto dovrà produrre e non ha ancora prodotto (Cass. n. 1689/2006).

Durata del rapporto di conto corrente ed applicabilità della nuova disciplina sull'usura

In accoglimento del secondo motivo di ricorso, rileva la Corte di Cassazione che il rapporto di conto corrente in esame ha avuto una estensione temporale ben oltre l'entrata in vigore della nuova disciplina legislativa sulle clausole che comportano una regolazione degli interessi ad effetti usurari; da qui la rilevabilità d'ufficio dell'inefficacia di quei patti contrattuali per il segmento di rapporto successivo al detto paletto temporale.

Arco temporale rilevante per l'accertamento del superamento del tasso soglia

Sulla questione in esame giova ricordare l'interpretazione autentica della L. 7 marzo 1996 n. 108 contenuta nel D.L. 29 dicembre 2000 n. 394, convertito dalla L. 28 febbraio 2001, n. 24 ove chiarito, all'art. 1, comma 1, che «ai fini dell'applicazione dell'art. 644 del codice penale e dell'art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento».

La giurisprudenza di legittimità continua a fornire soluzioni piuttosto variegate: (A) i criteri fissati dalla L. n. 108/96 non si applicano ai contratti contenenti tassi usurari stipulati prima della sua entrata in vigore, se relativi a rapporti esauriti a tal momento (Cass. 4 aprile 2003, n. 5324; Cass. 19 gennaio 2016, n. 801); (B) le disposizioni previste dalla L. n. 108/96 non si applicano retroattivamente ma comportano l'inefficacia ex nunc, rilevabile solo su eccezione di parte, delle clausole dei contratti conclusi prima dell'entrata in vigore di tale legge (Cass. 25 febbraio 2005, n. 4092); (C) in presenza di rapporti contrattuali non esauriti al momento dell'entrata in vigore della L. n. 108/96 i tassi maturati successivamente a tale data, se superiori ai tassi soglia vigenti pro tempore, devono essere sostituiti automaticamente con i tassi soglia applicabili in relazione ai diversi periodi, anche ai sensi dell'art. 1419, comma 2 e 1319 c.c. (Cass. 11 gennaio 2013, n. 603).

In argomento, cfr., autorevolmente, Tavormina, Banche e tassi usurari: il diritto rovesciato, in Contr., 2014, 1, 89, il quale segnala, quale effetto dell'impostazione adottata anche nella Cassazione annotata: «il mercato del credito ha finito per trasformarsi in un mercato (almeno parzialmente) amministrato, perché numerose banche, se non tutte, hanno già da anni precauzionalmente adottato in via contrattuale la clausola di salvaguardia (coincidente nei suoi effetti con la nuova giurisprudenza della Cassazione e dell'ABF) secondo cui, quanto meno per le operazioni che la Banca d'Italia ha indebitamente eccettuato da un controllo puntuale sulla pattuizione dei tassi, assoggettandole invece ad un controllo continuativo rispetto al livello medio dei tassi di indebitamento del sistema, il tasso via via vigente deve intendersi automaticamente ricondotto entro i limiti del tasso-soglia».

Osservazioni: l'usura sopravvenuta esiste?

Recente giurisprudenza di merito sostiene che non sia configurabile l'usura sopravvenuta.

