Il nuovo falso in bilancio

07 Luglio 2016

La mancata esposizione nel bilancio di poste attive e passive effettivamente esistenti nel patrimonio della società rappresenta un fatto certamente riconducibile allo schema della nuova incriminazione del reato di false comunicazioni sociali delle società quotate, anche qualora si propenda per un'interpretazione restrittiva della nozione di “fatti materiali”.
Massima

La mancata esposizione nel bilancio di poste attive e passive effettivamente esistenti nel patrimonio della società rappresenta un fatto certamente riconducibile allo schema della nuova incriminazione del reato di false comunicazioni sociali delle società quotate, anche qualora si propenda per un'interpretazione restrittiva della nozione di “fatti materiali”.

Invero, la nuova formulazione dell'art. 2622 c.c., introdotta dall'art. 11, L. n. 69/2015, si pone, quanto alla condotta di mancata esposizione in bilancio di poste attive effettivamente esistenti nel patrimonio sociale, in rapporto di continuità normativa con la fattispecie previgente, determinando una successione di leggi penali, ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p.

Il caso

La Corte d'Appello di Milano, riformando la pronuncia emessa dal Tribunale di Busto Arsizio, dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti dell'imputata, nella sua qualità di liquidatrice di una società, in ordine al reato di false comunicazioni sociali, previsto e punito dall'art. 2622 c.c., per la condotta commessa nell'anno 2005, riducendo, pertanto, la pena complessiva comminata per la condotta relativa all'esercizio 2006.

L'imputata, a mezzo del proprio difensore, proponeva ricorso per Cassazione argomentando cinque motivi di ricorso. Con il primo motivo, la ricorrente deduceva l'intervenuta prescrizione del reato anche per la condotta consumatasi con la presentazione del bilancio relativo all'anno 2006. In secondo luogo, la stessa si doleva che la Corte territoriale, in ordine ai gravami proposti con l'atto di appello, avesse richiamato unicamente le argomentazioni del giudice di prima istanza, omettendo qualsivoglia valutazione autonoma sulle condotte per cui era a processo. Con il terzo motivo, veniva contestata l'omessa valutazione, da parte dei giudici di secondo grado, della mancanza della condizione di procedibilità per tardività della querela, presentata dalla persona offesa quando era già spirato il termine di novanta giorni dalla conoscenza del fatto. Infine, con gli ultimi due motivi, la ricorrente lamentava il vizio motivazionale del provvedimento, adducendo che la sentenza censurata non avesse adeguatamente tenuto in considerazione le doglianze espresse con l'atto di appello, con riferimento alla sussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato in esame.

La Suprema Corte di Cassazione accoglieva il primo motivo di ricorso, rilevando l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione anche per le condotte relative all'anno di esercizio 2006, rigettando, invece, il ricorso rispetto agli effetti civili nonché in ordine all'intempestività della querela.

La questione

Nell'accogliere il primo motivo di ricorso, la Suprema Corte pone quale questione preliminare la verifica della possibile sussunzione della fattispecie contestata, nella nuova previsione normativa codificata con la L. n. 69/2015, entrata in vigore successivamente alla proposizione del ricorso, che ha modificato sostanzialmente il reato di false comunicazioni sociali, previsto dagli artt. 2621 e 2622 c.c.

Il Supremo Consesso ripercorre, dunque, i tratti salienti della nuova normativa dei reati societari, offrendo ai lettori un dettagliato e prezioso quadro riepilogativo della riforma.

Le soluzioni giuridiche

I Giudici di legittimità evidenziano anzitutto come la L. n. 69/2015 abbia introdotto un nuovo assetto dei reati di false comunicazioni sociali, prevedendo – agli artt. 2621 e 2622 c.c. - due fattispecie incriminatrici autonome, entrambe configurate come delitti e differenziate sulla base della tipologia societaria cui fanno riferimento (società non quotate ovvero società quotate), eliminando, invece, dall'impianto normativo, l'ipotesi contravvenzionale di cui al previgente art. 2621 c.c.

La differenziazione ora in vigore avrebbe, dunque, risvolti unicamente sulla diversa cornice edittale, essendo sparita, altresì, la procedibilità a querela per i reati commessi nell'ambito delle società non quotate.

Un importante profilo d'innovazione, evidenzia il Collegio, è rappresentato dalla caratterizzazione delle fattispecie normative come reati di pericolo concreto, la cui punibilità non risulta più assoggettata alla causazione di un danno ai soci o ai creditori; superando, dunque, lo schema ideato dal legislatore previgente, che prevedeva una fattispecie contravvenzionale di pericolo ed un delitto di danno.

Si ricorda, inoltre, come siano state rimosse le soglie quantitative di rilevanza penale previste nella previgente formulazione.

