Insider trading: i soggetti attivi del reato alla luce delle nuove fonti euro-unitarie
07 Settembre 2016
Premessa
Nell'individuare i soggetti attivi del reato di insider trading l'art. 184 D.Lgs. n. 58/1998 si riferisce ai cd. insider primari, cioè a coloro che sono entrati in possesso dell'informazione privilegiata per la funzione svolta all'interno dell'ente emittente lo strumento finanziario o per lo svolgimento di una funzione, di un ufficio o di una professione. L'insider secondario, cioè colui che ha appreso la notizia da altri, invece, risponde solo dell'illecito amministrativo previsto dall'art. 187-bis D.Lgs. n. 58/1998. La disciplina comunitaria in materia di abuso di mercato è stata riformata dal Regolamento UE n. 596/2014 e dalla Direttiva 2014/57/UE. Quest'ultima, in particolare, dettando regole tese ad armonizzare la legislazione penale, ha inciso anche sul profilo dei soggetti attivi dell'illecito, estendendo la responsabilità penale anche ai cd. insider secondari. A seguito dell'adeguamento della disciplina penale interna agli standard richiesti dalle fonti euro-unitarie, pertanto, è destinato a venir meno uno dei profili distintivi tra l'illecito penale e quello amministrativo. Secondo la previsione dell'art. 184, comma 1, D.Lgs. n. 58/1998, sono soggetti attivi del reato di abuso di informazioni privilegiate coloro che posseggono tali informazioni per la qualità di membro di organi di amministrazione, di direzione o di controllo dell'emittente di strumenti finanziari o della partecipazione al capitale di detto emittente. Ad essi si aggiungono coloro che conoscono dette informazioni per l'esercizio di un'attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio. Si allude ai componenti ed ai dipendenti della Consob o di altre autorità di vigilanza, ai revisori, agli avvocati ed ai professionisti in genere di cui si serve la società emittente. Il legislatore, quindi, ha inteso punire penalmente solo i cd. insider primari, che sono individuati in base all'esistenza di un nesso tra le cariche o le funzioni svolte e il possesso dell'informazione. La dottrina, in base alla norma citata, tradizionalmente distingue due gruppi: gli insider istituzionali, cioè coloro che sono entrati in possesso dell'informazione privilegiata grazie alla funzione svolta all'interno dell'ente emittente (assunzione di cariche, partecipazione al capitale) e quelli temporanei, che acquisiscono la notizia per lo svolgimento di una funzione, di un ufficio, anche pubblico, o di una professione.
Il possesso delle informazioni, invero,costituisce il mero presupposto del reato. Le categorie di persone indicate, infatti, sono incriminate non già per detto possesso, ma per la conclusione di un contratto sullo strumento finanziario ovvero per la comunicazione ad altri di tali informazioni «al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio». L'individuazione dei responsabili dell'illecito in esame è agevolata dalla previsione di cui all'art. 115-bis T.U.F. In base a questa disposizione, gli emittenti quotati e i soggetti da questi controllati (o le persone che agiscono in loro nome o per loro conto) devono istituire, e mantenere regolarmente aggiornato, un registro delle persone che, in ragione dell'attività lavorativa o professionale ovvero per le funzioni svolte, hanno accesso alle informazioni privilegiate. Va rilevato che la disposizione citata individua tra i soggetti attivi dell'illecito anche i soci che partecipano al capitale dell'emittente. La giurisprudenza, tuttavia, ritiene che rientrano tra le persone cui può essere ascritto il reato in esame anche coloro che, per la qualità di membro di organi di amministrazione, di direzione o di controllo di una società, abbiamo appreso notizie riservate riguardanti un emittente diverso da quello per il quale operano (Cass. Pen., Sez. V, n. 8588/2010). Il socio partecipe del capitale di altre società, diverse da quella emittente i titoli oggetto delle informazioni privilegiate, invece, è soggetto diverso dall'insider primario e può rispondere solo dell'illecito amministrativo ai sensi dell'art. 187-bis T.U.F. (Cass. Pen., Sez. V, n. 9391/2006).
Alle categorie soggettive illustrate, poi, l'art. 184, comma 2, T.U.F. equipara coloro che sono in possesso di informazioni privilegiate «a motivo della preparazione o esecuzione di attività delittuose», definiti nel mondo anglosassone “criminal insider”. Secondo la dottrina, il riferimento a tali soggetti va inteso in senso ampio: la preparazione o l'esecuzione di qualsiasi tipologia delittuosa costituisce un'informazione privilegiata in grado di provocare sensibili effetti sul mercato a seguito del compimento della condotta. Ne deriva che non viene in rilievo la divulgazione di un'informazione, ma la mera realizzazione del fatto criminoso. I cd. insider secondari
Coloro che hanno acquisito l'informazione da altri sono definiti “insider secondari”. La distinzione tra insider primari o secondari, per lungo tempo, non assumeva particolare rilievo normativo, servendo, semmai, a descrivere il fenomeno. In seguito ha acquisito un notevole significato. Il legislatore, infatti, adeguando il diritto interno alle indicazioni della direttiva 2003/6/CE del Parlamento e del Consiglio (cd. Market Abuse, in gergo MAD) e dalla direttiva 2003/124/CE della Commissione ha stabilito che l'insider secondario risponde solo dell'illecito amministrativo di cui all'art. 187-bis D. Lgs. n. 58/1998. La maggiore area operativa, quanto ai possibili soggetti attivi, invero, è uno dei profili che distingue l'illecito amministrativo da quello penale.