In questo senso, cfr. Trib. Bologna, 17 febbraio 2016 n. 430, ove, con ampia argomentazione e richiami giurisprudenziali, osservato che: «da un punto di vista teorico si riscontrano in argomento diversi orientamenti in dottrina e in giurisprudenza; secondo una prima tesi, la valutazione di usurarietà deve essere rapportata non già al momento di perfezionamento del contratto, bensì a quello del pagamento degli interessi, oppure a quello della loro maturazione. A favore di tale ricostruzione soccorre la rilevanza penale della percezione di interessi superiori al tasso soglia; inoltre, autorevole dottrina ha osservato che l'applicazione di interessi oltre i limiti consentiti dalla legge da un lato non sarebbe meritevole di tutela ex art. 1322 c.c., dall'altro contrasterebbe con il criterio di buona fede oggettiva. Secondo altra tesi, invece, il momento rilevante per verifica dell'usurarietà degli interessi, andrebbe individuato unicamente in quello della conclusione del contratto. A sostegno di tale interpretazione va richiamato innanzitutto l'art. 1 della legge n. 24/2001, di interpretazione autentica della l. n. 108/1996, che ha espressamente indicato quel momento rilevante ai fini della valutazione di usurarietà quello in cui gli interessi “sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”. In particolare, dalla Relazione governativa al D.L. n. 394/2000, convertito nella L. n. 24/2001, emerge la volontà del legislatore di rendere la l. n. 108/1996 inapplicabile ai contratti conclusi prima della sua entrata in vigore, nonché quella di escludere l'ammissibilità dell'usura sopravvenuta per i contratti stipulati successivamente alla sua entrata in vigore. Ancora a sostegno di questa tesi, va rilevato che l'art. 1815 c.c. ricollega la nullità della pattuizione al momento in cui sono convenuti interessi usurari; ulteriore elemento a favore di tale interpretazione può essere tratto dalle Istruzioni della Banca d'Italia per la rilevazione del TEGM, le quali prevedono, per i mutui e gli altri contratti di credito, che “sono assoggettati alla rilevazione esclusivamente i nuovi rapporti di finanziamento accesi nel periodo di riferimento”. Anche l'Arbitro Bancario e Finanziario, Collegio di Milano, ha ritenuto “irrilevanti, al fine di verificare se gli interessi applicati siano usurari, le eventuali variazioni che intervengano nella determinazione periodica dei tassi soglia (…). Ne consegue che gli interessi, che al momento della stipula del contratto che li contempla non sono usurari, non possono in alcuno modo divenirlo in un momento successivo. Ciò si evince chiaramente anche dal disposto dell'art. 1815, 2° comma, c.c., che commina la nullità, originaria, della clausola con cui sono convenuti interessi usurari. L'indagine deve quindi essere condotta verificando la legittimità degli interessi che erano stati stipulati nel contratto” (cfr. ABF, Collegio di Milano, decisione n. 2183 del 28 ottobre 2011). Va segnalata, poi, una decisione dell'Arbitro Bancario e Finanziario, Collegio di Roma, secondo cui “il superamento del tasso soglia sopravvenuto all'entrata in vigore della legge n. 108 del 1996 non determina la configurazione del reato di usura, né comporta la nullità della relativa clausola contrattuale ai sensi dell'art. 1815, comma 2 c.c. Tuttavia, il Collegio ritiene che l'applicazione dei tassi superiori alla soglia di usura, benché non sanzionabile, sia tuttavia in contrasto con l'art. 2 della citata L. n. 108/1996, norma imperativa sopravvenuta ispirata ad un generale principio di non abuso del diritto, che impone l'adeguamento degli interessi a suo tempo stipulati in modo che non risultino in contrasto con la norma stessa (cfr. in tal senso Trib. Milano 15.10.2010). L'applicazione di interessi superiori alla soglia di usura, dopo l'entrata in vigore della L. n. 108/2006, evidenzia altresì un comportamento contrario a buona fede, sicché anche sotto questo profilo si impone una rideterminazione degli stessi entro i limiti della soglia di usura” (cfr. ABF, Collegio di Roma, decisione n. 620 del 29 febbraio 2012). Da ultimo occorre segnalare una decisione della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in relazione ad un rapporto di conto corrente sorto prima della legge 7 marzo 1996, n. 108, che, dopo avere escluso la possibilità di applicare in modo retroattivo la legge 7 marzo 1996, n. 108, nonché la possibilità di procedere con l'automatica sostituzione del tasso originariamente determinato tra le parti con il tasso legale, ha concluso che affermando che il tasso dovrebbe essere ridotto al limite del tasso soglia rilevato di tempo in tempo, in virtù del meccanismo di integrazione legale del contratto previsto dall'art. 1339 c.c. (Cass. n. 892/2013). Così brevemente riassunti i termini della questione, deve ritenersi che il secondo indirizzo interpretativo sia da preferirsi, in quanto fondato sull'inequivocabile tenore letterale dell'art. 1815 c.c. ed inoltre avallato dalla sentenza della S.C. appena richiamata, e che pertanto non sia ravvisabile neppure in astratto l'ipotesi di usura sopravvenuta».

Fonte: dirittoegiustizia.it

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