Tra gli elementi che sono rimasti, invece, immutati a seguito della nuova formulazione della norma, viene annoverato lo schema di reato proprio, contemplando il reato tra i soggetti attivi, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori”.

Passando poi all'oggetto materiale del delitto, i giudici della Suprema Corte danno atto della permanenza della tipizzazione delle comunicazioni sociali rilevanti, già individuate dalla precedente riforma del 2002, segnatamente nei bilanci, nelle relazioni e nelle altre comunicazioni dirette ai soci e al pubblico previste dalla legge. Il Supremo Collegio conferma, pertanto, anche per la nuova formulazione, l'irrilevanza penale delle condotte concernenti comunicazioni “atipiche”, interorganiche e dirette ad un unico destinatario, pubblico o privato che sia.

Riguardo alla condotta tipizzata dalla novella, essa viene descritta, da un lato, come l'esposizione nei bilanci, nelle relazione o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico … di fatti materiali non rispondenti al vero” (falsità commissiva) - fatti che devono essere “rilevanti”, nella previsione dedicata alle società non quotate – e, dall'altro, come l'omissione di “fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore” (falsità omissiva).

La Suprema Corte si sofferma, a questo punto, sull'aspetto che – come vedremo - ha, sin da subito, sollevato diversi dubbi interpretativi, in particolare dando atto dell'eliminazione della discussa formula utilizzata dal legislatore del 2002 “ancorché oggetto di valutazioni”.

Viene, inoltre, riproposto – sulla scia della volontà normativa di declinare i nuovi delitti come reati di pericolo concreto - l'elemento dell'idoneità ingannatoria della falsa comunicazione, ossia dell'attitudine ad indurre in errore i destinatari della stessa. Caratteristica rafforzata, peraltro, dall'ulteriore aggiunta dell'avverbio “concretamente”, che svolge una sicura funzione selettiva rispetto alle false o omesse informazioni.

Per quanto riguarda le modifiche apportate alla sfera dell'elemento psicologico del reato, la Corte di Cassazione osserva come il legislatore abbia stabilito la necessarietà del dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, eliminando, al contempo, il requisito dell'intenzionalità, attraverso la soppressione dell'inciso con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico”.

Di contro, nel nuovo testo normativo, compare l'avverbio “consapevolmente”, denotazione attraverso la quale sembra sia richiesta una consapevolezza piena e certa del fatto tipico, indice che suggerisce – ad avviso dei Giudici del Supremo Consesso – la volontà del legislatore di escludere la rilevanza delle condotte sorrette unicamente dal dolo eventuale.

Terminata questa breve ma esaustiva analisi della novella in esame, il Collegio conclude rilevando come le modifiche apportate dalla L. n. 69/2015 siano state orientate in un'ottica di estensione della punibilità delle singole fattispecie, avendo comportato, tra l'altro, l'eliminazione delle soglie previste dall'art. 2622 c.c., in totale controtendenza a quello che era stato il precedente fenomeno successorio, che aveva invece ristretto le maglie punitive delle disposizioni primigenie del codice civile.

La Corte di Cassazione, da ultimo, torna sul tema, già oggetto di vivace dibattito, dell'espunzione dal testo della norma delle “valutazioni” nonché della sostituzione, con riguardo all'ipotesi di falso omissivo, del termine “informazioni” con quello di “fatti materiali”, rilevando come il contrasto formatosi in seno alla sezione quinta penale, competente ratione materiae, sia già stato risolto dall'intervento delle Sezioni Unite, presiedute da Giovanni Canzio, con sentenza n. 22474 del 31 marzo 2016 (in seguito depositata il 27 maggio 2016), nel senso di non escludere la rilevanza del c.d. “falso qualitativo”.

A conclusione del percorso esegetico compiuto, la Corte prende, infine, in esame la condotta contestata all'imputata, rilevando che quest'ultima è stata ritenuta responsabile del reato di cui all'art. 2622 c.c., nella sua vecchia formulazione, per aver omesso di riportare nei bilanci una serie di dati relativi a crediti e debiti della società nei bilanci 2005 e 2006.

A giudizio del Supremo Consesso, tale condotta, risolvendosi in una mancata esposizione in bilancio di poste attive effettivamente esistenti nel patrimonio sociale, sarebbe certamente riconducibile allo schema della nuova incriminazione, anche qualora si volesse propendere per una interpretazione restrittiva della nozione “fatti materiali”, atteso che le due fattispecie incriminatrici si pongono in rapporto di continuità normativa, ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p.