L'opzione del legislatore, sul piano pratico, ha determinato la necessità di porre particolare attenzione all'applicazione della clausola generale sul concorso nel reato proprio di cui all'art. 110 c.p., che potrebbe vanificare la scelta legislativa. Al riguardo, la giurisprudenza precisa che la condotta dell'insider secondario non va confusa con quella dell'outsider o extraneus che concorre nel reato ai sensi dell'art. 110 c.p. Il primo sfrutta od usa l'informazione privilegiata ricevuta per porre in essere comportamenti di “trading”, “tipping” (cioè, comunicazione informazioni privilegiate) o “tuyautage” (cioè, raccomandazione o induzione di altri, sulla base delle informazioni privilegiate) a proprio esclusivo vantaggio o, comunque, in totale autonomia rispetto ai comportamenti abusivi dell'insider primario; il secondo, invece, consapevolmente istiga, determina o aiuta il predetto insider primario a porre in essere una delle condotte di abuso di informazioni privilegiate previste dall'art. 184 T.U.F. (Trib. Milano, Sez. III, 23 gennaio 2007). Questa distinzione, peraltro, come si intuisce, non è affatto agevole nei casi concreti. Su questo specifico profilo sono destinati ad incidere in modo significativo il Regolamento 596/2014/UE (MAR) e la direttiva 2014/57/UE (MAD II). Il primo riformula in modo organico la disciplina comunitaria in materia di abuso di mercato, delineando il quadro normativo generale. La Direttiva 2014/57/UE, che ha la sua base giuridica nell'art. 83, par. 2, T.F.U.E., invece, persegue l'obiettivo di fissare uno standard di armonizzazione penale minimo. Alcune disposizioni del regolamento, indicate nell'art. 39, comma 2, sono immediatamente applicabili; le altre sono entrate in vigore dal 3 luglio 2016; a questa data è fissato il termine per l'adeguamento degli ordinamenti nazionali alle regole contenute nella direttiva.
L'art. 3 della direttiva 2014/57/UE, in particolare, nel fissare la struttura della fattispecie di “abuso di informazioni privilegiate, raccomandazione o induzione di altri alla commissione di abuso di informazioni privilegiate”, distingue detto illecito dalla figura della “comunicazione illecita di informazioni privilegiate” di cui all'art. 4 della medesima direttiva. La direttiva intende rendere autonomo il cd. “tipping” dalle fattispecie chiamate in gergo “trading” e “tuyautage”, mentre nell'ordinamento interno è prevista una disciplina unitaria. Sempre l'art. 3 della direttiva estende i divieti ai soggetti che abbiano “ottenuto” l'informazione privilegiata “anche in ragione di circostanze diverse da quelle indicate al primo comma” della medesima norma, sempre che costoro siano “a conoscenza del carattere privilegiato” dell'informazione stessa. Questa formula - in particolare il riferimento “alle circostanze diverse fonte di conoscenza” - ben consente di ricomprendere tra le persona punibili penalmente anche la figura dell'insider secondario. L'adeguamento alla direttiva, quindi, dovrebbe comportare la reintroduzione della figura dell'insider secondario nell'ambito della rilevanza penale. Si tratta di un ritorno al passato e, segnatamente, alla disciplina di cui all'art. 2, comma 4, L. n. 157/1991. Ne deriva che viene meno il diverso disvalore dell'accesso all'informazione a causa della qualità, della carica o della funzione svolta oppure in via del tutto occasionale. L'insider secondario, a sua volta, risponde penalmente anche dell'ulteriore comunicazione della notizia privilegiata o del suo impiego nel mercato finanziario.
L'art. 6 della direttiva, inoltre, dispone che debbano essere incriminate anche le condotte di induzione, favoreggiamento e concorso. Ciò comporta che è destinato a venire meno uno dei pochi profili, accanto al diverso trattamento riservato all'insider secondario, che distinguono il reato di cui all'art. 184 T.U.F., per il quale era esclusa la punibilità del tentativo, dall'illecito amministrativo omonimo disciplinato dall'art. 187-bis T.U.F. L'insider trading, inoltre, per effetto degli artt. 3 e 6 della direttiva, è destinato a perdere la sua struttura di reato proprio, venendo a delinearsi come un illecito penale che può essere ascritto anche a soggetti che non rientrano nelle categorie di cui all'art. 184 T.U.F. Chiunque possiede un'informazione privilegiata, in qualsiasi modo abbia conseguito questa informazione, può rispondere dell'illecito penale ed è tenuto ad astenersi dal compiere atti di negoziazione su strumenti finanziari, di comunicazione a terzi della notizia o di raccomandazione o di induzione di altri al compimento delle operazioni. E' stato precisato come il possesso delle informazioni costituisca il mero presupposto del reato. Le categorie di persone indicate, infatti, sono incriminate non già per detto possesso, ma per la conclusione di un contratto sullo strumento finanziario ovvero per la comunicazione ad altri di tali informazioni «al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio». Al riguardo, è stato sostenuto che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 184 T.U.F. presupporrebbe, come requisito tipico, la diversità soggettiva tra il creatore della notizia privilegiata, in genere il membro di organi di amministrazione, di direzione o di controllo dell'emittente, ed il suo utilizzatore, cioè l'insider. Quest'ultimo entra nel novero dei soggetti attivi del reato nel momento in cui riceve ab externo un'informazione privilegiata perché price sensitive. Accolta tale notizia, sorge l'obbligo di astensione dal contrarre. Seguendo questa prospettiva interpretativa, l'incriminazione del “criminal insider” costituirebbe un'eccezionale assoggettamento a sanzione penale del produttore di un'informazione privilegiata, che derogherebbe al regime ordinario fondato sulla distinzione illustrata. Un argomento a sostegno di tale lettura del dato normativo si desume dal considerando 30 della direttiva 2003/6/CEE, secondo cui «poiché l'acquisizione o la cessione di strumenti finanziari implica necessariamente una decisione preliminare di acquisire o di cedere da parte della persona che procede ad una di queste operazioni, non si dovrebbe considerare che il fatto di effettuare questo acquisto o cessione costituisca di per sé un'utilizzazione di un'informazione privilegiata».
L'orientamento giurisprudenziale prevalente si è determinato in senso diametralmente opposto, ritenendo punibile l'insider di sé stesso. Secondo questa tesi, l'obiettivo che il legislatore si è prefissato con l'incriminazione dell'insider trading consiste nell'impedire qualsiasi sfruttamento di informazioni privilegiate, anche da parte del produttore della notizia, e non la cessione a terzi di detta informazione. In caso contrario, infatti, se la norma penale intendesse punire la circolazione delle informazioni, sarebbe del tutto irrazionale la mancata incriminazione dell'insider secondario. La finalità perseguita dal legislatore nell'incriminazione dell'insider trading, dunque, è primariamente quella di inibire lo sfruttamento di informazioni privilegiate e, in modo specifico, qualsiasi forma di sfruttamento, senza alcuna esclusione degli emittenti e non già di inibire la traslazione dell'informazione riservata (Trib. Milano, Sez. III, 2 febbraio 2016; App. Bologna, Sez. III, 29 ottobre 2013).
La previsione di una sanzione penale per il “criminal insider”, inoltre, non rappresenta una deroga all'irrilevanza di condotte poste in essere al proprio esclusivo vantaggio, ma mira a realizzare l'ampliamento dell'area operativa della fattispecie penale a soggetti che non avrebbero posseduto la qualifica soggettiva necessaria per rispondere del crimine di insider trading. Il considerando della direttiva dapprima indicata, del resto, non potrebbe prevalere sull'esplicito contenuto precettivo dell'art. 2, comma 2, della medesima direttiva che prevede l'applicazione della sanzione penale anche a colui che usa l'informazione privilegiata che possiede. In conclusione
La direttiva 2014/57/UE, fissando regole tese ad armonizzare la legislazione penale, ha inciso anche sul profilo dei soggetti attivi dell'illecito, prevedendo l'incriminazione pure dei cd. insider secondari, cioè di coloro che hanno “ottenuto” l'informazione privilegiata “anche in ragione di circostanze diverse” da quelle indicate in precedenza. E' necessario, di conseguenza, un intervento normativo rivolto ad adeguare la disciplina interna alla previsione europea: occorre reintrodurre la figura dell'insider secondario nell'ambito della rilevanza penale, laddove dal combinato disposto degli artt. 184 e 187-bis T.U.F. discende la possibilità di irrogare nei confronti di costoro la sola sanzione amministrativa. Si tratta di ritornare alla disciplina dell'art. 2, comma 4, L. n. 157/1991, che era stata superata per adeguare la normativa interna alla direttiva del 2003 sul market abuse. Ne deriverà il superamento del delicato tema interpretativo rappresentato dalla distinzione della condotta dell'insider secondario, che, secondo le regole vigenti, risponde al più dell'illecito amministrativo, da quella dell'outsider o extraneus, che può concorre nel reato in forza della clausola generale di cui all'art. 110 c.p. In dottrina sul tema: S. Giavazzi, L'abuso di informazioni privilegiate, in G. Canzio, L.D. Cerqua, L. Lupària, Diritto penale delle società, Milano, 2016, pag. 637 e ss.; C. Brusegan, Nuove frontiere in materia di insider trading: verso una regolamentazione omogenea, in Arch. pen., 2015, I; F. Mucciarelli, L'insider trading nella rinnovata disciplina ue sugli abusi di mercato, in Soc., 2016, II, 193; F. Mucciarelli, La nuova disciplina eurounitaria sul market abuse: tra obblighi di criminalizzazione e ne bis in idem, in Dir. pen. cont., 2015. |