Osservazioni

La nuova disciplina dei reati societari, ridisegnata ad opera della L. n. 69/2015, con una netta inversione di tendenza rispetto alla riforma del 2002, ha perseguito il dichiarato fine di tendere al ripristino della “trasparenza societaria”, obiettivo realizzato, come visto, attraverso la previsione di due fattispecie delittuose di pericolo e l'inasprimento della pena, con conseguenze di diritto procedurale significativamente rilevanti: sono ora applicabili, invero, le misure cautelari – coercitive ed interdittive – e sono adottabili mezzi di ricerca della prova particolarmente penetranti, quali le intercettazioni telefoniche e ambientali.

L'interesse meritevole di tutela, nell'attuale struttura dei reati, è rappresentato infatti dalla correttezza, intesa come veridicità e compiutezza, e dalla trasparenza dell'informazione societaria, strumentale alla protezione – a sua volta – non solo del patrimonio del ceto creditorio e dei soci, ma anche della concorrenza leale tra le imprese e della corretta gestione del patrimonio.

Un profilo di sicuro interesse delle nuove disposizioni penali in materia societaria, sul quale merita soffermarsi, è rappresentato dall'introduzione dell'art. 2621-ter c.c. che pare assolvere la funzione di dettare dei criteri applicativi della causa di non punibilità contenuta nell'art. 131-bis c.p. (per particolare tenuità del fatto) alle condotte punite dagli artt. 2621 e 2621-bis c.c. (ne rimane esclusa la fattispecie di cui all'art. 2622 c.c. per il superamento del limite edittale).

Se il dato letterale non pone alcun problema interpretativo - essendo inequivoco che quanto stabilito impone al giudice di valutare, nell'apprezzamento dei criteri indicati dall'art. 131-bis c.p., in modo prevalente” l'entità del danno eventualmente cagionato alla società - sul risvolto applicativo sorgono alcuni dubbi.

La scelta del danno quale parametro dominante non sembra, infatti, in armonia con la previsione dei reati di false comunicazioni sociali come fattispecie di pericolo, nell'ambito delle quali, all'evidenza, il danno non solo potrebbe non essersi verificato, ma potrebbe anche non essere stato oggetto di valutazione alcuna, né da parte della pubblica accusa nel corso delle indagini preliminari, né dalle parti nella fase di istruttoria dibattimentale. Sarà, dunque, presumibilmente, onore dell'imputato dare dimostrazione dell'esiguità del danno.

Quanto alla distinzione tra la categoria dei “fatti di lieve entità” e quella di “particolare tenuità”, mette conto segnalare che autorevoli autori – data la difficoltà di giungere ad una differenziazione delle due fattispecie – hanno preferito propendere per una sovrapponibilità delle stesse.

Guida all'approfondimento

Merita a questo punto tornare brevemente su quanto recentemente deciso dalle Sezioni Unite penali, che hanno dato risposta affermativa al quesito se, in tema di false comunicazioni sociali, abbia ancora rilievo il falso valutativo”, a seguito della modifica introdotta dall'art. 9 L. n. 69/2015, che ha eliminato l'inciso “ancorché oggetto di valutazioni”.

Il tema attiene al se la nozione di fatto, cui fanno riferimento gli artt. 2621 e 2622 c.c., ricomprenda nell'area punitiva della norma incriminatrice soltanto i dati oggettivi della realtà sensibile, oppure possono essere false anche le valutazioni di bilancio, ossia le stime di valore contabile in esso contenute.

Senza la pretesa di soffermarsi eccessivamente sul citato provvedimento, certamente oggetto di una più compiuta analisi da parte degli Autori che commenteranno tale pronuncia, appare rilevante evidenziare come i giudici del Supremo Consesso abbiano sposato, seppur parzialmente, la tesi, già sostenuta nella sentenza Giovagnoli (Cass. Pen. n. 890/2015), secondo cui il sintagma oggetto di valutazione sarebbe da intendersi quale mera specificazione - chiarificazione, la cui soppressione lascerebbe intatta la portata della norma incriminatrice. Di conseguenza, il falso valutativo manterrebbe il suo rilievo penale.

Si deve evidenziare, da ultimo, come la soluzione fornita dal Collegio, nel caso di specie, abbia avuto risvolti sulla configurazione del delitto di bancarotta impropria di cui all'art. 223, comma 2, n. 1, l. fall., atteso che la vicenda riguardava il fallimento dell'Aquila Calcio S.p.a. ed agli imputati venivano contestate diverse ipotesi di bancarotta. Tale fatto, di indubbio rilievo, lungi dall'essere confinato alla vicenda di specie, avrà una portata sicuramente dirompente nei numerosi processi di bancarotta da reati societari.

A conclusione di questo breve commento può affermarsi che, se è vero che la tecnica normativa impiegata dal legislatore nella redazione della L. n. 69/2015 ha suscitato sin da subito numerose critiche e perplessità, l'interpretazione “di sistema” che hanno offerto le Sezioni Unite, restituirà concreta e piena effettività alla disciplina in esame.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario